sabato 30 marzo 2013

Orecchiette con cozze, vongole e patate.


Le orecchiette sono un tipo di pasta tipico della regione Puglia e Basilicata, la cui forma è approssimativamente quella di piccole orecchie, da cui deriva appunto il nome. Nel tarantino e in Valle d'Itria è ancora in uso il sinonimo "chiancarelle" o "recchjetedd", "fiaffioli" o "Facilletti". A Latiano (BR) invece vi è la sagra degli stacchioddi (altro nome per indicare le orecchiette).

Orecchiette.

La loro dimensione è di circa 3/4 di un dito pollice, e si presentano come una piccola cupola di colore bianco, con il centro più sottile del bordo e con la superficie ruvida. Ne esiste anche una versione realizzata senza la forma di cupola, meglio conosciuta come "strascinati". In tutte le varianti, si realizzano utilizzando esclusivamente farina di grano duro, acqua e sale.
La ricetta tipica regionale è quella che le vede insieme alle cime di rapa. Ma nella Capitanata o nel Salento è tipica anche la variante che le vede insieme a sugo di pomodoro (con o senza spezzatino di carne o polpette o brasciole) e/o ricotta forte di pecora.
A Cisternino (BR) le orecchiette si realizzano con farina di grano tenero poco raffinato, sono più grandi e assumono una forma diversa, con nervature interne profonde, molto simile ad un padiglione auricolare e vengono definite "recch' d'privt" - ovvero "orecchie del prete". La ricetta classica contadina dei giorni di festa prevede il condimento con ragù di coniglio.
Le origini delle orecchiette non sono da ricercarsi in Puglia, ma molto probabilmente nella zona provenzale francese, dove fin dal lontano Medioevo si produceva una pasta simile utilizzando il grano duro del sud della Francia. Si trattava di una pasta molto spessa e a forma di dischi, incavata al centro mediante la pressione del dito pollice: questa forma particolare ne facilitava l'essiccazione, e quindi la conservazione per fronteggiare i periodi di carestia. Sembra anche che ne venissero imbarcate grandi quantità sulle navi che si accingevano ad affrontare lunghi viaggi. In seguito, sarebbero state diffuse in tutta la Basilicata e la Puglia con il loro nome attuale dagli Angioini, dinastia che nel Duecento dominava le terre delle regioni. Secondo insigni studiosi di enogastronomia pugliese - ricordiamo qui solo il più autorevole - le orecchiette avrebbero avuto origine nel territorio di Sannicandro di Bari, durante la dominazione normanno-sveva, tra il XII e il XIII secolo.

Orecchiette.

È infatti possibile, in seguito all'atteggiamento di protezione nei confronti della comunità israelitica locale da parte dei normanno-svevi, la loro derivazione da alcune ricette della tradizione ebraica, come le orecchie di Haman - l'antagonista del libro di Esther - che ritroviamo, ad esempio, in alcuni dolci sefarditi oppure nelle croisettes, un tipo di pasta preparato nelle vallate occitane del Piemonte, lontana parente delle orecchiette di Sannicandro anche nella probabile influenza mediorientale.

Ogni volta che mi accingo a fare un po’ di orecchiette, mi torna alla mente mia nonna Sabina (madre di mia madre) che, per un lungo periodo, venne a vivere con noi. Una piccola donna dai capelli bianchi e con la parlata spiccatamente foggiana. Io restavo stupefatto nel guardare la velocità di quelle piccole mani rugose nel preparare le orecchiette che sembravano fatte a macchina: tutte piccole e uguali; mani abituate da sempre a impastare, lavorare il pane, la pasta per tutta la famiglia. Ho imparato guardando lei e, successivamente, mia madre.
Ora mia madre le prepara raramente, solo perché, col passare del tempo (quest’anno ha compiuto 84 anni), è venuta meno la voglia di applicarsi in cucina; qualche volta gli dico: “dai mamma, ho voglia di orecchiette, dammi una mono che ne facciamo un po’ anche per Patrizia (mia sorella)”. In questo modo si convince e le facciamo; anche lei veloce e brava “quasi” quanto sua madre.
Nel caso non si voglia "perdere tempo" nel preparare la pasta fresca, in commercio si trova dell'ottimo prodotto industriale sia fresco, sia secco che non modifica la buona riuscita di questo piatto.

Orecchiette con cozze, vongole e patate.

giovedì 7 marzo 2013

Il limone (2) - La marmellata.

Prima di descrivere la preparazione di questa buonissima marmellata, continuiamo nella descrizione delle caratteristiche nutrizionali del limone (vedi post del limoncello).

Limoni.

In farmacologia il limone è molto apprezzato e le sue parti utilizzate sono il succo e il pericarpio (scorza). Il suo uso come farmaco era consolidato quando ancora non si sapeva nulla delle vitamine. Innanzi tutto ne veniva apprezzato il succo quale antiemorragico, disinfettante, diminuzione consistenza di feci (diarrea) e ipoglicemizzanti (tende a far diminuire il glucosio nel sangue). Nell'aromaterapia viene indicato come rinfrescante, tonico per la circolazione, battericida, antisettico, valido per abbassare la pressione arteriosa, utile per eliminare verruche, calli, gengive infiammate, per curare artrite e reumatismi, vene varicose, raffreddore, influenza. Era reputato indispensabile nella cura dello scorbuto, cosa ben nota tra i marinai che non mancavano di approvvigionarsi di limoni prima di ogni viaggio impegnativo.

Caratteristiche nutrizionali del limone.

100 g di polpa di limone, rappresentano il 71% del fabbisogno giornaliero di vitamina C per una persona adulta, ed il 7% del fabbisogno di potassio, l'1% di calcio ed il 9% di magnesio.
In Sicilia, dove esiste da sempre il problema dell'acqua potabile, era in voga l'uso di immettere nelle riserve d'acqua vari limoni tagliati a metà. La gente sapeva per esperienza che i limoni disinfettano l'acqua e la ricerca moderna ha dato ragione a questa antica saggezza. Forse dobbiamo trovare proprio in questi usi ancestrali il motivo per cui ancora oggi offriamo un bicchiere d'acqua con la fettina di limone.
Sembra sia originario dell'India, ma di questo fatto non siamo proprio sicuri, in quanto, la parola limun, in arabo, indica indifferentemente tutti gli agrumi; potrebbe essere che nell'antichità, il limone e le sue proprietà, fossero già conosciute dal popolo arabo e appellato, insieme a tutti gli altri agrumi, col nome limun. Una caratteristica quasi unica del limone è che esso ha la proprietà di fiorire in continuazione, si ha così la possibilità di vedere in una pianta di limoni fiori, frutti acerbi e maturi contemporaneamente. Grazie a questo fatto la produzione dei limoni è presente tutto l'anno, con un rallentamento durante i mesi più freddi.  A differenza degli altri agrumi il limone può giungere a maturazione anche una volta staccato dalla pianta e molto spesso i limoni vengono colti ancora verdi, trattati con un procedimento funghicida, incerati e spediti verso mercati esteri, dove verranno poi trattati per farli maturare. Per questo motivo è sempre meglio non consumare la loro buccia, a meno che non si è certi che provengano culture biologiche.

Limoni.

Le proprietà principali del limone nella cultura ormai di massa risiederebbero nel suo alto contenuto di vitamina C. Questa vitamina così importante per la nostra salute si degrada molto rapidamente e la sua conservazione in frigorifero non riesce certo a mantenerla integra al 100%. Oltre alla vitamina C, il limone contiene: saccarosio, glucosio e fruttosio ( zuccheri immediatamente assimilabili), sali minerali, calcio, fosforo, ferro, manganese, rame e altre importanti vitamine del gruppo B e A.

mercoledì 6 marzo 2013

Il limone (1) - Limoncello.

Il limone (Citrus × limon (L.) Burm.f) è un albero da frutto appartenente al genere Citrus e alla famiglia delle Rutaceae. Il nome comune limone si può riferire tanto alla pianta quanto al suo frutto.

Albero di limone.

È un antico ibrido, forse tra il pomelo (ritenuta una delle tre specie da cui derivano tutti gli agrumi oggi conosciuti ) e il cedro, ma da secoli costituisce specie autonoma che si propaga per talea e innesto.
 Il limone è un albero che raggiunge dai 3 ai 6 metri di altezza. I germogli e i petali sono bianchi e violetti.
Il frutto è giallo all'esterno e quasi incolore all'interno, di forma sferica fino ad ovale, spesso con una protuberanza all'apice e appuntito all'altra estremità. La buccia può essere da molto ruvida a liscia, più o meno foderata all'interno con una massa bianca spugnosa detta albedo.
Solitamente i limoni si coltivano per la produzione di frutti ma la pianta può essere coltivata in vaso a scopo ornamentale. Per le coltivazioni in vaso è consigliata terra specifica per agrumi e il rinvaso annuale prima del ricovero invernale in serra.

Fiore del limone.

In clima favorevole, il limone fiorisce e fruttifica due volte l'anno. La fioritura dura almeno due mesi e il frutto maturo può attendere altri due mesi sull'albero prima di venir colto, il che favorisce una raccolta sistematica. La fioritura primaverile produce i frutti migliori, la cui raccolta dura poi tutto l'inverno, da novembre ad aprile o maggio. La seconda fioritura, a volte forzata nelle piantagioni commerciali, avviene in agosto e settembre, i frutti si possono raccogliere da maggio in poi, subito dopo quelli invernali. In condizioni favorevoli, un albero adulto può dare da 600 a 800 frutti all'anno. 
La prima descrizione del limone appare in epoca romana in alcuni dipinti pompeiani. Sembra che il primo agrume del mondo romano sia stato il cedro, ben noto tra i Romani come "pomo di Persia". È documentato che i Romani conoscevano già nel I secolo pure il limone e l'arancio amaro.
Un'altra descrizione del limone, introdotto dall'India due secoli prima, appare in scritti arabi del XII secolo. Le origini del nome derivano dal persiano (līmū). In Europa la prima coltivazione è in Sicilia, dopo il X secolo e più tardi a Genova (a metà del XV secolo. Compaiono nelle Azzorre nello stesso periodo, nel 1494.

Limone.

I limoni sono coltivati in tutto il mondo in innumerevoli varietà che probabilmente neanche i botanici riescono a registrare correntemente. Le differenze tra di esse sono infatti riscontrabili prevalentemente nell'aspetto esteriore, mentre rimangono praticamente invariate sia le loro qualità alimentari che la relativa importanza economica. Il limone infatti, ben raramente viene consumato come frutto fresco, per cui cambiamenti minori di gusto non sono molto importanti. Per la lavorazione industriale vanno bene tutte le varietà, con l'esclusione forse di quelle poche che per il precoce deterioramento vengono consumate sul luogo di produzione. Sono così quasi ignote le varietà del limone rosso e del limone dolce che danno frutti sempre agri, ma nel contempo abbastanza dolci da poter essere mangiati come frutta fresca. Quando questi limoni giungono a maturazione si deteriorano nel giro di due o tre giorni, per cui logicamente vengono consumati dalla popolazione locale e rimangono sconosciuti su un mercato più vasto. 

domenica 3 marzo 2013

Riciclo (4) - Crostini di polenta con crema di fagioli.

La polenta è stata, per secoli, uno dei piatti alla base dell’alimentazione contadina (e non solo) per il suo basso costo ma, soprattutto, per la sensazione di sazietà che dava dopo averla consumata.
In passato tra alcune popolazioni povere (Sudamerica, Italia del Nord-est, bassa Padana) che si nutrivano quasi esclusivamente di polenta senza l'apporto di altri elementi, come le vitamine, si verificarono molti casi di pellagra. Questa malattia deriva infatti dall'assenza totale di vitamine e da un'alimentazione poverissima di proteine.

Polenta taragna.

Alimento molto diffuso,in particolare al nord, veniva e viene tuttora preparata in diverso modo nelle varie regioni: arricchita, condita, accompagnata con gli ingredienti tipici delle varie zone.
La polenta taragna.
La prima coltivazione di mais a Lovere, in Val Camonica secondo la tradizione locale, giunse con l'importazione di 4 chicchi di granoturco dalle Americhe da parte di Pietro Gajoncelli nel 1658.
La polenta taragna, in molte zone conosciuta come taragna, è una ricetta tipica della cucina valtellinese, camuna e delle valli bresciane bergamasche. Il suo nome deriva dal tarai ("tarel"), un lungo bastone usato per mescolarla all'interno del paiolo di rame in cui veniva preparata. Come altre polente della montagna lombarda (ad esempio la pulénta vüncia, polenta uncia cioè unta), è preparata con una miscela contenente farina di grano saraceno, che le conferisce il tipico colore scuro, diversamente dalle preparazioni di altre regioni, che utilizzano un solo tipo di farina, ottenendo quindi una polenta gialla. A differenza dell'oncia, nella polenta taragna il formaggio viene incorporato durante la cottura.
Il grano saraceno (Fagopyrum esculentum) è una pianta a fiore appartenente alla famiglia delle Polygonaceae. Il nome scientifico, Fagopyrum deriva dalla combinazione del latino fagus (con il faggio ha in comune la forma assai caratteristica dei semi triangolari) e gal greco piròs (come dai semi del frumento anche dai semi del grano saraceno si ricava una farina). A causa delle sue caratteristiche nutrizionali e dell’impiego alimentare, questo vegetale viene spesso collocato commercialmente, tra i cereali, nonostante tale classificazione sia scientificamente impropria, non appartenendo il grano saraceno alla famiglia delle Graminacee.

Grano saraceno.

E’ una pianta spontanea nelle zone della Siberia e della Manciuria. La coltura si è propagata in Cina nel X secolo e in Occidente durante il Medioevo. Ci sono diverse fonti di pensiero sul modo in cui è avvenuta la sua propagazione, ma fra tutte due risultano le più accreditate. Secondo il primo filone, i Turchi avrebbero introdotto la pianta in Grecia e nelle penisola balcanica, e da questo deriverebbe il nome grano saraceno, ossia grano dei turchi o dei saraceni. La seconda teoria sostiene che la diffusione sia avvenuta attraverso l’Asia e l’Europa del Nord ad opera delle migrazioni dei popoli mongoli che, dalla Russia meridionale, portarono il grano fino alla Polonia e alla Germania, da dove si sarebbe diffuso nel resto d’Europa. E’ probabile che entrambe le tesi siano valide e che la propagazione sia avvenuta contemporaneamente sia da Nord che da Sud.
Il grano saraceno sopporta male il freddo, e pertanto esige di essere coltivato nella stagione primaverile – estiva durante la quale esso riesce a svolgere rapidamente il proprio ciclo biologico. Per quanto nei paesi del Nord Europa questa pianta compaia come coltura principale, in Italia rappresenta soprattutto una coltura intercalare praticata dopo un cereale autunno‐invernale, come per esempio la segale o più raramente il frumento.
I semi triangolari vengono utilizzati come foraggio per animali d’allevamento, o macinati e ridotti in farina per uso alimentare. Le piante intere vengono anch’esse impiegate dagli allevatori come foraggio o lettiera per il bestiame. Inoltre, dai fiori del grano saraceno le api ottengono un miele scuro e molto saporito.
Il grano saraceno si distingue dai comuni cereali per l’elevato valore biologico delle sue proteine, che contengono gli otto aminoacidi essenziali in proporzione ottimale, mentre i “cereali veri” (il grano saraceno, a dispetto del nome, non è un cereale) contengono poca lisina. Rispetto alla farina di frumento, quella di grano saraceno è priva di glutine ed è quindi adatta per i soggetti celiaci. Il grano saraceno è una buona fonte di fibre e di minerali, soprattutto manganese e magnesio.

Polenta concia.

Da tutto questo è evidente che il grano saraceno è nostro cibo da molto più tempo che il grano turco e che la polenta di grano saraceno veniva fatta molto prima che non la polenta normale.

venerdì 1 marzo 2013

Salmone in crosta di pistacchi.

Il pistacchio (Pistacia vera L.) è un albero della famiglia delle Anacardiaceae. Può raggiungere un'altezza di ca. 12 metri e un'età di 300 anni.

Pistacchi.

È originario del Medio Oriente, dove veniva coltivato già in età preistorica, particolarmente in Persia. Gli arabi lo introdussero in Occidente. La parola "pistacchio" deriva, attraverso l'arabo (fustuaq), dal persiano (pesteh). Il termine siciliano festuca o frastuca con il quale si indica sia la pianta che il frutto prodotto, deriva direttamente dalla parola araba.
Il frutto è una drupa (cioè che, anche giunto a completa maturazione, non si apre spontaneamente per fare uscire il seme) con un endocarpo ovale a guscio sottile e duro, contenente il seme, chiamato comunemente "pistacchio" che ha colore verde vivo sotto una buccia viola.
È una specie dioica: dioico è un termine che si riferisce alla riproduzione sessuale delle piante. Indica che gli organi riproduttivi maschili (stami) e femminili (pistillo) sono portati su due piante distinte. Esistono quindi esemplari maschili e femminili della stessa specie. I fiori sono a petali e raccolti in cime. Un albero maschile può produrre abbastanza polline per fecondare fino a 10 piante femminili.

Albero di pistacchi.

Il pistacchio fruttifica in un ciclo biennale, il che, insieme alle variazioni climatiche, causa grandi variazioni nelle rese e nei prezzi.
Zone di coltivazione a rilevanza internazionale sono in medio oriente (Iran in primis ma anche Turchia e Siria, anche se quest'ultima in forte calo), in California e negli ultimi anni anche la Cina. In Italia vi è storicamente una coltivazione di nicchia, rinomati sono i pistacchi di Bronte ed Adrano alle pendici dell'Etna, tutelati dal marchio DOP "Pistacchio Verde di Bronte".
L'Italia, tuttavia è passata da una produzione di 2400 tonnellate nel 2005 a 9170 tonnellate del 2010 diventando il sesto produttore al mondo. In Grecia, la cui produzione è in calo ma si attesta anch’essa attorno alle 9000 tonnellate, si coltiva un pistacchio dal guscio quasi bianco con nucleo rosso-verde e con l'apertura del guscio simile alla varietà "Kerman", che è la varietà maggiormente utilizzata in California. La maggior parte della produzione in Grecia proviene dalla regione di Almyros.

Frutto del pistacchio.

Il frutto del pistacchio è un frutto secco dal caratteristico colore verde ed è racchiuso in un guscio rigido dall'aspetto legnoso; in commercio si possono trovare freschi oppure tostati e si prestano, oltre ad essere consumati direttamente, per la preparazione di altri alimenti, tra cui i gelati, creme, bevande, per la produzione di salumi (mortadella Bologna, ad esempio), o come condimenti per primi e secondi piatti.
I pistacchi, se coltivati in condizioni che espongono la pianta a grandi stress, possono soffrire di contaminazioni con la muffa Aspergillus flavus, che produce nei frutti la tossina insapore aflatossina. Come tutta la frutta a guscio la presenza del pistacchio negli alimenti va indicata per legge in etichetta, ciò al fine di prevenire il possibile scatenamento di una allergia alimentare.
I pistacchi sono costituiti per il 3,9% da acqua, per il 20% da proteine, 27% da carboidrati, 3% da ceneri, 10% da fibre, 27% da carboidrati, 7,60 da zuccheri e per l'1,5% da amido.
Discreta la presenza di minerali, tra cui annoveriamo: calcio, fosforo, potassio, ferro, zinco, magnesio, manganese, fluoro e rame.
Per quanto riguarda le vitamine troviamo la vitamina A, le vitamine B1, B2, B3, B5, B6, la vitamina C e la vitamina E.
Sul fronte degli aminoacidi l’arginina, l'acido aspartico e l'acido glutammico sono quelli presenti in maggior quantità, a seguire troviamo la fenilalanina, la serina e la valina.