Il fico comune (Ficus carica L.) è
una pianta xerofila dei climi subtropicali temperati, appartenente alla
famiglia delle Moraceae.
Le xenofile sono piante che hanno sviluppato meccanismi di adattamento, morfologici e fisiologici, atti a garantirne la resistenza in ambienti siccitosi, caratterizzati da terreni asciutti e atmosfera secca.
Ficus carica rappresenta la specie più nordica del genere Ficus, produce il frutto detto comunemente fico.
L'epiteto specifico carica fa riferimento alle sue origini che vengono fatte risalire alla Caria, regione dell'Asia Minore. Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole di Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mar Mediterraneo.
Se per definizione è detto "Fico Mediterraneo", si considera originario e comune delle regioni Caucasiche, e del Mar Nero.
Solo dopo la scoperta dell'America il fico si diffuse in quel continente, in seguito ai contatti con l'Oriente fu diffuso in Cina ed in Giappone.
Il fico è un albero dal tronco corto e ramoso che può raggiungere altezze di 6 – 10 m; la corteccia è finemente rugosa e di colore grigio-cenerino; la linfa è di un bianco latte; i rami sono ricchi di midollo con gemme terminali acuminate coperte da due squame verdi, o brunastre.
Le foglie sono grandi, scabre, oblunghe, grossolanamente lobate a 3-5 lobi, di colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare ed ugualmente scabre sulla parte inferiore.
Quello che comunemente viene ritenuto il frutto del fico è in realtà una grossa infruttescenza carnosa (ad esempio l’ananas), piriforme, ricca di zuccheri a maturità, detta siconio di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, cava, all'interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi; una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l'entrata degli imenotteri pronubi (insetti che trasportano il polline da un fiore all'altro permettendo l'impollinazione: per esempio le api); i veri frutti, che si sviluppano all'interno dell'infiorescenza, (che diventa perciò una infruttescenza) sono numerosissimi piccoli acheni (un frutti secchi con un pericarpo più o meno indurito, talvolta anche legnoso, che contiene un unico seme). La polpa che circonda i piccoli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte commestibile.
La specie ha due forme botaniche che semplicisticamente possono essere definite come piante maschio e piante femmina, dato che la prima (pianta maschio, o caprifico) costituisce l'individuo che produce il polline con frutti non commestibili, mentre la seconda o fico vero (pianta femmina che produce frutti commestibili) produce i semi contenuti nei frutti.
Avete mai visto i fiori di una pianta di fico? Sicuramente vi ricorderete con facilità i fiori di meli, peri, susine, ciliegi e molti altri: a partire dalla stagione primaverile tutte queste piante regalano un fioritura generosa in grado di meravigliarci ogni volta.
Cosa succede invece al fico? Anche gli antichi greci rimasero incuriositi da questi frutti prodotti senza la comparsa di un fiore. Lo stupore fu talmente tanto che decisero di dedicare la pianta del fico a Dioniso, dio della fertilità.
Affermare che la pianta di fico non produce fiori è sbagliato. In verità i fiori ci sono, solo non sono visibili: si tratta di fiori molto piccoli collocati all’interno di quello che normalmente, ed erroneamente, definiamo frutto.
Questa parte della pianta, che botanicamente prende il nome di “siconio”, può essere definita come un falso frutto, poiché in realtà non è altro che l’ingrossamento del ricettacolo.
I fiori di questa pianta si presentano ovviamente senza petali, in più sono anche monoici: cioè esistono solamente fiori femminili (questi sono ben chiusi e protetti all’interno del ricettacolo) e quelli maschili (in questo caso sono collocati proprio alla bocca del ricettacolo stesso, quindi sempre al suo interno).
Ovviamente, anche in questo particolare caso, il compito del fiore maschile rimane quello di fecondare il femminile, solo allora si origineranno i frutti veri e propri. Questi frutti sono gli “acheni”, noi abitualmente li individuiamo nei semini all’interno del fico.
Lo spazio all’interno del ricettacolo, prima dell’ingrossamento, è davvero ristretto. Senza un aiuto esterno i fiori maschili non sarebbero sicuramente in grado di impollinare quelli femminili. In soccorso arriva un insetto impollinatore: si tratta della blastofaga (Blastophaga psenes), una particolare tipologia di vespa molto piccola.
Questo insetto agisce in questo modo: sa di trovare qualche preziosa gocciolina di dolcissimo nettare al fondo del ricettacolo, entra quindi al suo interno, strisciando prima sul polline, raggiunge poi i fiori femminili, ed è in questo momento che avviene la fecondazione, inoltre il fico è una specie autofertile.
Fortunatamente la blastofaga è un imenottero piuttosto diffuso sull’intero territorio italiano. Inoltre è in grado di compiere magistralmente il suo dovere di insetto impollinatore sia sulla varietà di fico coltivato (Ficus Carica) che su quello a crescita spontanea, normalmente noto come caprifico.
Il caprifico solitamente cresce spontaneo nelle regioni meridionali. E’ facile distinguerlo dalla varietà coltivata principalmente per le dimensioni raggiunte, non supera infatti i 3 – 5, è per il portamento cespuglioso che assume.
Inoltre le foglie di questa pianta sono molto più piccole, così come i frutti, tra l’altro non commestibili e dalla consistenza decisamente stopposa; in questa varietà i fichi non riescono neanche ad arrivare a fine maturazione, poiché cadono sul terreno precocemente.
Nonostante tutto anche la varietà spontanea viene visitata con successo dalla blastofaga, anzi l’insetto è addirittura attratto in maniera irresistibile da questa varietà più piccola e cespugliosa. Tanto che solitamente si consiglia di collocare un esemplare selvatico vicino a quelli da coltivazione, in questo modo si aiuta la produzione di frutti, incrementando a dismisura la presenza di blasfaghe.
Questi insetti sono indispensabili soprattutto nei territori del Sud Italia per garantire tre differenti generazioni, nelle varietà trifere, di frutti in un’unica stagione. In più si segnala che il polline del caprifico è in grado di fecondare con successo anche i fiori femminili del fico coltivato.
Il binomio insetto-fico (intendendosi precisamente Blastophaga-Ficus carica) è una simbiosi mutualmente obbligata, cioè è specie-specifica: da un lato l'insetto sopravvive solo ed esclusivamente nei frutti del caprifico, e dall'altro la pianta di fico non ha alcuna possibilità di far semi senza l'insetto.
Il termine "vespa" o "insetto impollinatore" non deve ingannare dato che l'animale in argomento, pur appartenendo biologicamete a tali categorie, non punge ed ha dimensioni veramente esigue (ha infatti una lunghezza di circa due millimetri, è della dimensione di un moscerino).
Al di fuori della Specie Ficus carica occorre precisare che ogni specie di Ficus ha la propria specie di insetto con cui ha costituito un analogo sistema di simbiosi obbligata o quasi obbligata, dato che la condizione che una specie di insetto fecondi due specie di Ficus è piuttosto rara. Tra le eccezioni è proprio il Ficus carica, che condivide l'impollinatore con il Ficus palmata.
Anche i Greci e i Romani si erano accorti che gli insetti impollinatori avevano una predilezione per il caprifico, e che la vicinanza con le varietà coltivate aumentava la produzione di frutti. Furono quindi in grado di sfruttare questa particolarità a loro vantaggio appendendo un ramo di caprifico, o anche solamente qualche frutto, ai rami dei fichi coltivati: misero a punto la caprificazione, tecnica utilizzata normalmente anche ai giorni nostri.
Plinio il Vecchio aveva elaborato anche una teoria a tal proposito: sosteneva infatti che gli insetti impollinatori, una volta esaurite le risorse del caprifico, dovevano necessariamente spostarsi sui fichi domestici, colonizzandoli. Gli insetti si occupavano inoltre, sempre secondo Plinio il Vecchio, di aprire i pori dei frutti per far in modo di far entrare il sole al loro interno, unico vero artefice della loro maturazione.
Ingredienti (per 3 vasetti da 300 ml)
800 g di fichi maturi e sodi (*);
600 g di zucchero semolato;
1 mela renetta;
30 g di pinoli;
30 g mandorle a lamelle;
1 limone BIO (succo e buccia grattugiata);
1 bicchierino di Brandy;
1 bustina di vanillina.
1 – Preparazione.
Lavate bene il limone, mettete da parte la buccia grattugiata e spremetene il succo.
I fichi, che devono essere maturi ma sodi, vanno puliti con uno panno umido (se necessario, possono essere lavati purché siano perfettamente asciutti al momento del loro utilizzo).
Eliminate il picciolo, tagliateli a spicchi e metteteli in un tegame in acciaio (che servirà per la cottura) unitamente allo zucchero e al succo del limone; con un cucchiaio di legno mescolate delicatamente il tutto, coprite con un coperchio e lasciate macerare per alcune ore (3-4 ore almeno), permettendo che si formi uno sciroppo zuccherino.
2 – Cottura.
Lavare bene i vasetti e i relativi tappi; metterli in forno e portare la temperatura a 150 °C.
Raggiunta la temperatura, lasciare nel forno i vasetti e i tappi per 15-20 min. Ridurre la temperatura del forno a 80-100 °C lasciando al suo interno i vasetti sino al momento del loro impiego.
Fare raffreddare i tappi e riempiteli con della grappa bianca.
Trascorso il tempo di macerazione, ponete la pentola sul fuoco, portate a bollore e cuocete, a fiamma alta, per 20 min. eliminando, con un cucchiaio, la schiuma che andrà a formarsi.
Togliete dalla fiamma e, con l’ausilio di un frullerete a immersione, frullate il tutto per un paio di min.
Nel caso si voglia un confettura liscia e omogenea, passate tutta la massa attraverso un passa verdura a fori piccoli; se invece preferite la confettura a pezzettoni, saltate questo passaggio.
Rimettete sul fuoco, aggiungete la vanillina, mescolate bene, alzate la fiamma e continuate la cottura per altri 10 min. controllando la consistenza della confettura con la classica “prova del piattino”. La prova del piattino consiste nel mettere un cucchiaino di confettura in un piattino, lasciare che si raffreddi e inclinare il piattino; se la confettura non scivola giù, è pronta da invasare, altrimenti continuare nella cottura controllando la consistenza ogni 5 min. o comunque sino alla consistenza desiderata (io la preferisco leggermente morbida).
Due minuti prima del termine della cottura, aggiungete i pinoli, le mandorla a lamelle, la buccia del limone grattugiata e mescolate bene per distribuire la frutta secca omogeneamente nella confettura.
3 - Presentazione.
Spegnete il fuoco e aggiungete il Brandy, sempre mescolando accuratamente e, utilizzando un guanto da forno, prendere un vasetto, riempirlo con la confettura ben calda sino al bordo, eliminare dal tappo la grappa (che recuperate), avvitarlo ben stretto e capovolgere il vasetto a testa in giù e coprite con un canovaccio. Questa operazione permetterà, una volta che la confettura si sarà raffreddata, di creare il “sottovuoto” nel vasetto.
Conservare in luogo fresco e asciutto per 2-3 settimane prima di consumare la confettura.
Le xenofile sono piante che hanno sviluppato meccanismi di adattamento, morfologici e fisiologici, atti a garantirne la resistenza in ambienti siccitosi, caratterizzati da terreni asciutti e atmosfera secca.
Ficus carica rappresenta la specie più nordica del genere Ficus, produce il frutto detto comunemente fico.
L'epiteto specifico carica fa riferimento alle sue origini che vengono fatte risalire alla Caria, regione dell'Asia Minore. Testimonianze della sua coltivazione si hanno già nelle prime civiltà agricole di Palestina ed Egitto, da cui si diffuse successivamente in tutto il bacino del Mar Mediterraneo.
Se per definizione è detto "Fico Mediterraneo", si considera originario e comune delle regioni Caucasiche, e del Mar Nero.
Solo dopo la scoperta dell'America il fico si diffuse in quel continente, in seguito ai contatti con l'Oriente fu diffuso in Cina ed in Giappone.
Il fico è un albero dal tronco corto e ramoso che può raggiungere altezze di 6 – 10 m; la corteccia è finemente rugosa e di colore grigio-cenerino; la linfa è di un bianco latte; i rami sono ricchi di midollo con gemme terminali acuminate coperte da due squame verdi, o brunastre.
Le foglie sono grandi, scabre, oblunghe, grossolanamente lobate a 3-5 lobi, di colore verde scuro sulla parte superiore, più chiare ed ugualmente scabre sulla parte inferiore.
Quello che comunemente viene ritenuto il frutto del fico è in realtà una grossa infruttescenza carnosa (ad esempio l’ananas), piriforme, ricca di zuccheri a maturità, detta siconio di colore variabile dal verde al rossiccio fino al bluastro-violaceo, cava, all'interno della quale sono racchiusi i fiori unisessuali, piccolissimi; una piccola apertura apicale, detta ostiolo, consente l'entrata degli imenotteri pronubi (insetti che trasportano il polline da un fiore all'altro permettendo l'impollinazione: per esempio le api); i veri frutti, che si sviluppano all'interno dell'infiorescenza, (che diventa perciò una infruttescenza) sono numerosissimi piccoli acheni (un frutti secchi con un pericarpo più o meno indurito, talvolta anche legnoso, che contiene un unico seme). La polpa che circonda i piccoli acheni è succulenta e dolce, e costituisce la parte commestibile.
La specie ha due forme botaniche che semplicisticamente possono essere definite come piante maschio e piante femmina, dato che la prima (pianta maschio, o caprifico) costituisce l'individuo che produce il polline con frutti non commestibili, mentre la seconda o fico vero (pianta femmina che produce frutti commestibili) produce i semi contenuti nei frutti.
Avete mai visto i fiori di una pianta di fico? Sicuramente vi ricorderete con facilità i fiori di meli, peri, susine, ciliegi e molti altri: a partire dalla stagione primaverile tutte queste piante regalano un fioritura generosa in grado di meravigliarci ogni volta.
Cosa succede invece al fico? Anche gli antichi greci rimasero incuriositi da questi frutti prodotti senza la comparsa di un fiore. Lo stupore fu talmente tanto che decisero di dedicare la pianta del fico a Dioniso, dio della fertilità.
Affermare che la pianta di fico non produce fiori è sbagliato. In verità i fiori ci sono, solo non sono visibili: si tratta di fiori molto piccoli collocati all’interno di quello che normalmente, ed erroneamente, definiamo frutto.
Questa parte della pianta, che botanicamente prende il nome di “siconio”, può essere definita come un falso frutto, poiché in realtà non è altro che l’ingrossamento del ricettacolo.
I fiori di questa pianta si presentano ovviamente senza petali, in più sono anche monoici: cioè esistono solamente fiori femminili (questi sono ben chiusi e protetti all’interno del ricettacolo) e quelli maschili (in questo caso sono collocati proprio alla bocca del ricettacolo stesso, quindi sempre al suo interno).
Ovviamente, anche in questo particolare caso, il compito del fiore maschile rimane quello di fecondare il femminile, solo allora si origineranno i frutti veri e propri. Questi frutti sono gli “acheni”, noi abitualmente li individuiamo nei semini all’interno del fico.
Lo spazio all’interno del ricettacolo, prima dell’ingrossamento, è davvero ristretto. Senza un aiuto esterno i fiori maschili non sarebbero sicuramente in grado di impollinare quelli femminili. In soccorso arriva un insetto impollinatore: si tratta della blastofaga (Blastophaga psenes), una particolare tipologia di vespa molto piccola.
Questo insetto agisce in questo modo: sa di trovare qualche preziosa gocciolina di dolcissimo nettare al fondo del ricettacolo, entra quindi al suo interno, strisciando prima sul polline, raggiunge poi i fiori femminili, ed è in questo momento che avviene la fecondazione, inoltre il fico è una specie autofertile.
Fortunatamente la blastofaga è un imenottero piuttosto diffuso sull’intero territorio italiano. Inoltre è in grado di compiere magistralmente il suo dovere di insetto impollinatore sia sulla varietà di fico coltivato (Ficus Carica) che su quello a crescita spontanea, normalmente noto come caprifico.
Il caprifico solitamente cresce spontaneo nelle regioni meridionali. E’ facile distinguerlo dalla varietà coltivata principalmente per le dimensioni raggiunte, non supera infatti i 3 – 5, è per il portamento cespuglioso che assume.
Inoltre le foglie di questa pianta sono molto più piccole, così come i frutti, tra l’altro non commestibili e dalla consistenza decisamente stopposa; in questa varietà i fichi non riescono neanche ad arrivare a fine maturazione, poiché cadono sul terreno precocemente.
Nonostante tutto anche la varietà spontanea viene visitata con successo dalla blastofaga, anzi l’insetto è addirittura attratto in maniera irresistibile da questa varietà più piccola e cespugliosa. Tanto che solitamente si consiglia di collocare un esemplare selvatico vicino a quelli da coltivazione, in questo modo si aiuta la produzione di frutti, incrementando a dismisura la presenza di blasfaghe.
Questi insetti sono indispensabili soprattutto nei territori del Sud Italia per garantire tre differenti generazioni, nelle varietà trifere, di frutti in un’unica stagione. In più si segnala che il polline del caprifico è in grado di fecondare con successo anche i fiori femminili del fico coltivato.
Il binomio insetto-fico (intendendosi precisamente Blastophaga-Ficus carica) è una simbiosi mutualmente obbligata, cioè è specie-specifica: da un lato l'insetto sopravvive solo ed esclusivamente nei frutti del caprifico, e dall'altro la pianta di fico non ha alcuna possibilità di far semi senza l'insetto.
Il termine "vespa" o "insetto impollinatore" non deve ingannare dato che l'animale in argomento, pur appartenendo biologicamete a tali categorie, non punge ed ha dimensioni veramente esigue (ha infatti una lunghezza di circa due millimetri, è della dimensione di un moscerino).
Al di fuori della Specie Ficus carica occorre precisare che ogni specie di Ficus ha la propria specie di insetto con cui ha costituito un analogo sistema di simbiosi obbligata o quasi obbligata, dato che la condizione che una specie di insetto fecondi due specie di Ficus è piuttosto rara. Tra le eccezioni è proprio il Ficus carica, che condivide l'impollinatore con il Ficus palmata.
Anche i Greci e i Romani si erano accorti che gli insetti impollinatori avevano una predilezione per il caprifico, e che la vicinanza con le varietà coltivate aumentava la produzione di frutti. Furono quindi in grado di sfruttare questa particolarità a loro vantaggio appendendo un ramo di caprifico, o anche solamente qualche frutto, ai rami dei fichi coltivati: misero a punto la caprificazione, tecnica utilizzata normalmente anche ai giorni nostri.
Plinio il Vecchio aveva elaborato anche una teoria a tal proposito: sosteneva infatti che gli insetti impollinatori, una volta esaurite le risorse del caprifico, dovevano necessariamente spostarsi sui fichi domestici, colonizzandoli. Gli insetti si occupavano inoltre, sempre secondo Plinio il Vecchio, di aprire i pori dei frutti per far in modo di far entrare il sole al loro interno, unico vero artefice della loro maturazione.
Ingredienti (per 3 vasetti da 300 ml)
800 g di fichi maturi e sodi (*);
600 g di zucchero semolato;
1 mela renetta;
30 g di pinoli;
30 g mandorle a lamelle;
1 limone BIO (succo e buccia grattugiata);
1 bicchierino di Brandy;
1 bustina di vanillina.
1 – Preparazione.
Lavate bene il limone, mettete da parte la buccia grattugiata e spremetene il succo.
I fichi, che devono essere maturi ma sodi, vanno puliti con uno panno umido (se necessario, possono essere lavati purché siano perfettamente asciutti al momento del loro utilizzo).
Eliminate il picciolo, tagliateli a spicchi e metteteli in un tegame in acciaio (che servirà per la cottura) unitamente allo zucchero e al succo del limone; con un cucchiaio di legno mescolate delicatamente il tutto, coprite con un coperchio e lasciate macerare per alcune ore (3-4 ore almeno), permettendo che si formi uno sciroppo zuccherino.
2 – Cottura.
Lavare bene i vasetti e i relativi tappi; metterli in forno e portare la temperatura a 150 °C.
Raggiunta la temperatura, lasciare nel forno i vasetti e i tappi per 15-20 min. Ridurre la temperatura del forno a 80-100 °C lasciando al suo interno i vasetti sino al momento del loro impiego.
Fare raffreddare i tappi e riempiteli con della grappa bianca.
Trascorso il tempo di macerazione, ponete la pentola sul fuoco, portate a bollore e cuocete, a fiamma alta, per 20 min. eliminando, con un cucchiaio, la schiuma che andrà a formarsi.
Togliete dalla fiamma e, con l’ausilio di un frullerete a immersione, frullate il tutto per un paio di min.
Nel caso si voglia un confettura liscia e omogenea, passate tutta la massa attraverso un passa verdura a fori piccoli; se invece preferite la confettura a pezzettoni, saltate questo passaggio.
Rimettete sul fuoco, aggiungete la vanillina, mescolate bene, alzate la fiamma e continuate la cottura per altri 10 min. controllando la consistenza della confettura con la classica “prova del piattino”. La prova del piattino consiste nel mettere un cucchiaino di confettura in un piattino, lasciare che si raffreddi e inclinare il piattino; se la confettura non scivola giù, è pronta da invasare, altrimenti continuare nella cottura controllando la consistenza ogni 5 min. o comunque sino alla consistenza desiderata (io la preferisco leggermente morbida).
Due minuti prima del termine della cottura, aggiungete i pinoli, le mandorla a lamelle, la buccia del limone grattugiata e mescolate bene per distribuire la frutta secca omogeneamente nella confettura.
3 - Presentazione.
Spegnete il fuoco e aggiungete il Brandy, sempre mescolando accuratamente e, utilizzando un guanto da forno, prendere un vasetto, riempirlo con la confettura ben calda sino al bordo, eliminare dal tappo la grappa (che recuperate), avvitarlo ben stretto e capovolgere il vasetto a testa in giù e coprite con un canovaccio. Questa operazione permetterà, una volta che la confettura si sarà raffreddata, di creare il “sottovuoto” nel vasetto.
Conservare in luogo fresco e asciutto per 2-3 settimane prima di consumare la confettura.
(*) Se i fichi provengono da coltivazioni BIO,
utilizzate tranquillamente anche la buccia (la confettura viene più buona); in questo
caso, essendo i fichi di provenienza turca (non avendo altre informazioni), ho
preferito eliminare la buccia.
Nessun commento:
Posta un commento