Da qualche tempo sul mercato italiano sono
disponibili, accanto alle familiari carote arancioni, anche quelle colorate di
viola intenso, quasi nero. Stupirà forse molti apprendere che il viola è in
realtà il colore originario delle carote diffuse in Europa a partire dal 1100 e
che la carota arancione è stata sviluppata nei Paesi Bassi solo nel XVII
secolo.
In origine la carota era di colore viola, come ci indicavano testimonianze dell'antico Egitto, ma anche, intorno al X secolo, notizie dall'Iran, dall'Afghanistan e Pakistan.
Nel XIV secolo in Europa si importavano carote viola, bianche e gialle e si ha notizia anche di quelle nere, rosse e verdi.
Nel 1720 gli olandesi decisero di cambiargli il colore in onore della dinastia regnante, gli Orange, e di qui ebbe inizio la trasformazione, che non avvenne in laboratori, come per le moderne "modificazioni genetiche", ma nei campi olandesi, per selezione successiva, partendo da un seme di carota proveniente dall'Africa del nord. Così nel giro di qualche anno si è arrivati ad una carota arancione, perdendo la semenza delle prime.
Il ricercatore Philipp Simon, usando sistemi di incrocio tradizionali, senza cioè l'ausilio delle biotecnologie, è riuscito a ottenere carote con nuove colorazioni, in pratica ha ricreato carote con i colori che avevano in passato. Lo scopo iniziale era quello di far crescere il consumo della verdura sfruttando il suo appeal cromatico. Poi però, studiando le proprietà nutritive delle nuove carote, gli studiosi hanno scoperto di avere fatto centro. I nuovi colori portano, infatti, con sé anche una serie di benefici per la nostra salute.
La famiglia botanica delle Apiaceae (una volta denominata Umbelliferae) comprende più di 3000 specie diverse. Un buon numero di queste ha trovato un uso in cucina come verdure o spezie: coriandolo, cumino, finocchio, sedano, prezzemolo. La più coltivata però è la carota.
Sia la carota selvatica che quella coltivata appartengono alla specie Daucus carota. A causa della grande variabilità all’interno della specie vengono classificate diverse sottospecie, basandosi sul tipo di infiorescenza, sul frutto o su altre caratteristiche. La carota selvatica (Daucus carota ssp. carota) è ampiamente diffusa dalla costa atlantica fino alla Cina, ha una radice bianca, sottile, dura e amara, non troppo appetibile e decisamente poco commestibile.
La carota domestica (Daucus carota ssp. sativus) è una pianta biennale la cui radice si accresce sotto terra durante il primo anno, immagazzinando una gran quantità di carboidrati necessari alla pianta per la fioritura l’anno successivo.
Uno dei problemi del
tracciare una storia della carota nell’antichità è la confusione che esisteva
in passato tra questa specie e una diversa ma somigliante: la Pastinaca sativa, chiamata a
volte carota bianca o semplicemente carota dagli antichi Romani. I semi di
carota, selvatica o semidomesticata, venivano sicuramente usati per scopi
medicinali nell’area mediterranea sin dal tempo dei Romani. Gli usi erano
diversi: da diuretici ad abortivi o, addirittura, afrodisiaci. Plinio il
vecchio (23-79 BC) descrive quattro tipi di carote selvatiche (anche se non
tutte sono classificate botanicamente come carote al giorno d’oggi). Galeno,
nel secondo secolo, distingue correttamente le carote dalle pastinache, e
menziona esplicitamente coltivazioni di carote a scopo medicinale.
Se i Romani mangiassero le carote, e quali, è questione ancora dibattuta.
Sicuramente non conoscevano ancora la nostra carota moderna, dolce e croccante, perché introdotta in Europa mille anni più tardi. A Ostia antica, nella taverna, vi è un dipinto con quella che sembra una carota o una pastinaca.
Apicio, autore del De re coquinaria, il più importante manuale di cucina dell’antica Roma, compilato attorno al 230 d.C. nella parte dedicate alle verdure consiglia tre preparazioni a base di carote o pastinache: fritte e servite con una salsa di vino, condite con sale, olio e aceto oppure lessate, tagliate a pezzetti e insaporite con una salsa di cumino e olio.
Le carote moderne vennero domesticate e coltivate per la prima volta in Afghanistan circa 5000 anni fa. Mentre le carote selvatiche sono bianche o al più giallo pallido, le prime carote coltivate in quella regione erano viola o gialle.
Verso la fine del medioevo le carote gialle e viola furono introdotte nel bacino del mediterraneo dagli arabi. Arrivarono in Spagna nel XII secolo, in Italia nel XIII, in Francia, Germania e Paesi Bassi nel XIV e in Gran Bretagna nel XV secolo.
Pare che la varietà viola avesse un sapore migliore di quella gialla.
Tuttavia il loro brodo scuro, dovuto alle antocianine, non era molto apprezzato, colorando qualsiasi cosa con cui venisse a contatto.
Nel celebre testo di Maestro Martino da Como “Libro de arte coquinaria”, composto attorno al 1460 e uno dei primi ricettari di cucina scritti in volgare, troviamo una ricetta di pastinache fritte: “Nettirale molto bene, et cavatene fora quello core, cioè quello duro che hanno nel mezo, le farai allessare, et cotte che seranno le ‘nfarinarai molto bene, et poi le frigirai in l’olio.”
Le carote invece compaiono solo in una ricetta per dare un colore pavonazo (viola) alla gelatina, confermando così che all’epoca le carote erano di quel colore: “Simelmente poterai fare pavonazo l’altro quarto bianco, havendo de le carote cotte sotto le brascie, et mondate, levarai dextramente col coltello quella parte di sopra la quale ha il colore pavonazo, et quella mettirai in fondo del sacco in nel quale si cola la decottione de la gelatina, et tante volte reiterando gli buttirai sopra quello brodo bianco riscaldato al foco che habia molto bene preso il ditto colore.”
La carota viola era la più diffusa nel XVI secolo ma a poco a poco il suo uso declinò in Europa e venne usata solo come cibo animale. Nel XVII secolo era quasi sparita e il suo posto era stato preso dalla carota gialla che a sua volta perse importanza con l’avvento della carote arancione, che ora domina il mercato occidentale.
Di grande aiuto nello studio della storia della carota in Europa sono stati i dipinti: dal XVI secolo i pittori olandesi e spagnoli dipingono spesso scene ambientate nei mercati. Nei dipinti di Pieter Aertsen e Nicolaes Maes appaiono carote viola e gialle.
Le carote arancioni compaiono solo nel XVII secolo nei dipinti ad olio dei pittori olandesi e questo farebbero pensare che l’origine di queste sia da cercare in Olanda, forse come selezione di carote gialle dal colore più intenso o con l’apparizione di una mutazione genetica di colore arancio.
Fatto sta che queste carote divennero subito popolarissime e in breve tempo divennero quasi le uniche ad essere mangiate in Europa.
Oggi nei paesi occidentali quasi nessuno mangia carote che non siano arancioni. In passato qualcuno ha già provato a reintrodurre le carote “originarie”, ma con scarso successo. Nel 2002 il tentativo della catena di supermercati britannica Sainsbury’s è fallito. Le carote diverse dall’ormai familiare arancione vengono viste da molte persone con sospetto, “innaturali”.
Un gruppo di scienziati australiani ha dimostrato, con uno studio su topi di laboratorio, che la carota viola ha la capacità di contrastare gli effetti della malsana dieta occidentale. Si tratta di una varietà dell’ortaggio originaria dell’antica Persia che 500 anni fa fu modificata per selezioni successive dagli olandesi (per cambiarle il colore in onore della dinastia regnante degli Orange) possiede preziose qualità antinfiammatorie, oltre che antiossidanti.
Nelle sperimentazioni gli studiosi dell’University of Southern Queensland, guidati dal professore di scienze biomediche Lindsay Brown, hanno alimentato con una dieta ricca di grassi e carboidrati i topi, che in breve tempo sono ingrassati, hanno contratto pressione alta e intolleranza al glucosio (pre-diabete) e subito danni al fegato e al cuore. Nei due mesi successivi gli scienziati hanno aggiunto al cibo succo di carote viola e i risultati, pubblicati sul British Journal of Nutrition, hanno sorpreso gli stessi ricercatori.
“Tutto è tornato normale, pur continuando quella dieta assolutamente terribile”, scrive Brown. A confronto con le carote arancione, quelle viola hanno un contenuto fino a 28 volte maggiore del composto antocianina, l’antiossidante che crea il pigmento viola-rosso nei mirtilli, nei lamponi e in altre bacche commestibili. Sono già note le loro qualità antiossidanti, che contrastano l’azione dei radicali liberi e quindi l’invecchiamento, spiega lo scienziato. Il loro effetto di contrasto alla cattiva dieta indica che sono anche antinfiammatorie.
La prossima fase sarà la sperimentazione umana, ma intanto l’estratto di carote viola già vende bene in farmacia. Brown avverte che le carote viola, o il loro estratto, vanno comunque combinati con una dieta moderata ed esercizio fisico.
Oltre alla carota viola, è bene sapere che esistono anche altre varianti di colore:
la carota rossa: ricca di licopene, ossia un potente antiossidante che combatte l’invecchiamento della pelle e svolge una potente azione protettiva sul cuore;
la carota gialla: ricca di xantofilla che apporta benefici a lungo termine alla salute e mantiene buona la pressione sistolica
la carota bianca: sotto studio, pare abbia capacità preventive e di rallentamento del cancro;
la conosciutissima carota arancione: utilissima per la vista, grazie al betacarotene.
Le carote viola, ne avevo sentito parlare ma non le avevo mai trovate sui mercati e supermercati di Milano (dove abitualmente faccio la spesa).
Le ho incontrate un giorno all’EUROSPAR di Tione di Trento; mi ha incuriosito l’aspetto (un viola molto intenso) e il prezzo non particolarmente elevato (2,50 €/kg rispetto a 1,50 €/kg per quelle tradizionali).
Ma il motivo che, più di altri, mi ha spinto a acquistarle è stato il voler conoscerne il sapore; mi aspettavo, visto l’aspetto, qualche cosa di “particolare”; in realtà, almeno a crudo, il loro sapore è molto simile a quello delle “sorelle” arancioni: forse un poco meno dolci.
Ingredienti (per uno stampo da 24-26 cm)
400 g di carote viola;
200 g di farina tipo”00”;
220 g di zucchero semolato;
90 g di olio di semi d’arachide;
60 g di farina di mandorle;
40 g di granella di mandorle;
30 g di granella di nocciole;
20 g di pinoli;
4 uova medie;
1 bustina di lievito per dolci;
1 bustina di vanillina o 2 cucchiaini di aroma di vaniglia (*);
1 pizzico di sale;
1 noce di burro per ungere lo stampo;
pane grattugiato fine per lo spolvero dello stampo;
Zucchero a velo per guarnire q.b.
1 – Preparazione.
Lavate e sbucciate le carote; vi consiglio di utilizzare dei guanti monouso in lattice poiché, durante questa operazione, le mani si tingeranno un poco.
Utilizzando un mixer o un grattugia per verdure, tritate le carote.
Dopo aver separato i tuorli dagli albumi, montate i tuorli con lo zucchero e l’estratto di vaniglia (o la vanillina) fino ad ottenere una crema spumosa.
Montate a neve ben ferma gli albumi con 2 gocce di limone.
Aggiungete alla crema di tuorli montati, la farina di mandorle, l'olio, il sale, la farina (un cucchiaio alla volta), il lievito (setacciato con la farina), le carote, la granella di mandorle e nocciole e i pinoli.
Amalgamate il tutto molto bene e aggiungete gli albumi montati a neve mescolando con attenzione dal basso verso l'alto per non smontare gli albumi.
2 – Cottura.
Imburrare lo stampo per ciambella e spolverare con del pane grattugiato fine.
Versate il composto nello stampo e infornare a 180 °C, in forno preriscaldato, per 35 min e poi altri 15 min. a 170 °C.
Verificare la cottura con la prova “stecchino” e sfornare.
3 - Presentazione.
Lasciate raffreddare e spolverizzate con abbondante zucchero a velo.
In origine la carota era di colore viola, come ci indicavano testimonianze dell'antico Egitto, ma anche, intorno al X secolo, notizie dall'Iran, dall'Afghanistan e Pakistan.
Nel XIV secolo in Europa si importavano carote viola, bianche e gialle e si ha notizia anche di quelle nere, rosse e verdi.
Nel 1720 gli olandesi decisero di cambiargli il colore in onore della dinastia regnante, gli Orange, e di qui ebbe inizio la trasformazione, che non avvenne in laboratori, come per le moderne "modificazioni genetiche", ma nei campi olandesi, per selezione successiva, partendo da un seme di carota proveniente dall'Africa del nord. Così nel giro di qualche anno si è arrivati ad una carota arancione, perdendo la semenza delle prime.
Il ricercatore Philipp Simon, usando sistemi di incrocio tradizionali, senza cioè l'ausilio delle biotecnologie, è riuscito a ottenere carote con nuove colorazioni, in pratica ha ricreato carote con i colori che avevano in passato. Lo scopo iniziale era quello di far crescere il consumo della verdura sfruttando il suo appeal cromatico. Poi però, studiando le proprietà nutritive delle nuove carote, gli studiosi hanno scoperto di avere fatto centro. I nuovi colori portano, infatti, con sé anche una serie di benefici per la nostra salute.
La famiglia botanica delle Apiaceae (una volta denominata Umbelliferae) comprende più di 3000 specie diverse. Un buon numero di queste ha trovato un uso in cucina come verdure o spezie: coriandolo, cumino, finocchio, sedano, prezzemolo. La più coltivata però è la carota.
Sia la carota selvatica che quella coltivata appartengono alla specie Daucus carota. A causa della grande variabilità all’interno della specie vengono classificate diverse sottospecie, basandosi sul tipo di infiorescenza, sul frutto o su altre caratteristiche. La carota selvatica (Daucus carota ssp. carota) è ampiamente diffusa dalla costa atlantica fino alla Cina, ha una radice bianca, sottile, dura e amara, non troppo appetibile e decisamente poco commestibile.
La carota domestica (Daucus carota ssp. sativus) è una pianta biennale la cui radice si accresce sotto terra durante il primo anno, immagazzinando una gran quantità di carboidrati necessari alla pianta per la fioritura l’anno successivo.
Pastinaca sativa |
Se i Romani mangiassero le carote, e quali, è questione ancora dibattuta.
Sicuramente non conoscevano ancora la nostra carota moderna, dolce e croccante, perché introdotta in Europa mille anni più tardi. A Ostia antica, nella taverna, vi è un dipinto con quella che sembra una carota o una pastinaca.
Apicio, autore del De re coquinaria, il più importante manuale di cucina dell’antica Roma, compilato attorno al 230 d.C. nella parte dedicate alle verdure consiglia tre preparazioni a base di carote o pastinache: fritte e servite con una salsa di vino, condite con sale, olio e aceto oppure lessate, tagliate a pezzetti e insaporite con una salsa di cumino e olio.
Le carote moderne vennero domesticate e coltivate per la prima volta in Afghanistan circa 5000 anni fa. Mentre le carote selvatiche sono bianche o al più giallo pallido, le prime carote coltivate in quella regione erano viola o gialle.
Verso la fine del medioevo le carote gialle e viola furono introdotte nel bacino del mediterraneo dagli arabi. Arrivarono in Spagna nel XII secolo, in Italia nel XIII, in Francia, Germania e Paesi Bassi nel XIV e in Gran Bretagna nel XV secolo.
Pare che la varietà viola avesse un sapore migliore di quella gialla.
Tuttavia il loro brodo scuro, dovuto alle antocianine, non era molto apprezzato, colorando qualsiasi cosa con cui venisse a contatto.
Nel celebre testo di Maestro Martino da Como “Libro de arte coquinaria”, composto attorno al 1460 e uno dei primi ricettari di cucina scritti in volgare, troviamo una ricetta di pastinache fritte: “Nettirale molto bene, et cavatene fora quello core, cioè quello duro che hanno nel mezo, le farai allessare, et cotte che seranno le ‘nfarinarai molto bene, et poi le frigirai in l’olio.”
Le carote invece compaiono solo in una ricetta per dare un colore pavonazo (viola) alla gelatina, confermando così che all’epoca le carote erano di quel colore: “Simelmente poterai fare pavonazo l’altro quarto bianco, havendo de le carote cotte sotto le brascie, et mondate, levarai dextramente col coltello quella parte di sopra la quale ha il colore pavonazo, et quella mettirai in fondo del sacco in nel quale si cola la decottione de la gelatina, et tante volte reiterando gli buttirai sopra quello brodo bianco riscaldato al foco che habia molto bene preso il ditto colore.”
La carota viola era la più diffusa nel XVI secolo ma a poco a poco il suo uso declinò in Europa e venne usata solo come cibo animale. Nel XVII secolo era quasi sparita e il suo posto era stato preso dalla carota gialla che a sua volta perse importanza con l’avvento della carote arancione, che ora domina il mercato occidentale.
Di grande aiuto nello studio della storia della carota in Europa sono stati i dipinti: dal XVI secolo i pittori olandesi e spagnoli dipingono spesso scene ambientate nei mercati. Nei dipinti di Pieter Aertsen e Nicolaes Maes appaiono carote viola e gialle.
Le carote arancioni compaiono solo nel XVII secolo nei dipinti ad olio dei pittori olandesi e questo farebbero pensare che l’origine di queste sia da cercare in Olanda, forse come selezione di carote gialle dal colore più intenso o con l’apparizione di una mutazione genetica di colore arancio.
Fatto sta che queste carote divennero subito popolarissime e in breve tempo divennero quasi le uniche ad essere mangiate in Europa.
Oggi nei paesi occidentali quasi nessuno mangia carote che non siano arancioni. In passato qualcuno ha già provato a reintrodurre le carote “originarie”, ma con scarso successo. Nel 2002 il tentativo della catena di supermercati britannica Sainsbury’s è fallito. Le carote diverse dall’ormai familiare arancione vengono viste da molte persone con sospetto, “innaturali”.
Un gruppo di scienziati australiani ha dimostrato, con uno studio su topi di laboratorio, che la carota viola ha la capacità di contrastare gli effetti della malsana dieta occidentale. Si tratta di una varietà dell’ortaggio originaria dell’antica Persia che 500 anni fa fu modificata per selezioni successive dagli olandesi (per cambiarle il colore in onore della dinastia regnante degli Orange) possiede preziose qualità antinfiammatorie, oltre che antiossidanti.
Nelle sperimentazioni gli studiosi dell’University of Southern Queensland, guidati dal professore di scienze biomediche Lindsay Brown, hanno alimentato con una dieta ricca di grassi e carboidrati i topi, che in breve tempo sono ingrassati, hanno contratto pressione alta e intolleranza al glucosio (pre-diabete) e subito danni al fegato e al cuore. Nei due mesi successivi gli scienziati hanno aggiunto al cibo succo di carote viola e i risultati, pubblicati sul British Journal of Nutrition, hanno sorpreso gli stessi ricercatori.
“Tutto è tornato normale, pur continuando quella dieta assolutamente terribile”, scrive Brown. A confronto con le carote arancione, quelle viola hanno un contenuto fino a 28 volte maggiore del composto antocianina, l’antiossidante che crea il pigmento viola-rosso nei mirtilli, nei lamponi e in altre bacche commestibili. Sono già note le loro qualità antiossidanti, che contrastano l’azione dei radicali liberi e quindi l’invecchiamento, spiega lo scienziato. Il loro effetto di contrasto alla cattiva dieta indica che sono anche antinfiammatorie.
La prossima fase sarà la sperimentazione umana, ma intanto l’estratto di carote viola già vende bene in farmacia. Brown avverte che le carote viola, o il loro estratto, vanno comunque combinati con una dieta moderata ed esercizio fisico.
Oltre alla carota viola, è bene sapere che esistono anche altre varianti di colore:
la carota rossa: ricca di licopene, ossia un potente antiossidante che combatte l’invecchiamento della pelle e svolge una potente azione protettiva sul cuore;
la carota gialla: ricca di xantofilla che apporta benefici a lungo termine alla salute e mantiene buona la pressione sistolica
la carota bianca: sotto studio, pare abbia capacità preventive e di rallentamento del cancro;
la conosciutissima carota arancione: utilissima per la vista, grazie al betacarotene.
Le carote viola, ne avevo sentito parlare ma non le avevo mai trovate sui mercati e supermercati di Milano (dove abitualmente faccio la spesa).
Le ho incontrate un giorno all’EUROSPAR di Tione di Trento; mi ha incuriosito l’aspetto (un viola molto intenso) e il prezzo non particolarmente elevato (2,50 €/kg rispetto a 1,50 €/kg per quelle tradizionali).
Ma il motivo che, più di altri, mi ha spinto a acquistarle è stato il voler conoscerne il sapore; mi aspettavo, visto l’aspetto, qualche cosa di “particolare”; in realtà, almeno a crudo, il loro sapore è molto simile a quello delle “sorelle” arancioni: forse un poco meno dolci.
Ingredienti (per uno stampo da 24-26 cm)
400 g di carote viola;
200 g di farina tipo”00”;
220 g di zucchero semolato;
90 g di olio di semi d’arachide;
60 g di farina di mandorle;
40 g di granella di mandorle;
30 g di granella di nocciole;
20 g di pinoli;
4 uova medie;
1 bustina di lievito per dolci;
1 bustina di vanillina o 2 cucchiaini di aroma di vaniglia (*);
1 pizzico di sale;
1 noce di burro per ungere lo stampo;
pane grattugiato fine per lo spolvero dello stampo;
Zucchero a velo per guarnire q.b.
1 – Preparazione.
Lavate e sbucciate le carote; vi consiglio di utilizzare dei guanti monouso in lattice poiché, durante questa operazione, le mani si tingeranno un poco.
Utilizzando un mixer o un grattugia per verdure, tritate le carote.
Dopo aver separato i tuorli dagli albumi, montate i tuorli con lo zucchero e l’estratto di vaniglia (o la vanillina) fino ad ottenere una crema spumosa.
Montate a neve ben ferma gli albumi con 2 gocce di limone.
Aggiungete alla crema di tuorli montati, la farina di mandorle, l'olio, il sale, la farina (un cucchiaio alla volta), il lievito (setacciato con la farina), le carote, la granella di mandorle e nocciole e i pinoli.
Amalgamate il tutto molto bene e aggiungete gli albumi montati a neve mescolando con attenzione dal basso verso l'alto per non smontare gli albumi.
2 – Cottura.
Imburrare lo stampo per ciambella e spolverare con del pane grattugiato fine.
Versate il composto nello stampo e infornare a 180 °C, in forno preriscaldato, per 35 min e poi altri 15 min. a 170 °C.
Verificare la cottura con la prova “stecchino” e sfornare.
3 - Presentazione.
Lasciate raffreddare e spolverizzate con abbondante zucchero a velo.
(*) Ho utilizzato l’aroma di vaniglia preparato nel
seguente modo: in un vasetto di vetro ho messo 300 ml di vodka, poi ho preso 8
baccelli di vaniglia li ho incisi per la lunghezza e ho raschiato i semini che
vanno aggiunti nella vodka con il resto dei baccelli tagliati a metà.
Si chiude con il tappo e si lascia a riposo per almeno 3 mesi, prima di utilizzarlo, agitando ogni tanto.
Via, via che si consuma l’estratto, si rabbocca con altra vodka e, dopo 2-3 mesi, si elimina 1 baccello vecchio e si rimpiazza con uno nuovo, e così via.
Si chiude con il tappo e si lascia a riposo per almeno 3 mesi, prima di utilizzarlo, agitando ogni tanto.
Via, via che si consuma l’estratto, si rabbocca con altra vodka e, dopo 2-3 mesi, si elimina 1 baccello vecchio e si rimpiazza con uno nuovo, e così via.
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