Il fico comune (Ficus carica L.) è una
pianta xerofila dei climi subtropicali temperati, appartenente alla famiglia
delle Moraceae.
Le xenofile sono piante che hanno sviluppato
meccanismi di adattamento, morfologici e fisiologici, atti a garantirne la
resistenza in ambienti siccitosi, caratterizzati da terreni asciutti e atmosfera
secca.
Ficus carica rappresenta la specie più nordica
del genere Ficus, produce il frutto detto comunemente fico.
L'epiteto specifico carica fa riferimento alle
sue origini che vengono fatte risalire alla Caria, regione dell'Asia Minore.
Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole
di Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del
Mar Mediterraneo. Se per definizione è detto "Fico Mediterraneo", si considera
originario e comune delle regioni Caucasiche, e del Mar Nero.
Il fico è un albero dal tronco corto e ramoso che può raggiungere altezze di 6–10 m; la corteccia è finemente rugosa e di colore grigio-cenerino; la linfa è di
un bianco latte; i rami sono ricchi di midollo con gemme terminali acuminate
coperte da due squame verdi, o brunastre.
Le foglie sono grandi, scabre, oblunghe,
grossolanamente lobate a 3-5 lobi, di colore verde scuro sulla parte superiore,
più chiare ed ugualmente scabre sulla parte inferiore.
Quello che comunemente viene ritenuto il frutto del fico è in realtà una grossa infruttescenza carnosa (ad esempio l’ananas), piriforme, ricca di zuccheri a maturità, detta siconio di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, cava, all'interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi; una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l'entrata degli imenotteri pronubi (insetti che trasportano il polline da un fiore all'altro permettendo l'impollinazione: per esempio le api); i veri frutti, che si sviluppano all'interno dell'infiorescenza, (che diventa perciò una infruttescenza) sono numerosissimi piccoli acheni (un frutti secchi con un pericarpo più o meno indurito, talvolta anche legnoso, che contiene un unico seme). La polpa che circonda i piccoli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte commestibile.
Quello che comunemente viene ritenuto il frutto del fico è in realtà una grossa infruttescenza carnosa (ad esempio l’ananas), piriforme, ricca di zuccheri a maturità, detta siconio di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, cava, all'interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi; una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l'entrata degli imenotteri pronubi (insetti che trasportano il polline da un fiore all'altro permettendo l'impollinazione: per esempio le api); i veri frutti, che si sviluppano all'interno dell'infiorescenza, (che diventa perciò una infruttescenza) sono numerosissimi piccoli acheni (un frutti secchi con un pericarpo più o meno indurito, talvolta anche legnoso, che contiene un unico seme). La polpa che circonda i piccoli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte commestibile.
Avete mai visto i fiori di una pianta di fico? Sicuramente vi
ricorderete con facilità i fiori di meli, peri, susine, ciliegi e molti altri: a
partire dalla stagione primaverile tutte queste piante regalano un fioritura
generosa in grado di meravigliarci ogni volta.
Cosa succede invece al fico? Anche gli antichi greci rimasero incuriositi da questi frutti prodotti senza la comparsa di un fiore. Lo stupore fu talmente tanto che decisero di dedicare la pianta del fico a Dioniso, dio della fertilità.
Cosa succede invece al fico? Anche gli antichi greci rimasero incuriositi da questi frutti prodotti senza la comparsa di un fiore. Lo stupore fu talmente tanto che decisero di dedicare la pianta del fico a Dioniso, dio della fertilità.
Affermare che la pianta di fico non produce fiori è sbagliato. In verità i fiori ci sono, solo non sono visibili: si tratta di fiori molto piccoli collocati all’interno di quello che normalmente, ed erroneamente, definiamo frutto. Questa parte della pianta, che botanicamente prende il nome di “siconio”, può essere definita come un falso frutto, poiché in realtà non è altro che l’ingrossamento del ricettacolo.
I fiori di questa pianta si presentano ovviamente senza petali, in più sono anche monoici: cioè esistono solamente fiori femminili (questi sono ben chiusi e protetti all’interno del ricettacolo) e quelli maschili (in questo caso sono collocati proprio alla bocca del ricettacolo stesso, quindi sempre al suo interno).
Ovviamente, anche in questo particolare caso, il compito del fiore maschile rimane quello di fecondare il femminile, solo allora si origineranno i frutti veri e propri. Questi frutti sono gli “acheni”, noi abitualmente li individuiamo nei semini all’interno del fico.
Lo spazio all’interno del ricettacolo, prima
dell’ingrossamento, è davvero ristretto. Senza un aiuto esterno i fiori maschili
non sarebbero sicuramente in grado di impollinare quelli femminili. In soccorso
arriva un insetto impollinatore: si tratta della blastofaga
(Blastophaga psenes), una particolare tipologia di
vespa molto piccola.
Questo insetto agisce in questo modo: sa di trovare qualche preziosa gocciolina di dolcissimo nettare al fondo del ricettacolo, entra quindi al suo interno, strisciando prima sul polline, raggiunge poi i fiori femminili, ed è in questo momento che avviene la fecondazione, inoltre il fico è una specie autofertile.
Fortunatamente la blastofaga è un imenottero piuttosto diffuso sull’intero territorio italiano. Inoltre è in grado di compiere magistralmente il suo dovere di insetto impollinatore sia sulla varietà di fico coltivato (Ficus Carica) che su quello a crescita spontanea, normalmente noto come caprifico.
Questo insetto agisce in questo modo: sa di trovare qualche preziosa gocciolina di dolcissimo nettare al fondo del ricettacolo, entra quindi al suo interno, strisciando prima sul polline, raggiunge poi i fiori femminili, ed è in questo momento che avviene la fecondazione, inoltre il fico è una specie autofertile.
Fortunatamente la blastofaga è un imenottero piuttosto diffuso sull’intero territorio italiano. Inoltre è in grado di compiere magistralmente il suo dovere di insetto impollinatore sia sulla varietà di fico coltivato (Ficus Carica) che su quello a crescita spontanea, normalmente noto come caprifico.
Il caprifico solitamente cresce spontaneo nelle
regioni meridionali. E’ facile distinguerlo dalla varietà coltivata
principalmente per le dimensioni raggiunte, non supera infatti i 3 – 5, è per il
portamento cespuglioso che assume.
Inoltre le foglie di questa pianta sono molto più piccole, così come i frutti, tra l’altro non commestibili e dalla consistenza decisamente stopposa; in questa varietà i fichi non riescono neanche ad arrivare a fine maturazione, poiché cadono sul terreno precocemente.
Nonostante tutto anche la varietà spontanea viene visitata con successo dalla blastofaga, anzi l’insetto è addirittura attratto in maniera irresistibile da questa varietà più piccola e cespugliosa. Tanto che solitamente si consiglia di collocare un esemplare selvatico vicino a quelli da coltivazione, in questo modo si aiuta la produzione di frutti, incrementando a dismisura la presenza di blasfaghe.
Questi insetti sono indispensabili soprattutto nei territori del Sud Italia per garantire tre differenti generazioni, nelle varietà trifere, di frutti in un’unica stagione. In più si segnala che il polline del caprifico è in grado di fecondare con successo anche i fiori femminili del fico coltivato.
Il binomio insetto-fico (intendendosi precisamente Blastophaga-Ficus carica) è una simbiosi mutualmente obbligata, cioè è specie-specifica: da un lato l'insetto sopravvive solo ed esclusivamente nei frutti del caprifico, e dall'altro la pianta di fico non ha alcuna possibilità di far semi senza l'insetto.
Il termine "vespa" o "insetto impollinatore" non deve ingannare dato che l'animale in argomento, pur appartenendo biologicamente a tali categorie, non punge ed ha dimensioni veramente esigue (ha infatti una lunghezza di circa due millimetri, è della dimensione di un moscerino).
Inoltre le foglie di questa pianta sono molto più piccole, così come i frutti, tra l’altro non commestibili e dalla consistenza decisamente stopposa; in questa varietà i fichi non riescono neanche ad arrivare a fine maturazione, poiché cadono sul terreno precocemente.
Nonostante tutto anche la varietà spontanea viene visitata con successo dalla blastofaga, anzi l’insetto è addirittura attratto in maniera irresistibile da questa varietà più piccola e cespugliosa. Tanto che solitamente si consiglia di collocare un esemplare selvatico vicino a quelli da coltivazione, in questo modo si aiuta la produzione di frutti, incrementando a dismisura la presenza di blasfaghe.
Questi insetti sono indispensabili soprattutto nei territori del Sud Italia per garantire tre differenti generazioni, nelle varietà trifere, di frutti in un’unica stagione. In più si segnala che il polline del caprifico è in grado di fecondare con successo anche i fiori femminili del fico coltivato.
Il binomio insetto-fico (intendendosi precisamente Blastophaga-Ficus carica) è una simbiosi mutualmente obbligata, cioè è specie-specifica: da un lato l'insetto sopravvive solo ed esclusivamente nei frutti del caprifico, e dall'altro la pianta di fico non ha alcuna possibilità di far semi senza l'insetto.
Il termine "vespa" o "insetto impollinatore" non deve ingannare dato che l'animale in argomento, pur appartenendo biologicamente a tali categorie, non punge ed ha dimensioni veramente esigue (ha infatti una lunghezza di circa due millimetri, è della dimensione di un moscerino).
Al di fuori della Specie Ficus carica occorre
precisare che ogni specie di Ficus ha la propria specie di insetto con
cui ha costituito un analogo sistema di simbiosi obbligata o quasi obbligata,
dato che la condizione che una specie di insetto fecondi due specie di
Ficus è piuttosto rara.
Tra le eccezioni è proprio il Ficus carica, che condivide l'impollinatore con il Ficus palmata.
Anche i Greci e i Romani si erano accorti che gli insetti impollinatori avevano una predilezione per il caprifico, e che la vicinanza con le varietà coltivate aumentava la produzione di frutti. Furono quindi in grado di sfruttare questa particolarità a loro vantaggio appendendo un ramo di caprifico, o anche solamente qualche frutto, ai rami dei fichi coltivati: misero a punto la caprificazione, tecnica utilizzata normalmente anche ai giorni nostri.
Tra le eccezioni è proprio il Ficus carica, che condivide l'impollinatore con il Ficus palmata.
Anche i Greci e i Romani si erano accorti che gli insetti impollinatori avevano una predilezione per il caprifico, e che la vicinanza con le varietà coltivate aumentava la produzione di frutti. Furono quindi in grado di sfruttare questa particolarità a loro vantaggio appendendo un ramo di caprifico, o anche solamente qualche frutto, ai rami dei fichi coltivati: misero a punto la caprificazione, tecnica utilizzata normalmente anche ai giorni nostri.
Plinio il Vecchio aveva elaborato anche una teoria a tal proposito: sosteneva infatti che gli insetti impollinatori, una volta esaurite le risorse del caprifico, dovevano necessariamente spostarsi sui fichi domestici, colonizzandoli. Gli insetti si occupavano inoltre, sempre secondo Plinio il Vecchio, di aprire i pori dei frutti per far in modo di far entrare il sole al loro interno, unico vero artefice della loro maturazione.
Credo che la maggior parte di noi sappia che i fichi sono frutti altamente energetici: forniscono, infatti, 47 Kcal per 100 grammi di prodotto.
L'acqua ne costituisce l'82% in peso. Nel fico si annovera un cospicuo contenuto di carboidrati (11%), circa il 2% di fibre, l'1% di proteine e pochissimi grassi (0,2%). I fichi sono un concentrato di sali minerali, in particolare potassio, magnesio e ferro, ma anche le vitamine antiossidanti rivestono un ruolo importante.
Il fico non è solamente un frutto squisito e succulento: il suo impiego è sfruttato anche in ambito fitoterapico per le molteplici virtù terapeutiche.
- In questi ultimi anni, il valore nutritivo dei fichi è stato esaltato per la ricerca delle sostanze chimiche in essi contenute:
- Proprietà emollienti ed espettoranti dei frutti del fico;
- Proprietà rimineralizzanti;
- Proprietà bechiche (allevia la tosse persistente) ed emmenagoghe (provoca, facilita od aumenta il flusso mestruale: foglie e frutti);
- Proprietà lassative (fibre): a differenza dei fichi d'india (proprietà astringenti), ricchi di tannini;
- Virtù disinfettanti/antinfiammatorie della bocca e del cavo orale in generale (decotto di latice); [tratto da Dizionario ragionato di erboristeria e di fitoterapia, di A. Bruni e M. Nicoletti]
- Proprietà cheratolitiche del lattice: l'applicazione di lattice direttamente nella puntura d'insetto attenua il dolore in situ;
- Proprietà caustiche: il lattice sgorgante dai tagli è ricco di proteasi ed amilasi: a tal proposito, risulta un buon rimedio naturale per eliminare le verruche. Ad ogni modo, il lattice del fico deve essere comunque utilizzato con cautela, per evitare di subire pesanti irritazioni della pelle;
- Virtù antinfiammatorie, digestive, emmenagoghe attribuite per lo più alle foglie contenenti cumarine, furocumarine (possono creare episodi di fotosensibilizzazione), bergaptene e psoralene. In alcuni soggetti sensibili, il semplice contatto con le foglie può generare fenomeni di irritabilità della pelle, enfatizzati dall'esposizione al sole. È pertanto consigliato il tempestivo risciacquo con acqua fresca in seguito al contatto con le foglie di fico, oltre all'immediato allontanamento dalle fonti solari per alcune ore;
- Proprietà caglianti: in passato, il lattice del fico veniva impiegato per cagliare il latte;
- Potenziali proprietà abbronzanti: la diffusa usanza di applicate lattice di fico sulla pelle per facilitare l'abbronzatura dev'essere rivalutata. È stato osservato che l'applicazione di lattice di fico sulla cute prima di un'esposizione solare è pericolosa per la pelle, nonché irritante: infatti, questa pratica va screditata perché responsabile di ustioni e lesioni cutanee talvolta gravi;
- Proprietà anitisecretive gastriche (macerato di gemme di fico).
Il fico viene coltivato in molti paesi:
Turchia, Grecia, Stati Uniti, Portogallo e Spagna, sono i principali produttori.
Possiamo trovare due tipi di piante: le piante che producono il frutto una sola volta, chiamate unifere o fico selvatico, e piante che producono due volte l’anno, chiamate bifere o fico domestico. Questa varietà di pianta produce due qualità di fichi:
Possiamo trovare due tipi di piante: le piante che producono il frutto una sola volta, chiamate unifere o fico selvatico, e piante che producono due volte l’anno, chiamate bifere o fico domestico. Questa varietà di pianta produce due qualità di fichi:
- fichi primaticci: si formano nei mesi autunnali e vengono poi raccolti in primavera inoltrata;
- fichi veri: che si formano in primavera e vengono raccolti in estate.
I fichi che vengono raccolti nel mese di maggio chiamati anche fioroni,
sono più grandi di quelli raccolti nel mese di settembre, chiamati fichi
veri.
Esistono oltre 150 varietà di fichi, bianchi, marroni, viola, verdi e neri, ma dal punto di vista commerciale i più importanti sono:
- fico nero: piuttosto asciutto e zuccherino, risulta essere il meno delicato.
- fico verde: succoso e dalla buccia sottile.
- fico viola: il più succoso, dolce, molto delicato e difficile da trovare.
Il fico è un frutto molto delicato che va
manipolato con attenzione. In frigorifero, il fichi possono essere conservati
per un paio di giorni ma devono essere posti in contenitori ben chiusi per
evitare che assorbano gli odori di altri cibi.
Il fico può essere congelato, ma deve essere
consumato, al massimo, nel giro di 30 giorni.
I fichi secchi, invece, devono essere conservati in
luogo fresco e asciutto, evitare, data la presenza di zucchero, di lasciarli in
un posto in cui possano venire a contatto con insetti, e consumati entro la data
di scadenza indicata sulla confezione.
Dei ricercatori dell’Università di Harvard,
hanno scoperto, nei pressi del fiume Giordano, un sito archeologico chiamato
Gigal; in questo villaggio abitato più o meno 11.400 anni fa sono stati scoperti
dei piccoli fichi e delle piccole parti di questo frutto, oramai completamente
carbonizzate.
Anche se non sono riusciti a scoprire se erano
carbonizzati dal tempo o se erano stati così preparati per essere conservati e
successivamente consumati, Questo dimostra che il fico era coltivato molto prima
di quanto si pensasse, e circa mille anni prima di orzo e grano.
Ingredienti (per 3 vasetti da 300 ml)
800 g di fichi maturi e sodi
(*);
500 g di zucchero semolato;
1 mela renetta;
30 g di pinoli;
30 g mandorle a lamelle;
1 limone BIO (succo e buccia grattugiata);
1 bicchierino di Brandy;
1 bustina di vanillina.
1 – Preparazione.
Lavate bene il limone, mettete da parte la buccia
grattugiata e spremetene il succo.
I fichi, che devono essere maturi ma sodi, vanno
puliti con uno panno umido (se necessario, possono essere lavati purché siano
perfettamente asciutti al momento del loro utilizzo).
Eliminate il picciolo, tagliateli a spicchi e
metteteli in un tegame in acciaio (che servirà per la cottura) unitamente allo
zucchero e al succo del limone; con un cucchiaio di legno mescolate
delicatamente il tutto, coprite con un coperchio e lasciate macerare per alcune
ore (3-4 ore almeno), permettendo che si formi uno sciroppo
zuccherino.
2 – Cottura.
Lavare bene i vasetti e i relativi tappi; metterli in
forno e portare la temperatura a 150 °C.
Raggiunta la temperatura, lasciare nel forno i
vasetti e i tappi per 15-20 min. Ridurre la temperatura del forno a 80-100 °C
lasciando al suo interno i vasetti sino al momento del loro impiego.
Fare raffreddare i tappi e riempiteli con della
grappa bianca.
Trascorso il tempo di macerazione, ponete la pentola
sul fuoco, portate a bollore e cuocete, a fiamma alta, per 20 min. eliminando,
con un cucchiaio, la schiuma che andrà a formarsi.
Togliete dalla fiamma e, con l’ausilio di un
frullerete a immersione, frullate il tutto per un paio di min.
Nel caso si voglia un confettura liscia e omogenea,
passate tutta la massa attraverso un passa verdura a fori piccoli; se invece
preferite la confettura a pezzettoni, saltate questo passaggio.
Rimettete sul fuoco, aggiungete la vanillina,
mescolate bene, alzate la fiamma e continuate la cottura per altri 10 min.
controllando la consistenza della confettura con la classica “prova del
piattino”. La prova del piattino consiste nel mettere un cucchiaino di
confettura in un piattino, lasciare che si raffreddi e inclinare il piattino; se
la confettura non scivola giù, è pronta da invasare, altrimenti continuare nella
cottura controllando la consistenza ogni 5 min. o comunque sino alla consistenza
desiderata (io la preferisco leggermente morbida).
Due minuti prima del termine della cottura,
aggiungete i pinoli, le mandorla a lamelle, la buccia del limone grattugiata e
mescolate bene per distribuire la frutta secca omogeneamente nella confettura.
3 - Presentazione.
Spegnete il fuoco e aggiungete il Brandy, sempre
mescolando accuratamente e, utilizzando un guanto da forno, prendere un vasetto,
riempirlo con la confettura ben calda sino al bordo, eliminare dal tappo la
grappa (che recuperate), avvitarlo ben stretto e capovolgere il vasetto a testa
in giù e coprite con un canovaccio. Questa operazione permetterà, una
volta che la confettura si sarà raffreddata, di creare il “sottovuoto” nel
vasetto.
Conservare in luogo fresco e asciutto per 2-3
settimane prima di consumare la confettura.
(*) Se i fichi
provengono da coltivazioni BIO, utilizzate tranquillamente anche la buccia (la
confettura verrà più buona); in questo caso, essendo i fichi di provenienza
turca (non avendo altre informazioni), ho preferito eliminare la buccia.
Nessun commento:
Posta un commento