mercoledì 27 aprile 2016

Il gnocco fritto.

Gnocco fritto è una denominazione tipica nelle province di Modena, Reggio Emilia e Bologna per un prodotto alimentare italiano tipico dell'Emilia, il cui nome varia da un'area all'altra. Nelle province di Modena e Reggio Emilia viene chiamato semplicemente gnocco fritto o gnòc frett dal dialetto locale.

Il gnocco fritto.

In gran parte della provincia di Parma viene chiamato torta fritta e nella provincia di Ferrara viene chiamato pinzino. Nel Bolognese viene chiamato più comunemente crescentina. In provincia di Piacenza è tradizionale dell'area nord-orientale, dove è conosciuto con la dizione dialettale di chisulén (italianizzata in chisolino).
In provincia di Reggio Emilia il termine gnocco, non fritto, indica una focaccia fatta al forno con lardelli di maiale, molto diffusa. Fondamentale per tanto aggiungere l'attributo "fritto" che indica un prodotto piuttosto differente.
La regione Emilia-Romagna e il Ministero delle Politiche Agricole, Alimentari e Forestali hanno incluso il gnocco fritto, con la settima revisione, nell'elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali italiani (P.A.T.).
Nel 2011 è nata a Modena la Confraternita del Gnocco d'Oro, per tutelare, promuovere e divulgare la cultura gastronomica modenese, un'associazione di gourmet, senza scopo di lucro che ha editato un volume sul gnocco fritto modenese, con riferimenti storici, letterari, gastronomici, ricette, e una guida ai 100 bar dove avviene ogni giorno la colazione alla modenese, dove cioè poter gustare fritto al momento, un fumante pezzo di gnocco. Nel novembre 2013 uscirà il nuovo volume, dedicato al gnocco nella ristorazione.

Il gnocco fritto.

Sebbene i puristi della lingua italiana pretendano l'uso dell'articolo "lo" davanti al gruppo consonantico "gn", tutta la letteratura culinaria e la popolazione locale rivendicano l'uso dell'articolo "il" giustificandolo come solecismo. Tullio De Mauro, a tal proposito, afferma che "talvolta un solecismo, una forma linguistica che la grammatica definisce scorretta, può essere giustificato se il suo uso risulta continuo e radicato in una determinata area geografica". Anche in tutta la provincia di Mantova, sebbene davanti a "gn" si usi l'articolo "lo" (p.es.: "lo gnomo"), quando si tratta di "gnocco" si dice sempre "il gnocco, i gnocchi". "Lo" viene percepito come una vera stranezza, o addirittura (alla rovescia!) come un errore di grammatica. Persino le persone colte considerano chi dice "lo" come minimo un pedante.
Le sue origini sono da ricercarsi sicuramente nella tradizione culinaria dei Longobardi che, sembra, abbiano tramandato la ricetta agli emiliani durante la loro dominazione. Fino dalla metà del ‘900 lo gnocco fritto ha rappresentato la base della colazione invernale contadina, quando, tra novembre e dicembre si uccideva il maiale avendo così a disposizione lo strutto, ingrediente insostituibile per una buona riuscita dello gnocco fritto: necessario nell'impasto ed indispensabile per la cottura. La tradizionalità del prodotto è stata riconosciuta ufficialmente con l'inserimento del Gnocco Fritto nell'elenco nazionale dei Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT), che secondo la revisione del 16/06/2010, risulta iscritto al nr. 124 dell'Elenco Regionale della Regione Emilia Romagna.

Cercando in rete, ho trovato una miriade di possibili varianti per la preparazione di questo pilastro della tradizione emiliana e, non avendo una ricetta di riferimento, ho provato questa che è un mix di varie ricette.
Il risultato mi è parso buono ma mi riprometto di fare altre prove.

Il gnocco fritto.

Ingredienti (per 6-8 persone).
500 g di farina 1 macinata a pietra;
130 g di latte intero;
200 g di acqua gassata;
20 g di strutto morbido;
10 g di sale;
Mortadella q.b.
Olio EVO per friggere q.b.

1 – Preparazione.
Mettete in una ciotola la farina con il latte, l’acqua, lo strutto e il sale.
Lavorate l’impasto fino a ottenere una pasta liscia e omogenea.
Arrotolate a palla e fate riposare, coperto con la pellicola trasparente, per almeno 30 minuti.
Rovesciate l’impasto sulla spianatoia e stendetelo a rettangolo allo spessore di 2 mm.
Con una rotella dentellata ricavate tante strisce di pasta, larghe 5-6 cm e poi formate dei rombi della dimensione che più vi aggrada.

2 – Cottura.
In una padella mettete abbondante olio EVO e friggete i vostri “gnocchi” in abbondante olio caldo (almeno 160 °C) per pochi minuti; scolateli e fateli asciugare su carta assorbente da cucina per eliminare l’eccesso di olio.

3 - Presentazione.
Servite il vostro gnocco fritto accompagnato (o farcito) con la mortadella o con affettati a piacere.

Riepilogo costi-Kcal.

Risotto con fiori di sambuco.



l sambuco comune, o anche Sambucus Nigra nella sua denominazione scientifica, è una pianta molto comune sullo Stivale, solitamente ascritta alla famiglia delle siepi. Le dimensioni abbastanza ridotte, infatti, fanno di questo albero un vegetale pressoché ubiquitario: lo si trova nei boschi di montagna, nei parchi cittadini, ma anche a ridosso di strade e aree urbane. Oltre alla sua funzione prettamente ornamentale (il sambuco presenta piccoli fiori bianchi e bacche violacee) da sempre è sfruttato nella medicina popolare. Quali sono le sue proprietà curative? 

Pianta di sambuco comune.

Del sambuco si utilizzano sia la pianta che le bacche, per scopi diversi per l’organismo. Attenzione, però, perché la varietà commestibile non deve essere confusa con il Sambucus ebulus che è velenoso per l’uomo; di seguito descriverò alcune caratteristiche per poter meglio riconoscere le due specie (*). 
Della pianta di sambuco si sfruttano principalmente i fiori e le foglie. Dal punto di vista nutrizionale, il vegetale è ricco di vitamine A, B1, B2, B3, B5, B6 e C, a cui si aggiungono flavonoidi, triterpeni, glicosidi, zuccheri e tannini. Dai fiori si ricava solitamente un infuso, noto per la sua capacità di aumentare la sudorazione corporea, così da favorire l’eliminazione delle tossine e la contenzione della temperatura durante gli stati febbrili. Uniti alle foglie, i petali in infusione vengono impiegati per la creazione di tisane contro i problemi delle vie respiratorie (come asma, tosse e raffreddori) anche perché i flavoni della pianta hanno un effetto vasodilatatore che sblocca tutte le occlusioni dovute dal muco in eccesso. Per questo, fiori e foglie possono essere adoperati anche per migliorare la circolazione sanguigna, soprattutto quella periferica, sia con l’assunzione orale che con impacchi localizzati per limitare la rottura dei capillari o per un rapido sollievo alle scottature. Sempre in impacco e sempre per le sue proprietà sulla circolazione, il sambuco è utile anche per lenire il dolore a gambe e articolazioni nelle donne, così come il gonfiore dovuto ad attività fisiche intense o a una giornata sui tacchi. Negli uomini, invece, la tisana è largamente utilizzata per contenere i fastidi del mal di schiena. 

Fiori di sambuco comune.

Le bacche di sambuco sono principalmente composte da acqua, ma al loro interno non mancano carboidrati, fibre e sali minerali come il potassio, il magnesio, lo zinco, il sodio e il calcio. Il loro impiego è quasi strettamente legato al benessere dell’apparato digerente, grazie alla loro unica capacità di risolvere anche le più grave condizioni di stitichezza.

martedì 26 aprile 2016

Frittelle con fiori di robinia.

La Robinia pseudoacacia L., in italiano robinia o acacia, è una pianta della famiglia delle Fabaceae, dette anche Leguminose, originaria dell'America del Nord e naturalizzata in Europa e in altri continenti.
Pianta con portamento arboreo (alta fino a 25 metri) o arbustivo; spesso cedua, con forte attività riproduttiva agamica, i polloni spuntano sia dal colletto sia dalle radici.

Pianta di Robinia.

Corteccia di colore marrone chiaro molto rugosa. 
Foglie imparipennate (foglie composte da un numero dispari di foglioline disposte ai lati opposti della nervatura centrale, più una all'apice), lunghe fino a 30-35 cm con 11-21 foglioline ovate non dentate lunghe fino a 6 cm con apice esile. Aperte di giorno mentre la notte tendono a sovrapporsi.
Fiori bianchi o crema, lunghi circa 2 cm simili a quelli dei piselli, riuniti in grappoli pendenti di profumo molto gradevole. Frutti a forma di baccello prima verdi poi marroni lunghi circa 10 cm, deiscenti a maturità.
Presenza di numerose spine lunghe e solide sui rami più giovani.
La specie è originaria dell'America del Nord, precisamente della zona degli Appallaci, dove forma boschi puri. Fu importata in Europa nel 1601 da Jean Robin, farmacista e botanico del re di Francia (all'epoca Enrico IV). 
All'Orto Botanico di Parigi (il Jardin des Plantes) sono ancora presenti i ricacci arborei di questo primitivo esemplare nato da seme e trapiantato nel 1636. L'esemplare di Parigi detiene quindi il primato di longevità in Europa, cosa ancor più notevole essendo l'acacia una specie poco longeva. Carlo Linneo, il grande naturalista a cui si devono i nomi scientifici di migliaia di piante, vide questo esemplare e denominò la specie Robinia pseudoacacia, istituendo il genere Robinia per ricordare Robin che l'aveva introdotta in Europa.

Foglie di Robinia.

Dopo l'arrivo nel vecchio continente si diffuse spontaneamente negli ambienti più disparati, ed è ora naturalizzata in gran parte dell'Europa centrale, dal sud dell'Inghilterra e della Svezia, fino alla Grecia, Spagna e perfino Cipro. È particolarmente diffusa in Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Austria, Ungheria, Italia, Slovenia. È naturalizzata anche in Turchia e Israele, nonché in Australia e Nuova Zelanda. Viene diffusamente coltivata in piantagioni da legno in vari paesi europei (Ungheria: 270.000 ettari; Francia: 100.000 ettari) ed extraeuropei (Cina: 1 milione di ettari; Corea del Sud: 270.000 ettari). È diffusa anche in Africa. In Italia la robinia è stata introdotta nel 1662 nell'Orto botanico di Padova ed è ora presente praticamente ovunque, in particolare in Piemonte (dove i boschi puri e misti di robinia coprono una superficie di circa 85.000 ettari), in Lombardia, in Veneto e in Toscana (ove si trovano cedui molto produttivi).

lunedì 25 aprile 2016

Fiori di zucchina fritti.

La zucchina o zucchino (Cucurbita pepo L.) è una specie della famiglia delle Cucurbitaceae i cui frutti sono utilizzati immaturi. È una pianta annuale con fusto erbaceo flessibile strisciante o rampicante, gracile.

Fiore di zucchina
Fiore di zucchina maschile
 La pianta produce fiori monosessuati. I fiori maschili (hanno il gambo lungo e sottile e sono quelli che si raccolgono per usarli in cucina) sono sterili, ma necessari per l'impollinazione dei fiori femminili (il gambo è ingrossato e/o è a forma arrotondata), a partire dei quali si sviluppa il frutto. L'impollinazione avviene per azione di insetti o del vento (vista la vicinanza sulla stessa pianta dei fiori maschili e femminili).

Zucchina con fiore
Fiore di zucchina femminile
Il fiore di zucca o fiore di zucchino (chiamato anche fiorillo), dal colore giallo-arancione, è molto utilizzato in campo culinario, solitamente fritto, per ricavarne piatti come gli scurilli napoletani o i fiori di zucca in pastella "alla romana".
Appartengono a questa specie differenti cultivar:

  • le zucchine lunghe, le più diffuse nei mercati europei. Il frutto è generalmente cilindrico, più raramente piriforme. Il colore più comune è il verde scuro, anche se esistono varietà verdi chiare (comunemente chiamate "romanesche"), striate, e persino dalla buccia completamente bianca o gialla. Tra le cultivar ascrivibili a questa tipologia si possono segnalare lo Zucchino Nero di Milano, a buccia verde assai scura, lo Zucchino Fiorentino, a buccia striata e assai scanalata, lo Zucchino Siciliano, leggermente piriforme e a buccia verde molto pallida.
  • le zucchine tonde, dal frutto sferico. Queste cultivar sono tutte di colore verde eccetto alcuni ibridi F1. Da citare: Tondo di Piacenza, di colore scuro; Tondo di Nizza, più chiaro e appiattito ai poli; Tondo di Firenze. Questa tipologia è molto apprezzata in cucina per ricette che richiedano un ripieno, dal momento che la forma si presta in modo ottimale.
  • le zucchine patisson (dette in inglese patty pan o ufo squash), dalla forma lobata e un gusto più deciso di quello delle zucchine comuni, che ricorda vagamente il cuore di carciofo. Le cultivar disponibili sono numerose, ma simili tra loro. Buona parte di esse è di origine francese. Generalmente si distinguono in base ai colori: ci sono cultivar gialle, arancioni, verdi chiare, verdi scure, bianche e variegate (in francese panaché).
  • le zucchine eccentriche, che hanno una forma non riconducibile alle altre tipologie. Da segnalare la varietà Crookneck, dal frutto a collo d'oca e buccia gialla, affine alla cultivar detta "rugoso friulano".

Risotto ai fiori di zucchina.

Carnaroli è un riso a chicco medio originario di Pavia, Novara e Vercelli.
Tradizionalmente il riso Carnaroli viene usato per preparare il risotto ed è diverso dal più comune riso Arborio per maggiore contenuto di amido, consistenza più soda e il chicco più lungo. Il riso Carnaroli tiene la cottura meglio rispetto ad altre varietà di riso durante la cottura lenta richiesta per fare il risotto, perché presenta maggiori quantità di amilosio.
Appartiene alla classe del riso "superfino" e spesso è chiamato "re dei risi".

Riso Carnaroli.

Il riso Carnaroli nasce nel 1945, figlio di due genitori importanti e scomodi, il Vialone e il Leoncino. Due varietà allora coltivatissime, probabilmente già da prima del Novecento; il primo dai chicchi quasi tondi, ma dal contenuti ricco di amilosio, cioè capaci di “tenere” la cottura. Il secondo, invece, uno di quelli che oggi si direbbe “over size”, cioè con un chicco grande, che nel piatto fa un figurone.
Quel figlio legittimo riuscì a coniugare pregi e difetti dei genitori: ebbe in eredità la consistenza del chicco del Vialone (attenzione, non l’odierno Vialone Nano) e le dimensioni del chicco del Leoncino. Ma purtroppo anche la taglia, altissima, e la sensibilità a tutti i problemi del mondo, dalla sterilità florale, all’allettamento, alla produzione: bassa, che più bassa non si può.
Di bello, in campo, aveva che nasceva bene, che aveva tanta energia da sembrare una pianta selvatica, una pianta che metteva radici dappertutto, per poi partire con una chioma verdissima, quasi spaventosa.

venerdì 22 aprile 2016

Bocconcini di fegato alla salvia e pistacchi.

Il fegato è un prodotto carneo appartenente al gruppo delle frattaglie e collocabile nel quinto quarto dell'animale.


Dal punto di vista etimologico, il termine "fegato" deriva dal latino (tradotto dal greco) iecur ficatum, ovvero "fegato con i fichi" (alimento dell'epoca classica ottenuto per sovralimentazione del maiale con i fichi).
Dal punto di vista nutrizionale, il fegato contiene:

  • molte proteine;
  • una quantità variabile di trigliceridi;
  • una piccola frazione di carboidrati;
  • tantissimo colesterolo;
  • dosi eccellenti di sali minerali e vitamine.

Il fegato dovrebbe far parte delle abitudini alimentari di qualunque soggetto sano; è un prodotto dalle concentrazioni nutrizionali pressoché ineguagliabili e consente di raggiungere facilmente alcune delle razioni raccomandate più ostili (come il ferro per la donna gravida) conservando un certo equilibrio tra i macronutrienti energetici.
Dal punto di vista gastronomico, il fegato più consumato è quello di vitello (grazie alle caratteristiche organolettiche e gustative superiori), anche se dal punto di vita della commestibilità non emergono differenze sostanziali con il fegato di bovino adulto, il fegato di maiale, il fegato di pecora/capra, il fegato di cavallo, il fegato delle specie aviarie (anatra, oca, pollo...) ecc.
NB. Degno di nota anche il fegato di pesce (tonno, spigola, dentice, cernia, merluzzo ecc).
Innanzitutto, essendo di origine animale, il fegato è ricchissimo di tutti gli amminoacidi essenziali (ancor più della carne, vista la funzione metabolica di sintesi proteica); in sintesi, costituisce una fonte eccellente di proteine ad alto valore biologico. Il profilo amminoacidico del fegato è in buona parte costituito da: Ac. Glutammico, Ac. Aspartico, Leucina e Lisina.
Il fegato svolge anche una funzione determinante nella sintesi lipidica. La produzione dei trigliceridi avviene specialmente attraverso la conversione delle molecole energetiche (glucosio-amminoacidi) presenti in eccesso nel sangue; al contrario, il colesterolo segue un ciclo di captazione/liberazione/sintesi abbastanza lineare e continuo.

Bavette aglio, olio e peperoncino.....o quasi.

La capsicina o capsaicina è il principio attivo del peperoncino (Capsicum). Presente nei frutti (bacche) e nei semi, è conosciuta ed apprezzata per la sua azione rubefacente. Tale termine indica la capacità di una droga di stimolare l'afflusso di sangue.

Peperoncini piccanti.

Il sapore violento e piccante del peperoncino, in grado di valorizzare un gran numero di pietanze, è legato proprio all'abbondante presenza di capsaicina. La stessa sostanza è contenuta in quantità inferiori nei peperoni dolci, botanicamente vicini al peperoncino. Sono sufficienti dosaggi infinitesimali di capsaicina per provocare una forte sensazione di bruciore. Tale stress causa un rapido rilascio di adrenalina, dando una sferzata di energia all'organismo. Questa prima scarica ormonale è seguita dalla liberazione di endorfine, oppioidi endogeni dotati di una potente attività analgesica ed eccitante.
La capsicina è uno stimolante gastrico, antireumatico ed antifermentativo intestinale. In farmacia ed in estetica è il principio attivo di molte creme destinate alla cura dei dolori muscolari e reumatici. In estetica rientra nella preparazione di prodotti topici favorenti il dimagrimento (l'effetto stimolante locale sul microcircolo favorisce la mobilitazione dei grassi dal tessuto adiposo). La capsaicina, essendo un ottimo stimolante cutaneo, è utile anche per contrastare la caduta dei capelli e stimolarne la crescita.

mercoledì 20 aprile 2016

Bocconcini di vitello al curry.

Le proprietà terapeutiche dei porri erano note già dai tempi antichi ad egizi e romani, quest’ultimi ritenevano che avessero proprietà benefiche nei confronti della gola e del sonno.

Porri.

Il porro, nome scientifico Allium porrum, è una pianta a carattere biennale appartenente alla famiglia delle Liliaceae. È un ortaggio la cui coltivazione è diffusa in gran parte del mondo (Asia, Europa e America). In Italia sono coltivati in tutte le regioni e, anche se ormai è possibile trovarli sul mercato tutto l’anno, il periodo giusto per consumarli dovrebbe essere quello autunnale/invernale.
La parte che normalmente si mangia è quella bianca finale mentre quella verde viene di solito scartata.
I porri, in termine di gusto, hanno qualcosa in comune con l’aglio e la cipolla, ma il loro sapore è più delicato per cui spesso, in molte ricette si preferiscono i porri al posto di aglio e cipolle.
Sono composti dall’ 87,8 % d’ acqua, dall’ 1,5 % di proteine, carboidrati, dal 3,8 % di zuccheri solubili, dall’ 1 % di ceneri, dallo 0,3 % di grassi e dall’1,8 % di fibre alimentari.
I minerali presenti sono: ferro, sodio, potassio, magnesio, zinco, rame, manganese, selenio, calcio e fosforo.
Nei porri è presente la vitamina A, le vitamine B1 o tiamina, B2 o riboflavina, B3 o vitamina PP o niacina, B 5, B6, vitamina C, vitamina E, K e J. Contengono inoltre beta-carotene, luteina e zeaxantina.
Contengono un buon numero di aminoacidi: acido aspartico, acido glutammico, alanina, arginina, cistina, glicina, leucina, fenilalanina, istidina, isoleucina, lisina, prolina, metionina, serina, tirosina, triptofano, valina e treonina.

Infiorescenza porro.

Per conservare invariate le proprietà ed i benefici delle sostanze contenute, i porri andrebbero consumati crudi, anche se purtroppo molte delle ricette che li contengono ne prevedono la cottura.

martedì 19 aprile 2016

Sbrisolona mantovana.

La sbrisolòna (anche detta sbrisulòna, sbrisolìna, sbrisulùsa o sbrisulàda) è un dolce del Nord Italia, originario della città di Mantova, ed è comunemente prodotto e consumato in Lombardia, Emilia-Romagna e nel Veronese.

Sbrisolona mantovana.

Il nome deriva dal sostantivo brìsa, che in mantovano vuol dire briciola e pare che la ricetta risalga a prima del '600 quando arrivò anche alla corte dei Gonzaga. 
Si tratta di una torta di povere origini, all'inizio infatti gli ingredienti erano quelli tipici della tradizione contadina (farina di mais, strutto e nocciole) e negli anni si sono raffinati.
La ricetta oggi prevede che le farine (bianca e gialla) e lo zucchero siano in parti uguali, ragione per cui in passato questo dolce era detto "torta delle tre tazze”, perché per prepararla occorrevano le stese dosi (una tazza) di 3 ingredienti diversi: la farina gialla di mais, la farina bianca di frumento e lo zucchero inoltre gli ingredienti non devono essere sminuzzati, anzi, il tratto caratteristico del dolce sta nella sua consistenza irregolare, dovuta alla lavorazione veloce e al taglio grossolano delle mandorle.

Sbrisolona mantovana.

In passato, inoltre, si utilizzavano le nocciole locali al posto delle mandorle esotice e lo strutto al posto del burro, perché ingredienti più economici.
Si distingue da altre preparazioni, proprio per il metodo di lavorazione e per come viene servito, infatti questo dolce non dev'essere tagliato in fette regolari, ma spezzato con le mani e si consiglia di accompagnarlo con un vino liquoroso come il Malvasia, il Vin Santo o il Passito di Pantelleria.
Caratteristica inconfondibile della torta è la sua friabilità che la porta a sbriciolarsi con estrema facilità (da cui il nome che nelle lingue gallo-italiche significa "sbriciolona" o "sbriciolata"). In Veneto viene comunemente chiamata "rosegotta" e "fregolotta", termine quest'ultimo che indica anche un altro dolce assai simile.
Si può trovare anche già preparata nei supermercati e ha una conservazione molto lunga.
Purtroppo oggi in moltissimi prodotti si trova la margarina al posto del burro, dunque consiglio sempre di leggere gli ingredienti e di evitare i prodotti che non utilizzano esclusivamente burro, evitare anche i prodotti che contengono aromi generici, ma scegliere solo quelli con aromi naturali.

Un dolce di semplice preparazione, gustoso, adatto sia per la colazione del mattino, sia per la merenda.

Sbrisolona mantovana.

Ingredienti (per uno stampo con Ø 24 cm.). 
160 g di farina bianca tipo “00”;
160 g di farina gialla;
100 g di mandorle;
60 g di granella di nocciole;
160 g di zucchero semolato;
Buccia di 1 limone non trattato;
2 tuorli d’uovo;
100 g di strutto;
60 g di burro morbido;
1 pizzico di salle.

1 – Preparazione.
Tritate finemente le mandorle dopo averne messe da parte una dozzina intere da usare come decorazione finale. La farina di mandorle, che si trova in commercio, non è adatta poiché la caratteristica di questo dolce è quella di avere, al palato, una consistenza granulosa.
In un’ampia ciotola aggiungete le farine setacciate, lo zucchero, le mandorle tritate, la granella di nocciole, la buccia grattugiata di un limone, un pizzico di sale, i tuorli d’uovo, strutto, burro e mescolate il tutto per omogenizzare tutti gli ingredienti.
L'impasto ottenuto, che si presenterà grumoso (sbriccioloso), andrete a distribuirlo in una tortiera prestando attenzione a non compattarlo troppo.

2 – Cottura.
Distribuite, sopra l’impasto, le mandorle intere che avete tenuto da parte e mettete in forno già caldo a 180° e cuocete per circa un’ora.
La torta sarà pronta quando acquisterà un bel colore dorato in superfice.

3 - Presentazione.
Togliere la torta dal forno, lasciatela raffreddare completamente, mettetela su un piatto da portata e, prima di servirla, rompetela a pezzi grossolani.

Riepilogo costi-Kcal.

sabato 16 aprile 2016

Sgombri al cartoccio con patate lesse.

Il prezzemolo (Petroselinum hortense) è una pianta biennale. Cresce spontaneo nel Sud Est Europeo ed è ampiamente coltivato in tutti i Paesi temperati. Il termine prezzemolo deriva dal greco petrosélinon, da pétra (pietra) + sélinon (sedano), propriamente sedano che cresce sulle pietre.

Prezzemolo liscio.
Prezzemolo liscio
In cucina si utilizzano le foglie, prevalentemente quelle germogliate il primo anno, perché più sviluppate e pregiate di quelle del secondo. Sono davvero pochi gli aromi che trovano un così largo impiego in cucina. Che si utilizzi per guarnire o insaporire le pietanze, il prezzemolo si sposa armoniosamente con buona parte degli alimenti, vegetali e animali.
Il prezzemolo contiene il 5,80 % d'acqua, il 50% di carboidrati, il 26% di proteine, fibre, zuccheri ceneri e grassi (5,50%); i minerali presenti sono calcio, potassio, sodio, fosforo, magnesio, ferro, zinco, selenio e manganese.
Tra le vitamine presenti vi sono la vitamina A, B1, B2, B3, B5, B6, B12 la vitamina C, E, K e J; questi invece gli aminoacidi: acido aspartico e glutammico, cistina, arginina, alanina, fenilalanina, glicina, valina, treonina, isoleucina, leucina, lisina, prolina, serina e tirosina. Sono inoltre presenti buone quantità di flavonoidi.
Ogni 100 gr. di prezzemolo si ha un apporto calorico pari a 36 Kcalorie.
Sono molte le proprietà terapeutiche ed i benefici attribuiti al prezzemolo, vediamo quali. I flavonoidi presenti nel prezzemolo hanno proprietà antiossidanti, la luteolina in particolare, e sono in grado di ritardare l'invecchiamento cellulare; gli olii essenziali hanno invece dimostrato di essere in possesso di proprietà antitumorali contrastando e neutralizzando alcune sostanze ritenute cancerogene.

Prezzemolo riccio.
Prezzemolo riccio
Il prezzemolo, grazie al suo olio essenziale, stimola la secrezione gastrica ed è quindi considerato un buon aiuto al processo digestivo; per sfruttare al massimo le sue proprietà in questo senso si consiglia di aggiungerlo crudo a fine cottura sui piatti da consumare.
Il prezzemolo, grazie all'abbondanza di sali minerali è un ottimo diuretico, risulta altresì utile come integratore dopo l'attività fisica e per la cura di anemie e stati di stanchezza cronica.

venerdì 15 aprile 2016

Riso al caffè con gamberetti.

Il caffè è una bevanda ottenuta dalla macinazione dei semi di alcune specie di piccoli alberi tropicali appartenenti al genere Coffea, parte della famiglia botanica delle Rubiaceae, un gruppo di angiosperme che comprende oltre 600 generi e 13.500 specie.

Caffè.

Sebbene all'interno del genere Coffea siano identificate e descritte oltre 100 specie, commercialmente le diverse specie di origine sono presentate come diverse varietà di caffè. Le più diffuse tra esse sono l'arabica e la robusta.
Le specie di caffè coltivate su grande scala sono tre: Coffea arabica, Coffea canephora e, in minor misura, Coffea liberica. Una decina vengono coltivate localmente.
Le specie differiscono per gusto, contenuto di caffeina, e adattabilità a climi e terreni diversi da quelli di origine. Ricordiamo che tutte le specie coltivate esistono ancora, nelle zone d'origine, allo stato selvatico. È però anche vero che sono state create artificialmente molte nuove varietà.
Arabica 
La specie che è stata usata per prima è Coffea arabica, una pianta originaria dell'Etiopia (dove il caffè viene chiamato buna), del Sudan sud-orientale e del Kenya settentrionale e in seguito diffusasi nello Yemen, luogo in cui, peraltro, si ebbero le prime tracce storiche del consumo della bevanda, nel lontano 1450 tra i seguaci del sufismo.

Pianta del caffè.

I semi di Coffea arabica hanno un contenuto di caffeina molto inferiore a quelli delle altre specie di larga diffusione e rispetto alle altre specie è autoimpollinante, cioè autogama e inoltre predilige coltivazioni ad alta quota (tra 1000 e 2000 metri). La coltivazione di Coffea arabica fuori dei territori d'origine è iniziata molto presto, come ad esempio in Indonesia nel 1699.

giovedì 7 aprile 2016

Crespelle alle mele.

La crespella, conosciuta anche con il termine francese di crêpe, è un tipo di cialda sottile, morbida e non croccante, cotta su una superficie rovente tonda.

Crespelle.

Le crespelle vengono farcite di ripieni vari, dolci o salati e arrotolate su sé stesse per racchiuderli. L'impasto è a base di latte, uova, farina. La crespella è generalmente considerata una pietanza tipica della cucina francese, tuttavia sono presenti preparazioni simili in vari paesi d'Europa.
Suo "parente prossimo" è il pancake e fanno parte della stessa famiglia anche le gaufre.
Le crespelle condividono le origini di altre preparazioni a cialda e delle gaufre, ma l'attuale preparazione con la farina di frumento divenne comune solo nel IX secolo. Nel Medioevo erano preparate con acqua e vino al posto del latte.
In Francia sono un simbolo tradizionale di amicizia e alleanza e i mezzadri le offrivano ai loro padroni. Servite tradizionalmente in occasione della Candelora il 2 febbraio, si usava esprimere un desiderio quando si voltava la crêpe nella padella.
Nella provincia di Teramo, in Abruzzo, esiste un uso diffuso delle crespelle nella cucina locale. In queste zone vengono chiamate "scrippelle" e vengono usate in vari modi. Ad esempio per la preparazione dei timballi, in sostituzione delle lasagne. Le cialde, molto sottili e preparate con uova, farina e acqua, vengono arrotolate con pecorino d'Abruzzo grattugiato all'interno ed irrorate con brodo di gallina bollente. Questa preparazione, molto radicata, prende il nome di scrippelle 'mbusse (tradotto dal dialetto teramano: "crespelle bagnate"). Si tratta di un primo piatto di carnevale. vengono arrotolate con del formaggio grattugiato all'interno e immerse in un brodo a base di carne e odori vari.

Crespelle dolci.

Nel Salento vi è la particolarità di farle cuocere più del dovuto per darle una consistenza croccante, in questo modo sono adatte a essere trasportate in una mano per essere consumate come cibo da strada.