mercoledì 23 dicembre 2015

Farfalle al salmone.

L'affumicatura è un metodo utilizzato sin dai tempi più remoti per prolungare la conservazione degli alimenti. Oltre a questo effetto tecnologico, grazie alla selezione di vari e specifici tipi di legno, l'affumicatura fornisce un importante contributo al colore, al sapore e all'aroma caratteristico di alcuni prodotti alimentari.


Tra i cibi più frequentemente sottoposti ad affumicatura ricordiamo lo speck, la pancetta, le salsicce, il prosciutto di Praga, i wurstel, il salmone, l'aringa, la provola e la scamorza.
La tecnica tradizionale sfrutta le sostanze presenti nel fumo, liberato dalla combustione lenta ed incompleta, quindi senza fiamma, di vari tipi di legna non resinosa. Queste sostanze penetrano negli strati superficiali dell'alimento, alterandone le caratteristiche organolettiche e prolungandone la shelf-life; a tale scopo vengono generalmente utilizzati trucioli di legni duri - come quercia, castagno, noce, pioppo, acacia, betulla, faggio ecc. - mentre piante aromatiche come timo, alloro, maggiorana e rosmarino hanno la finalità di migliorare i tratti organolettici dell'alimento affumicato. Per legge, durante l'intero processo non possono essere utilizzati legnami e vegetali legnosi impregnati, colorati, incollati, dipinti o trattati in modo analogo. Risulta inoltre sconsigliato l'uso di legni ammuffiti e umidi.

domenica 20 dicembre 2015

Coppette di pere e amaretti.

Lo zucchero a velo o zucchero al velo è sostanzialmente zucchero ridotto ad una finissima polvere che viene usata per guarnire dolci di ogni genere. Alcuni consigliano di produrlo direttamente a casa propria (tritando i granelli di zucchero con l'aiuto di un mixer) per evitare di acquistare zucchero a velo mischiato a farine.

Zucchero a velo.

Tuttavia è stato dimostrato che esiste uno zucchero a velo idrorepellente, ci sono sostanziali differenze tra questo e quello normale: difatti, quando si va a spolverare sulla superficie di dolci umidi quali possono essere crostate di frutta, mousse o crêpes lo zucchero a velo industriale si scioglie rapidamente a differenza di quello idrorepellente. Ciò si verifica poiché lo zucchero a velo in questione è composto da una percentuale molto alta di amidi e in parte minore anche di grassi; proprio per questo è molto difficile da reperire al di fuori dell'ambito professionale. Con alcune accortezze, però, è possibile produrlo in casa.
Lo zucchero a velo è un prodotto dolcificante a base di glucidi, spesso utilizzato in pasticceria come alternativa al comune zucchero granulare (o semolato); tutto ciò grazie al maggior pregio estetico decorativo e alle sue caratteristiche di sottigliezza ed impalpabilità.

Utilizzo zucchero a velo.

Lo zucchero a velo è un alimento secco e dolce; nello specifico, questo ingrediente di pasticceria contiene "polvere di saccarosio". Quest'ultimo, meglio conosciuto come zucchero da cucina, è un disaccaride composto da glucosio e fruttosio vincolati da un legame glicosidico; nella forma classica granulare, il saccarosio è organizzato in cristalli più grossi rispetto a quelli che compongono lo zucchero a velo.
Lo zucchero a velo può essere prodotto anche a livello casalingo partendo da quello semolato.

Coniglio con carote e olive.

Il coriandolo (Coriandrum sativum, L. 1753), prezzemolo cinese conosciuto anche con il nome spagnolo cilantro, è una pianta erbacea annuale della famiglia delle Apiaceae (o Umbelliferae). Appartiene alla stessa famiglia del cumino, dell'aneto, del finocchio e naturalmente del prezzemolo. Coriandrum è una parola latina citata da Plinio (Naturalis Historia), che ha le sue radici nella parola greca corys o korios (cimice) seguita dal suffisso -ander (somigliante), in riferimento alla supposta somiglianza dell'odore emanato dai frutti acerbi o dalla pianta spremendo o sfregando le foglie.

Coriandolo.

Nelle civiltà mediterranee trovò impiego fin nell'antichità come pianta aromatica e medicinale; in alcune tombe egizie viene raffigurato come offerta rituale. Il suo utilizzo da parte dei Micenei è attestato nelle tavolette in lineare B, dove appare definito già come "ko-ri-a-ndo-no". I Romani lo usarono moltissimo ed Apicio ne fa la base di un condimento chiamato appunto "Coriandratum". Secondo Plinio il Vecchio (Naturalis Historia, XX, 82), mettendo alcuni semi di coriandolo sotto il cuscino al levar del sole si poteva far sparire il mal di testa e prevenire la febbre.
Si usano soprattutto i frutti che maturano in giugno/luglio. La raccolta delle ombrelle, recise insieme al loro gambo, deve avvenire al mattino presto quando il coriandolo è ancora umido di rugiada. Vanno quindi essiccate subito altrimenti col tempo perdono molte proprietà. Le ombrelle vengono quindi riunite in mazzi ed appese in luoghi ombreggiati, quando sono ben essiccate si battono all'interno di un sacchetto per separare i frutti dai peduncoli che li sostengono. I frutti si conservano poi in recipienti di vetro. I semi si dovrebbero conservare interi poiché la polvere di coriandolo perde aroma molto facilmente.

Fiori di coriandolo.

Benché originaria dei paesi del Mar Mediterraneo, le foglie fresche ed i semi essiccati sono utilizzati prevalentemente nella cucina indiana e latino americana. In Europa è oggi tornato in auge al seguito di quelle culture culinarie.

sabato 19 dicembre 2015

Penne al baccalà.

L'Oliva taggiasca è una cultivar di olivo, tipica soprattutto del Ponente ligure ed in particolare della Provincia di Imperia.

Olive taggiasche.

È così chiamata perché arrivò a Taggia, qui portata dai monaci di San Colombano, provenienti dall'isola monastero di Lerino. Gli innesti di oliva taggiasca furono nei secoli diffusi in tutta Italia, sebbene la coltivazione maggiore sia sempre rimasta nella provincia di Imperia; questa varietà risulta essere una delle più rinomate per produzione di olio extravergine e una delle migliori olive da mensa, poiché il frutto, nonostante le ridotte dimensioni, è molto gustoso.
Pianta che si sviluppa notevolmente in altezza e può raggiungere i 10 m e oltre; peraltro, le colture liguri prediligono alberi di notevoli dimensioni. Può vivere oltre i 600 anni e raggiunge la produttività dopo circa un triennio. L'albero delle taggiasche si riproduce tipicamente per talea, in quanto da seme tende ad inselvatichire. Le foglie sono medie, rigide, più larghe all'apice, verde brillante sopra e più tenue sotto; i fiori sono bianco-giallastri. La varietà taggiasca è particolarmente sensibile agli agenti negativi sulla coltivazione, come parassiti e stagioni infauste, ma possiede comunque un'ottima redditività fruttifera.

Olio Riviera Ligure DOP.

Benché sia molto suscettibile alla avversità principali, ha produttività elevata e costante; matura tardivamente (gennaio). Il frutto, di forma ellittico-cilindrica e leggermente più grosso alla base, ha altissimo contenuto in olio (25-26%), che oltre-tutto è molto pregiato; esso è di colore giallo (giallo-verde nel savonese), dall'odore di fruttato maturo e dal sapore anche fruttato con sensazione decisa di dolce, sfumatura di piccante e sentori di mandorla e pinolo; l'acidità massima totale è inferiore allo 0,5%, a riprova delle alte qualità organolettiche del prodotto. Spesso quest'olio è pure impiegato nelle miscele per "tagliare" altri olii e conferire ad essi un tocco elegante. Dal gennaio 1997 è stata istituita, per questa coltura, la denominazione di origine protetta, legata a un olio extravergine di oliva detto "Riviera Ligure DOP".

sabato 28 novembre 2015

Torta con noci e nocciole.

Il saccarosio è un composto chimico organico della famiglia dei glucidi disaccaridi, comunemente chiamato zucchero, sebbene quest'ultimo termine indichi un qualsiasi generico glucide (detto anche carboidrato o idrato del carbonio semplice), al quale appartiene anche il saccarosio. In relazione alla sua struttura chimica, il saccarosio è classificabile come disaccaride, in quanto la sua molecola è costituita da due monosaccaridi, più precisamente glucosio e fruttosio.

Zucchero semolato.

A temperatura ambiente e pressione atmosferica si presenta sotto forma di solido (in cristalli) o disciolto in saluzione. Lo si trova largamente in natura, nella frutta e nel miele (in percentuale più bassa rispetto al fruttosio), sebbene, da sempre, esso si estragga dalle piante della barbabietola da zucchero (soprattutto in Europa) e dalla canna da zucchero (nel resto del mondo).
Il saccarosio così estratto viene utilizzato nell'ambito dell'industria alimentare, specialmente dolciaria e pasticciera, prendendo il nome di comune zucchero da cucina (raffinato bianco oppure integrale "grezzo").
Già nel 5000 a.C. si produceva un succo zuccherino attraverso la bollitura e spremitura della canna da zucchero, che pare sia stata esportata dai polinesiani col nome di poba, dapprima in Cina e in India, quindi in Australia. Altre tracce storiche di tale lavorazione vi sono anche nell'America Latina del X secolo a.C. circa.

mercoledì 11 novembre 2015

Filetti di sgombro fritti.

Sgombro

Scomber scombrus, conosciuto comunemente come scombro (o sgombro), lacerto o maccarello, è un pesce di mare appartenente alla famiglia Scombridae. È un tipico pesce azzurro.
Al maccarello è riconosciuta una notevole importanza dal punto di vista alimentare, sia per l'alimentazione umana che per la produzione di mangimi da allevamento animale, tanto che il suo prelievo riveste un'"alta importanza commerciale”: per questo motivo, l'allarme destato dalla costante riduzione di alcuni popolamenti ha portato alla sua inclusione nella Lista rossa delle specie minacciate curata dalla IUCN-Unione. 
Internazionale per la Conservazione della Natura nella categoria "a rischio minimo".
Questa specie è diffusa nelle acque costiere del Mediterraneo e del Mar Nero, nonché nel Nord Atlantico, dalle coste marocchine e spagnole fino al Mar di Norvegia. È presente anche nelle acque islandesi, groenlandesi e al largo del Canada. Abita le acque comprese tra 0 e -200 metri di profondità, svernando in acque profonde e tornando verso le coste nelle stagioni più calde.

Sgombri

Il corpo è allungato e affusolato, con bocca a punta e occhi grandi.
Presenta due pinne dorsali, la seconda delle quali è seguita da 5 piccole pinne stabilizzatrici sul peduncolo caudale, opposte e simmetriche ad altre 5 pinnette tra la pinna anale e la caudale. La coda è fortemente bilobata.
La livrea presenta un dorso grigio-bluastro, che sfuma verso i fianchi fino a incontrare il ventre bianco argenteo. Dal dorso partono delle tigrature verticali nere che arrivano all'altezza della linea laterale. Le pinne sono grigio-azzurre.
Non ha squame e aggiunge eccezionalmente una lunghezza di 50 cm e ha una speranza di vita di 17 anni.

lunedì 9 novembre 2015

Casoeûla Milanese.

La cucina lombarda accomuna gastronomie di province diverse storicamente e orograficamente, con una serie di prodotti gastronomici tipici della produzione agricola della regione.

Piazza Duomo

Un denominatore comune lo si riconosce nei piatti derivati dai prodotti agricoli disponibili in funzione delle sue risorse naturali: le acque di laghi e fiumi, i pascoli, quindi pesce d’acqua dolce, il latte e i suoi derivati (formaggi e burro), la carne bovina e suina, il riso e il mais.
Sui metodi di elaborazione e di cottura di questi alimenti hanno avuto influenza le dominazioni che nel corso dei secoli vi si sono succedute: dai celti ai romani, fino agli austriaci, spagnoli e francesi di un più recente passato. Non per nulla, le saporite polpette di carne cotta che i milanesi chiamano mondeghili, prendono il nome dalle consorelle catalane, che in quella lingua si dicono appunto mandonguilles.
La cucina lombarda è cucina delle lunghe cotture, dei bolliti e degli stufati, degli intingoli adatti ad accompagnarsi alla polenta più che al pane, del riso e delle paste ripiene più che della pasta di grano duro, del burro e del lardo più che dell’olio.
Sono specialità tipiche della Lombardia: la büsèca, ovvero la trippa cucinata in un modo particolare (in asciutto o in brodo); la luganega, ovvero la salsiccia, di origine lucana (come suggerisce il nome dialettale); la pulénta üncia, ovvero la polenta ai formaggi e al burro cucinata in un modo particolare; il tocch, altra varietà molto particolare di polenta al burro.

Tram milanesi

Esistono poi ricette, dolci e bevande tipiche di particolari località, quali i nocciolini e il vespetrò(di origine savoiarda) di Canzo; oltre che i vari tipi locali di frittelle, che prendono nomi diversi (cutiscia, cutizza, miascia, paradèll, turtèll...) in base agli ingredienti ed al metodo di preparazione. 
La cucina milanese è fortemente caratterizzata dagli elementi del territorio, quali la risicoltura e l'allevamento di bovini e suini, e annovera numerosi piatti rigorosamente locali. Nello stesso tempo, il ruolo di centro di scambio come capoluogo di una vasta regione, ne ha fatto anche una sorta di sommatoria delle cucine e tradizioni gastronomiche della Lombardia, con in più influenze e scambi con quelle dei dominatori che si sono succeduti nel tempo.
Tra i piatti più noti vi sono il risotto giallo con lo zafferano, la cotoletta, la
casoeûla con vari tagli di maiale e verza, piatto calorico adatto alla stagione invernale (simile al bottaggio); tra i dolci abbiamo, il panettone, che altro non era che il pane grande preparato in occasione delle solennità natalizie.

martedì 27 ottobre 2015

Confettura di carote e pere con zenzero e cannella.

Cannella: nota spezia di colore giallo-marrone, il cui sapore piccante, impreziosito da sfumature dolciastre, arricchisce dolciumi e liquori di vario tipo. Il suo aroma, secco e pungente, ricorda quello dei chiodi di garofano e si accompagna a note pepate.

Cannella.

La cannella è costituita dalla corteccia di alcuni alberi appartenenti alla famiglia delle Lauraceae; tra i più noti ricordiamo le specie Cinnamomum zeylanicum o cannella propriamente detta e Cinnamomum cassia o cannella cinese.
Entrambe le piante di cannella vivono in zone tropicali e per questo motivo non possono essere coltivate in regioni a clima temperato se non in serra.
Alla stessa famiglia di piante appartengono anche il lauro e la noce moscata.
La corteccia, liberata dal sughero esterno e dal parenchima sottostante, viene frammentata, arrotolata in cilindri multistrato ed essiccata. La qualità migliore, più fine e costosa, si ricava da Cinnamomum zeylanicum, denominata anche Cinnamomum Vera; si tratta di un arbusto originario dello Sri Lanka (in precedenza Ceylon), che ancora oggi rimane il più importante produttore a livello mondiale. Si distingue dalle altre varietà di cannella per il colore chiaro ed il sapore dolce; si presenta in cilindri (denominati cannelli) di 20-80 centimetri con diametro intorno ai 10 mm. Viene raccolta due volte all'anno, in primavera ed autunno dopo la stagione delle piogge.

Pianta di cannella.

La cannella cinese (Cinnamomum cassia o Cinnamomum Aromaticum) si caratterizza per un colore rosso vivo, con aroma e sapori meno delicati; viene prodotta in Cina, Bangladesh, India e Vietnam, è costituita da cannelli più corti e spessi e si colloca ad un gradino di qualità inferiore. In generale, tanto più sottile è la corteccia e tanto più pregiata è la droga; inoltre, la forma in bastoncini - da sbriciolare al momento dell'uso - è da preferire alla cannella in polvere, che in questa forma può essere più facilmente sofisticata e tende a perdere molte delle sue caratteristiche originarie.

domenica 25 ottobre 2015

Olive all'ascolana.

Le olive ascolane sono un piatto tipico della provincia di Ascoli Piceno, oggi diffuse in tutto il territorio italiano dove, diversamente dalla città d'origine, vengono generalmente servite assieme ad altri prodotti fritti come antipasto.

Olive all'ascolana.

Le olive ascolane devono il loro nome alla città di Ascoli Piceno. Sono composte da olive verdi in salamoia, drupe da mensa dalla delicata polpa carnosa, che ben si prestano ad essere farcite all'interno da un composto tenero a base di carne.
Rappresentano una prelibatezza gastronomica del territorio ascolano e sono uno dei piatti più rappresentativi del Piceno. Si accompagnano spesso ad altre fritture come i rustici, la carne, la verdura (il fritto misto all'ascolana prevede carciofi, zucchine e cotolette d’agnello) e la crema fritta. Il risultato di quest'ultimo accostamento alimentare è riuscire ad apprezzare contemporaneamente il salato delle olive e il gusto dolce della crema.
L'ascolano Benedetto Marini, a seguito delle sue ricerche, data la nascita della ricetta delle olive ascolane ripiene e fritte nell'anno 1800. Al tempo, i cuochi che prestavano la loro professionalità presso le famiglie della locale nobiltà, accordandosi tra loro, inventarono il ripieno delle olive per consumare le notevoli quantità e varietà di carni che avevano a disposizione, dovute alla maggiorazione delle regalie che gravavano sui contadini verso i loro padroni.
Non mancano mai sulle tavole degli ascolani nei giorni di festa (è una delle tradizionali pietanze del pranzo della Domenica) ed è un rito prepararle.
In città e nei dintorni le olive ripiene si possono acquistare nei locali negozi di pasta all'uovo e gastronomie.

Tenera Ascolana.

Maccheroni alla bersagliera.

Uno tra i più conosciuti salumi italiani, il Salame Milano è anche noto come Crespone.
Deriva da un impasto di carne suina e bovina macinato fine a grana di riso e insaccato in crespone (budello ottenuto dall’intestino crasso) di suino o, data la produzione su larga scala ormai estesa a tutto il territorio nazionale, in budello sintetico.

Salame Milano.

È un prodotto di dimensioni notevoli, insaporito semplicemente con sale e aromi quali pepe e aglio.
La stagionatura è tra le più lunghe e varia dalle 3 alle 9 settimane in relazione al diametro del salume, allo scopo di raggiungere una buona compattezza della parte grassa e magra.
Molto simile sia per l’aspetto che per il gusto al salame ungherese, il Salame Milano presenta però un procedimento di lavorazione diverso, in cui si utilizzano una maggior varietà di spezie.
Il colore è sempre di un rosso acceso, quasi rubino nella sua tonalità, la pasta con aspetto tipico a grana di riso è compatta, ma non elastica.
Prodotto con lunghezza variabile dai 20 ai 60 centimetri, il salame presenta un diametro compreso tra i 6 e gli 11 centimetri. Il peso dipende dalle dimensioni ed è tra i 2 e i 3 chilogrammi.
In origine prodotto solo a Codogno e a san Colombano al Lambro, oggi il Salame Milano è prodotto in tutto il territorio lombardo.
In Italia e in particolare nella zona di Milano, la parola salame appare per la prima volta in un documento del 1475.

Salame Milano.

Il 27 maggio dello stesso anno, infatti, furono celebrate le nozze fra Costanzo Sforza, nipote di Ferdinando, e Camilla d’Aragona; in occasione del banchetto nuziale si narra di "salami de più ragione in piattelli del paese". Per indicare lo stesso prodotto, comunemente si utilizzavano i termini: salziozone o cervellato. Alla fine del ’700, invece, queste definizioni scomparvero per lasciare il posto all’attuale denominazione di salame.

sabato 24 ottobre 2015

Cotolette di mortadella.

La mortadella di Bologna è un salume a Indicazione Geografica Protetta (IGP). In alcune zone del nord Italia, essa è più comunemente nota col nome di Bologna, ovvero col nome della città in cui essa fu inventata.
 
Mortadella

L'origine del nome "mortadella", è tuttora fonte di dibattito, ma risalirebbe all'epoca dell'Impero Romano, secondo alcuni deriverebbe da mortarium (mortaio), l'utensile usato per schiacciare la carne di maiale; condividerebbe quindi l'etimo con "la mortadela" trentina (salume niente affatto simile).
Altri ritengono invece che provenga da mortarum, una salsiccia aromatizzata con bacche di mirto, oppure da “murtatum” che significa, appunto, carne finemente tritata nel mortaio.
La mortadella è nata probabilmente nel I secolo, e la sua produzione si è sviluppata in un'area compresa tra Emilia-Romagna e Lazio; tuttavia, per un periodo di tempo, questo salume entrò nell'oblio, ma ricomparve nel tardo Medio Evo, dove veniva prodotto esclusivamente nella città di Bologna.
Le sue origini sono da ricercare nei territorio dell'antica Felsina etrusca e della Bononia dei Galli Boi, che vivevano in ambienti ricchi di boschi di querce che fornivano le ghiande, principale alimento dei maiali di allora, allevati allo stato brado o addomesticati.
Si parla della mortadella già nei libri di cucina del 1300, anche se è probabile che esistessero diversi tipi di mortadella confezionate con carni di vitello e di asino.
La mortadella è un insaccato cotto dalla forma cilindrica od ovale, di colore rosa e leggermente speziato. Il primo a raffigurare la mortadella fu Luigi Maria Mitelli in una incisione della seconda metà del '600, e secondo alcuni la ricetta risale al 1557.
Un tempo per produrre la mortadella si impiegavano carni di varie specie animali tra cui suini, bovini ed equini e nelle mortadelle di qualità inferiore venivano utilizzati i tagli meno nobili delle carni scadenti di diverse specie animali unitamente alle frattaglie. Nonostante tutto la mortadella era un cibo per ricchi in quanto la difficoltà di produzione e la lunghezza del procedimento la rendevano piuttosto costosa.
Oggi le cose sono molto cambiate e la mortadella Bologna, di puro suino, ha ottenuto nel 1998 la certificazione IGP.
Per la sua preparazione vengono impiegati solo tagli nobili (carne e lardelli di elevata qualità) e la sua produzione avviene secondo un preciso disciplinare.

Mortadella

venerdì 23 ottobre 2015

Pasta e fagioli.

Quale è il piatto più "nazionale" d’Italia? Cioè quello presente veramente in tutte le regioni, dalle Alpi al Mediterraneo? Facile, è la pasta e fagioli.
Certo, i tipi di fagioli usati sono diversi, come pure i tipi di pasta ed i condimenti utilizzati. Però un piatto di pasta e fagioli lo troverete ovunque. Alla base c'è un alimento straordinario: il fagiolo.

Pasta e fagioli.

La storia della pasta e fagioli inizia oltre duemila anni fa: il fagiolo e il grano duro, amanti per contrasto sia per il contenuto dei nutrienti sia per forma che per colore si dettero appuntamento in Italia, alcuni dicono a Roma altri ipotizzano Napoli, per consumare una notte di passione. Il letto di nozze avrebbe dovuto essere appunto una pasta e fagioli. Il grano duro fu il primo ad arrivare sul luogo dell’appuntamento: arrivò intorno al primo secolo a.C..
Il fagiolo invece non fu puntuale: viveva in America e fu costretto ad aspettare Cristoforo Colombo che finalmente arrivò esattamente nel 1492. Il fagiolo, grazie alle scoperte geografiche di quell’epoca ed alle imprese dei navigatori spagnoli e portoghesi, riuscì ad imbarcarsi per il vecchio continente solo intorno al 1530 insieme ad altre colture come i pomodori e i peperoni. Nel XVI secolo, infatti, giunsero in Europa. Nel frattempo il grano duro si consumava in un’estenuante attesa cercando invano di abbellire la mensa degli uomini di potere.

Pasta e fagioli.

Il Lucano Orazio, Poeta latino di Venosa, nato nel 65 a.C., nella VI Satira racconta che amava tornare al borgo natio per mangiare la zuppa “lucana”, ceci e porri. Era un piatto semplice, molto amato dal poeta, forse non troppo dissimile dalla nostra pasta e ceci. 
Secondo gli studiosi di gastronomia è questo il primo riferimento scritto alla pasta, la cui invenzione pare possa essere attribuita agli Italiani, dal momento che anche atti notori del 1244 e 1279 citano questo prodotto e che Marco Polo tornò dalla Cina solo nel 1292, cioè ampiamente dopo queste date. Alla base della preparazione della pasta è la straordinaria qualità del grano duro che in Italia aveva trovato condizioni ideali e che è stato coltivato da sempre con ottimi risultati. Per farla breve la pasta dovette attendere circa 1500 anni, anzi esattamente 1532 anni fino a quando sbarcò il fagiolo. Questa nuova specie si fece subito notare e catturò le simpatie del Clero. Il fagiolo americano deve il suo successo ad un sacerdote e letterato: Pietro Valeriano Bolzanio, un bellunese che nel borgo natio di Castion seminò e seguì scrupolosamente le sementi che aveva portato da Roma. I fagioli gli sono stati consegnati personalmente da Papa Clemente VII con il preciso intento di farli fruttificare in nuove regioni. In breve tempo, una folta vegetazione di foglie seguita da una insolita fioritura di gemme che rapidamente si trasformarono in baccelli pieni di legumi, svettò dalle finestre della canonica: era il Phaseolus vulgaris, una nuova specie di pianta esotica portata dal Nuovo mondo che l’imperatore Carlo V aveva fatto dono al Papa. Pietro Valeriano intuì, quasi subito, le grandi possibilità di espansione della nuova pianta che riuscì ad acclimatarsi, senza difficoltà, nella terra e negli orti, nelle vallate e sulle colline. Il fagiolo nel giro di pochi anni si diffuse nelle aree a clima temperato-caldo ampliando notevolmente l’areale di coltivazione.

giovedì 22 ottobre 2015

Confettura di pere con vaniglia e cocco.

Etimologicamente, il nome Vaniglia deriva dello spagnolo vainilla che deriva a sua volta dal latino vagina che significa guaina, baccello. 
Nella maggior parte delle lingue, la vaniglia si identifica per dei nomi foneticamente molto simili: vaniglia in italiano vanilla in inglese, wanilia in polacco, vanilj in svedese, vanille in francese.

Baccelli di vaniglia.

Flessibile e poco ramificata, la liana di vaniglia, anche chiamata vaniller, si sviluppa per crescita del germoglio e forma dei lunghi terminali che si arrampicano all'assalto del loro supporto per più di dieci metri. Se il fusto è rotto, si può eseguire facilmente una talea che permette la moltiplicazione della pianta, in natura così come in coltivazione.
Le foglie sono alternate lungo i lati del gambo. Sono piatte, intere, ovali con la punta aguzza, all'incirca tre volte più lunghe rispetto alla larghezza e possono raggiungere la misura di quindici centimetri. Il gambo e le foglie sono verdi, carnosi, contenenti un succo trasparente e irritante che provoca sulla pelle delle scottature e pruriti persistenti. Nelle vicinanze dell'attaccatura delle foglie ci sono spesso delle radici aeree che permettono alla pianta di appendersi al suo appoggio o se necessario ad una talea di radicarsi.I fiori, in gruppi di otto o dieci, formano dei piccoli bouquet. Di colore bianco, verdastro o giallo pallido, hanno una struttura classica di un fiore d'orchidea malgrado un'apparenza molto regolare.
La fecondazione necessita l'intervento d'un ausilio specializzato: in natura, nelle regioni d'origine è effettuato grazie a degli insetti del genere Melipona, un genere di api senza pungiglione. Dopo la fecondazione, l'ovario che serve da picciolo alla base del fiore si trasforma in grosso pendente lungo da 12 a 25 centimetri.
I baccelli freschi e ancora inodori hanno un diametro da 7 a 10 millimetri. Contengono migliaia di semi minuscoli che sarebbero liberati per esplosione dei frutti maturi se non si provvedesse a raccoglierli ancora verdi.

Baccelli verdi di vaniglia.

La vaniglia è originaria delle foreste tropicali umide della costa orientale messicana dove vive nel sottobosco. Ma la vaniglia è soprattutto conosciuta come pianta coltivata. È la storia di questa spezia che ha contribuito a diffondere la coltura di questa pianta nella maggior parte delle regioni tropicali umide del mondo. 
Per più di due secoli, nel XVII secolo e XVIII secolo, il Messico, e in particolare la regione di Veracruz, conserva il monopolio della vaniglia. I Totonachi (antica popolazione Amerinda) rimangono i primi produttori fino alla metà del XIX secolo. Tutti i tentativi di far riprodurre questa orchidea al di fuori del proprio habitat naturale falliscono. Fino al XIX secolo infatti si ignorava che le api melipona giocano un ruolo fondamentale per la fecondazione e la formazione del frutto.
La prima impollinazione artificiale del vaniller fu effettuata nel 1836 nel Giardino Botanico di Liegi da parte del naturalista belga Charles Morren poi, nel 1837, da parte dell'ortocultore francese Joseph Henri François Neumann. Non è un caso se nel 1841 un giovane schiavo di Bourbon di dodici anni, Edmond, mise a punto il procedimento pratico tuttora utilizzato. Questo metodo d'impollinazione, la cui paternità viene ingiustamente rivendicata dal botanico francese Jean Michel Claude Richard, fa dell'isola di Bourbon il primo centro "vanigliero" del pianeta, qualche decennio dopo l'introduzione dell'orchidea sul suo suolo nel 1819. Con l'abolizione della schiavitù, nel 1848, a Edmond venne dato il patronimico "d'Albius", correlato al colore bianco del fiore di vaniglia.

giovedì 15 ottobre 2015

Coniglio al forno con patate.

Il coniglio ha una carne magra e poco calorica che oscilla tra le 120 e le 160 Kcal per 100 g; può quindi essere consumato nelle diete ipocaloriche in cui è essenziale variare un po’ gli alimenti per non annoiarsi e scoraggiarsi e poi perché una dieta varia serve ad avere tutti gli elementi essenziali per il nostro organismo.
E’ bene consumare questo tipo di carne qualche volta al mese perché  è una fonte molto ricca di Omega 3, di vitamine B, E, PP, e di fosforo, inoltre è un alleato molto prezioso per combattere e prevenire il colesterolo e le malattie cardiovascolari.
Quando si acquista il coniglio occorre guardare sempre bene l’etichetta, in cui con metodi più o meno chiari, è sempre indicata la provenienza e il modo in cui è stato allevato; in ogni caso, per essere di buona qualità, il coniglio deve avere una carne rosea, il fegato rosso e brillante, i rognoni devono essere circondati da una parte di grasso e le cosce devono essere carnose e piene.

Io cucino il coniglio abbastanza spesso e in vari modi; oggi voglio raccontare una collaudata ricetta di mia madre (pugliese) che, nel tempo, ho leggermente modificata.
Da sempre era la ricetta del coniglio al forno che faceva e che fa tutt’oggi; ad  onor del vero, altre al coniglio, mia madre mette anche delle puntine di maiale che rendono il tutto più “untosamente” saporito.
Io preferisco utilizzare solo coniglio!

Coniglio al forno con patate.

Ingredienti (per 4-6 persone) 
1,5 Kg di coniglio a pezzi; 
1 Kg di patate;
200 g di pomodori ciliegino;
4 Cucchiai di grana grattugiato;
4 Cucchiai di pane grattato;
6 Cucchiai di olio EVO;
2 Spicchi d’aglio;
1 Bicchiere di vino bianco secco;
½ Bicchiere di aceto bianco;
1 Bicchiere di acqua;
1 Cucchiaio di mix di odori: salvia, rosmarino e timo tritati;
1 Mazzetto di prezzemolo;
Sale e pepe q.b.

1 – Preparazione.
Lavare il coniglio e ridurre ulteriormente i pezzi più grossi a dimensione minore. Mettere i pezzi di carne in una bacinella e bagnare con  il vino ben miscelato con l’aceto e un pizzico di sale; lasciare a riposo per almeno 1 ora.
Tritare fine mente l’aglio e, separatamente, anche il prezzemolo lavato e mondato.
In una ciottolina aggiungere 2 cucchiai di pane grattato, 2 cucchiai di grana, un pizzico di sale, il pepe, la miscela di odori tritati (salvia, rosmarino e timo) e mescolare bene.
Pelate le patate, lavatele e tagliatele a rondelle di 3-4 mm di spessore; scottate, per 2-3 min. le fette di patata in acqua salata portata a bollore (questo passaggio permette di ridurre il looro tempo di cottura delle).
Scolate le patate e lasciatele raffreddare; trasferitele in una bacinella, aggiungete il mix di formaggio, pane grattato, odori e mescolate molto bene.

2 – Cottura. 
In una casseruola mettete 3 cucchiai di olio EVO, 1 spicchio d’aglio tritato, i pezzi di coniglio scolati e rosolate, a fiamma viva, sino a quando il liquido liberatosi dalla carne si sarà asciugato e ogni pezzo di carne sarà ben colorito (dovrebbero bastare 10-15 min.). 
Trasferire il coniglio, con tutto il suo intingolo, in una teglia da forno; coprite con un foglio di alluminio e cuocete per 30 min. in forno preriscaldato a 180 °C; dopo 15-20 min. rivoltate i pezzi di coniglio e completate la cottura dopo aver aggiustato di sale e pepe.
Trascorso il tempo, togliete la teglia dal forno e aggiungete le patate facendo uno strato compatto; spolverate uniformemente con, il restante, formaggio, il pane grattato, l’aglio, un cucchiaino di prezzemolo tritato e i pomodorini tagliati a metà.
Unite l’olio EVO, restante, a filo, ½ bicchiere d’acqua calda, coprite con il foglio d’alluminio e infornate nuovamente a 180 °C per circa 30 min.
Dopo 15 min. togliete il foglio di alluminio e, nel caso che il coniglio sia troppo asciutto, aggiungere altra acqua  calda (la preparazione, alla fine, dovrà essere umida: non brodosa ma neppure troppo asciutta); completare la cottura azionando il grill (in questo modo lo strato superficiale dorerà e diverrà croccante).
Trascorso il tempo, verificare la cottura della carne e delle patate e, se necessario, aggiustare di sale e proseguire ancora per qualche minuto assicurandosi che il coniglio non asciughi troppo. 

3 - Presentazione.
A cottura ultimata, spegnere il forno e lasciare la teglia al suo interno, per altri 10-15 min., lasciando lo sportello leggermente socchiuso.
Servire il coniglio con patate non troppo caldo.