martedì 27 ottobre 2015

Confettura di carote e pere con zenzero e cannella.

Cannella: nota spezia di colore giallo-marrone, il cui sapore piccante, impreziosito da sfumature dolciastre, arricchisce dolciumi e liquori di vario tipo. Il suo aroma, secco e pungente, ricorda quello dei chiodi di garofano e si accompagna a note pepate.

Cannella.

La cannella è costituita dalla corteccia di alcuni alberi appartenenti alla famiglia delle Lauraceae; tra i più noti ricordiamo le specie Cinnamomum zeylanicum o cannella propriamente detta e Cinnamomum cassia o cannella cinese.
Entrambe le piante di cannella vivono in zone tropicali e per questo motivo non possono essere coltivate in regioni a clima temperato se non in serra.
Alla stessa famiglia di piante appartengono anche il lauro e la noce moscata.
La corteccia, liberata dal sughero esterno e dal parenchima sottostante, viene frammentata, arrotolata in cilindri multistrato ed essiccata. La qualità migliore, più fine e costosa, si ricava da Cinnamomum zeylanicum, denominata anche Cinnamomum Vera; si tratta di un arbusto originario dello Sri Lanka (in precedenza Ceylon), che ancora oggi rimane il più importante produttore a livello mondiale. Si distingue dalle altre varietà di cannella per il colore chiaro ed il sapore dolce; si presenta in cilindri (denominati cannelli) di 20-80 centimetri con diametro intorno ai 10 mm. Viene raccolta due volte all'anno, in primavera ed autunno dopo la stagione delle piogge.

Pianta di cannella.

La cannella cinese (Cinnamomum cassia o Cinnamomum Aromaticum) si caratterizza per un colore rosso vivo, con aroma e sapori meno delicati; viene prodotta in Cina, Bangladesh, India e Vietnam, è costituita da cannelli più corti e spessi e si colloca ad un gradino di qualità inferiore. In generale, tanto più sottile è la corteccia e tanto più pregiata è la droga; inoltre, la forma in bastoncini - da sbriciolare al momento dell'uso - è da preferire alla cannella in polvere, che in questa forma può essere più facilmente sofisticata e tende a perdere molte delle sue caratteristiche originarie.

domenica 25 ottobre 2015

Olive all'ascolana.

Le olive ascolane sono un piatto tipico della provincia di Ascoli Piceno, oggi diffuse in tutto il territorio italiano dove, diversamente dalla città d'origine, vengono generalmente servite assieme ad altri prodotti fritti come antipasto.

Olive all'ascolana.

Le olive ascolane devono il loro nome alla città di Ascoli Piceno. Sono composte da olive verdi in salamoia, drupe da mensa dalla delicata polpa carnosa, che ben si prestano ad essere farcite all'interno da un composto tenero a base di carne.
Rappresentano una prelibatezza gastronomica del territorio ascolano e sono uno dei piatti più rappresentativi del Piceno. Si accompagnano spesso ad altre fritture come i rustici, la carne, la verdura (il fritto misto all'ascolana prevede carciofi, zucchine e cotolette d’agnello) e la crema fritta. Il risultato di quest'ultimo accostamento alimentare è riuscire ad apprezzare contemporaneamente il salato delle olive e il gusto dolce della crema.
L'ascolano Benedetto Marini, a seguito delle sue ricerche, data la nascita della ricetta delle olive ascolane ripiene e fritte nell'anno 1800. Al tempo, i cuochi che prestavano la loro professionalità presso le famiglie della locale nobiltà, accordandosi tra loro, inventarono il ripieno delle olive per consumare le notevoli quantità e varietà di carni che avevano a disposizione, dovute alla maggiorazione delle regalie che gravavano sui contadini verso i loro padroni.
Non mancano mai sulle tavole degli ascolani nei giorni di festa (è una delle tradizionali pietanze del pranzo della Domenica) ed è un rito prepararle.
In città e nei dintorni le olive ripiene si possono acquistare nei locali negozi di pasta all'uovo e gastronomie.

Tenera Ascolana.

Maccheroni alla bersagliera.

Uno tra i più conosciuti salumi italiani, il Salame Milano è anche noto come Crespone.
Deriva da un impasto di carne suina e bovina macinato fine a grana di riso e insaccato in crespone (budello ottenuto dall’intestino crasso) di suino o, data la produzione su larga scala ormai estesa a tutto il territorio nazionale, in budello sintetico.

Salame Milano.

È un prodotto di dimensioni notevoli, insaporito semplicemente con sale e aromi quali pepe e aglio.
La stagionatura è tra le più lunghe e varia dalle 3 alle 9 settimane in relazione al diametro del salume, allo scopo di raggiungere una buona compattezza della parte grassa e magra.
Molto simile sia per l’aspetto che per il gusto al salame ungherese, il Salame Milano presenta però un procedimento di lavorazione diverso, in cui si utilizzano una maggior varietà di spezie.
Il colore è sempre di un rosso acceso, quasi rubino nella sua tonalità, la pasta con aspetto tipico a grana di riso è compatta, ma non elastica.
Prodotto con lunghezza variabile dai 20 ai 60 centimetri, il salame presenta un diametro compreso tra i 6 e gli 11 centimetri. Il peso dipende dalle dimensioni ed è tra i 2 e i 3 chilogrammi.
In origine prodotto solo a Codogno e a san Colombano al Lambro, oggi il Salame Milano è prodotto in tutto il territorio lombardo.
In Italia e in particolare nella zona di Milano, la parola salame appare per la prima volta in un documento del 1475.

Salame Milano.

Il 27 maggio dello stesso anno, infatti, furono celebrate le nozze fra Costanzo Sforza, nipote di Ferdinando, e Camilla d’Aragona; in occasione del banchetto nuziale si narra di "salami de più ragione in piattelli del paese". Per indicare lo stesso prodotto, comunemente si utilizzavano i termini: salziozone o cervellato. Alla fine del ’700, invece, queste definizioni scomparvero per lasciare il posto all’attuale denominazione di salame.

sabato 24 ottobre 2015

Cotolette di mortadella.

La mortadella di Bologna è un salume a Indicazione Geografica Protetta (IGP). In alcune zone del nord Italia, essa è più comunemente nota col nome di Bologna, ovvero col nome della città in cui essa fu inventata.
 
Mortadella

L'origine del nome "mortadella", è tuttora fonte di dibattito, ma risalirebbe all'epoca dell'Impero Romano, secondo alcuni deriverebbe da mortarium (mortaio), l'utensile usato per schiacciare la carne di maiale; condividerebbe quindi l'etimo con "la mortadela" trentina (salume niente affatto simile).
Altri ritengono invece che provenga da mortarum, una salsiccia aromatizzata con bacche di mirto, oppure da “murtatum” che significa, appunto, carne finemente tritata nel mortaio.
La mortadella è nata probabilmente nel I secolo, e la sua produzione si è sviluppata in un'area compresa tra Emilia-Romagna e Lazio; tuttavia, per un periodo di tempo, questo salume entrò nell'oblio, ma ricomparve nel tardo Medio Evo, dove veniva prodotto esclusivamente nella città di Bologna.
Le sue origini sono da ricercare nei territorio dell'antica Felsina etrusca e della Bononia dei Galli Boi, che vivevano in ambienti ricchi di boschi di querce che fornivano le ghiande, principale alimento dei maiali di allora, allevati allo stato brado o addomesticati.
Si parla della mortadella già nei libri di cucina del 1300, anche se è probabile che esistessero diversi tipi di mortadella confezionate con carni di vitello e di asino.
La mortadella è un insaccato cotto dalla forma cilindrica od ovale, di colore rosa e leggermente speziato. Il primo a raffigurare la mortadella fu Luigi Maria Mitelli in una incisione della seconda metà del '600, e secondo alcuni la ricetta risale al 1557.
Un tempo per produrre la mortadella si impiegavano carni di varie specie animali tra cui suini, bovini ed equini e nelle mortadelle di qualità inferiore venivano utilizzati i tagli meno nobili delle carni scadenti di diverse specie animali unitamente alle frattaglie. Nonostante tutto la mortadella era un cibo per ricchi in quanto la difficoltà di produzione e la lunghezza del procedimento la rendevano piuttosto costosa.
Oggi le cose sono molto cambiate e la mortadella Bologna, di puro suino, ha ottenuto nel 1998 la certificazione IGP.
Per la sua preparazione vengono impiegati solo tagli nobili (carne e lardelli di elevata qualità) e la sua produzione avviene secondo un preciso disciplinare.

Mortadella

venerdì 23 ottobre 2015

Pasta e fagioli.

Quale è il piatto più "nazionale" d’Italia? Cioè quello presente veramente in tutte le regioni, dalle Alpi al Mediterraneo? Facile, è la pasta e fagioli.
Certo, i tipi di fagioli usati sono diversi, come pure i tipi di pasta ed i condimenti utilizzati. Però un piatto di pasta e fagioli lo troverete ovunque. Alla base c'è un alimento straordinario: il fagiolo.

Pasta e fagioli.

La storia della pasta e fagioli inizia oltre duemila anni fa: il fagiolo e il grano duro, amanti per contrasto sia per il contenuto dei nutrienti sia per forma che per colore si dettero appuntamento in Italia, alcuni dicono a Roma altri ipotizzano Napoli, per consumare una notte di passione. Il letto di nozze avrebbe dovuto essere appunto una pasta e fagioli. Il grano duro fu il primo ad arrivare sul luogo dell’appuntamento: arrivò intorno al primo secolo a.C..
Il fagiolo invece non fu puntuale: viveva in America e fu costretto ad aspettare Cristoforo Colombo che finalmente arrivò esattamente nel 1492. Il fagiolo, grazie alle scoperte geografiche di quell’epoca ed alle imprese dei navigatori spagnoli e portoghesi, riuscì ad imbarcarsi per il vecchio continente solo intorno al 1530 insieme ad altre colture come i pomodori e i peperoni. Nel XVI secolo, infatti, giunsero in Europa. Nel frattempo il grano duro si consumava in un’estenuante attesa cercando invano di abbellire la mensa degli uomini di potere.

Pasta e fagioli.

Il Lucano Orazio, Poeta latino di Venosa, nato nel 65 a.C., nella VI Satira racconta che amava tornare al borgo natio per mangiare la zuppa “lucana”, ceci e porri. Era un piatto semplice, molto amato dal poeta, forse non troppo dissimile dalla nostra pasta e ceci. 
Secondo gli studiosi di gastronomia è questo il primo riferimento scritto alla pasta, la cui invenzione pare possa essere attribuita agli Italiani, dal momento che anche atti notori del 1244 e 1279 citano questo prodotto e che Marco Polo tornò dalla Cina solo nel 1292, cioè ampiamente dopo queste date. Alla base della preparazione della pasta è la straordinaria qualità del grano duro che in Italia aveva trovato condizioni ideali e che è stato coltivato da sempre con ottimi risultati. Per farla breve la pasta dovette attendere circa 1500 anni, anzi esattamente 1532 anni fino a quando sbarcò il fagiolo. Questa nuova specie si fece subito notare e catturò le simpatie del Clero. Il fagiolo americano deve il suo successo ad un sacerdote e letterato: Pietro Valeriano Bolzanio, un bellunese che nel borgo natio di Castion seminò e seguì scrupolosamente le sementi che aveva portato da Roma. I fagioli gli sono stati consegnati personalmente da Papa Clemente VII con il preciso intento di farli fruttificare in nuove regioni. In breve tempo, una folta vegetazione di foglie seguita da una insolita fioritura di gemme che rapidamente si trasformarono in baccelli pieni di legumi, svettò dalle finestre della canonica: era il Phaseolus vulgaris, una nuova specie di pianta esotica portata dal Nuovo mondo che l’imperatore Carlo V aveva fatto dono al Papa. Pietro Valeriano intuì, quasi subito, le grandi possibilità di espansione della nuova pianta che riuscì ad acclimatarsi, senza difficoltà, nella terra e negli orti, nelle vallate e sulle colline. Il fagiolo nel giro di pochi anni si diffuse nelle aree a clima temperato-caldo ampliando notevolmente l’areale di coltivazione.

giovedì 22 ottobre 2015

Confettura di pere con vaniglia e cocco.

Etimologicamente, il nome Vaniglia deriva dello spagnolo vainilla che deriva a sua volta dal latino vagina che significa guaina, baccello. 
Nella maggior parte delle lingue, la vaniglia si identifica per dei nomi foneticamente molto simili: vaniglia in italiano vanilla in inglese, wanilia in polacco, vanilj in svedese, vanille in francese.

Baccelli di vaniglia.

Flessibile e poco ramificata, la liana di vaniglia, anche chiamata vaniller, si sviluppa per crescita del germoglio e forma dei lunghi terminali che si arrampicano all'assalto del loro supporto per più di dieci metri. Se il fusto è rotto, si può eseguire facilmente una talea che permette la moltiplicazione della pianta, in natura così come in coltivazione.
Le foglie sono alternate lungo i lati del gambo. Sono piatte, intere, ovali con la punta aguzza, all'incirca tre volte più lunghe rispetto alla larghezza e possono raggiungere la misura di quindici centimetri. Il gambo e le foglie sono verdi, carnosi, contenenti un succo trasparente e irritante che provoca sulla pelle delle scottature e pruriti persistenti. Nelle vicinanze dell'attaccatura delle foglie ci sono spesso delle radici aeree che permettono alla pianta di appendersi al suo appoggio o se necessario ad una talea di radicarsi.I fiori, in gruppi di otto o dieci, formano dei piccoli bouquet. Di colore bianco, verdastro o giallo pallido, hanno una struttura classica di un fiore d'orchidea malgrado un'apparenza molto regolare.
La fecondazione necessita l'intervento d'un ausilio specializzato: in natura, nelle regioni d'origine è effettuato grazie a degli insetti del genere Melipona, un genere di api senza pungiglione. Dopo la fecondazione, l'ovario che serve da picciolo alla base del fiore si trasforma in grosso pendente lungo da 12 a 25 centimetri.
I baccelli freschi e ancora inodori hanno un diametro da 7 a 10 millimetri. Contengono migliaia di semi minuscoli che sarebbero liberati per esplosione dei frutti maturi se non si provvedesse a raccoglierli ancora verdi.

Baccelli verdi di vaniglia.

La vaniglia è originaria delle foreste tropicali umide della costa orientale messicana dove vive nel sottobosco. Ma la vaniglia è soprattutto conosciuta come pianta coltivata. È la storia di questa spezia che ha contribuito a diffondere la coltura di questa pianta nella maggior parte delle regioni tropicali umide del mondo. 
Per più di due secoli, nel XVII secolo e XVIII secolo, il Messico, e in particolare la regione di Veracruz, conserva il monopolio della vaniglia. I Totonachi (antica popolazione Amerinda) rimangono i primi produttori fino alla metà del XIX secolo. Tutti i tentativi di far riprodurre questa orchidea al di fuori del proprio habitat naturale falliscono. Fino al XIX secolo infatti si ignorava che le api melipona giocano un ruolo fondamentale per la fecondazione e la formazione del frutto.
La prima impollinazione artificiale del vaniller fu effettuata nel 1836 nel Giardino Botanico di Liegi da parte del naturalista belga Charles Morren poi, nel 1837, da parte dell'ortocultore francese Joseph Henri François Neumann. Non è un caso se nel 1841 un giovane schiavo di Bourbon di dodici anni, Edmond, mise a punto il procedimento pratico tuttora utilizzato. Questo metodo d'impollinazione, la cui paternità viene ingiustamente rivendicata dal botanico francese Jean Michel Claude Richard, fa dell'isola di Bourbon il primo centro "vanigliero" del pianeta, qualche decennio dopo l'introduzione dell'orchidea sul suo suolo nel 1819. Con l'abolizione della schiavitù, nel 1848, a Edmond venne dato il patronimico "d'Albius", correlato al colore bianco del fiore di vaniglia.

giovedì 15 ottobre 2015

Coniglio al forno con patate.

Il coniglio ha una carne magra e poco calorica che oscilla tra le 120 e le 160 Kcal per 100 g; può quindi essere consumato nelle diete ipocaloriche in cui è essenziale variare un po’ gli alimenti per non annoiarsi e scoraggiarsi e poi perché una dieta varia serve ad avere tutti gli elementi essenziali per il nostro organismo.
E’ bene consumare questo tipo di carne qualche volta al mese perché  è una fonte molto ricca di Omega 3, di vitamine B, E, PP, e di fosforo, inoltre è un alleato molto prezioso per combattere e prevenire il colesterolo e le malattie cardiovascolari.
Quando si acquista il coniglio occorre guardare sempre bene l’etichetta, in cui con metodi più o meno chiari, è sempre indicata la provenienza e il modo in cui è stato allevato; in ogni caso, per essere di buona qualità, il coniglio deve avere una carne rosea, il fegato rosso e brillante, i rognoni devono essere circondati da una parte di grasso e le cosce devono essere carnose e piene.

Io cucino il coniglio abbastanza spesso e in vari modi; oggi voglio raccontare una collaudata ricetta di mia madre (pugliese) che, nel tempo, ho leggermente modificata.
Da sempre era la ricetta del coniglio al forno che faceva e che fa tutt’oggi; ad  onor del vero, altre al coniglio, mia madre mette anche delle puntine di maiale che rendono il tutto più “untosamente” saporito.
Io preferisco utilizzare solo coniglio!

Coniglio al forno con patate.

Ingredienti (per 4-6 persone) 
1,5 Kg di coniglio a pezzi; 
1 Kg di patate;
200 g di pomodori ciliegino;
4 Cucchiai di grana grattugiato;
4 Cucchiai di pane grattato;
6 Cucchiai di olio EVO;
2 Spicchi d’aglio;
1 Bicchiere di vino bianco secco;
½ Bicchiere di aceto bianco;
1 Bicchiere di acqua;
1 Cucchiaio di mix di odori: salvia, rosmarino e timo tritati;
1 Mazzetto di prezzemolo;
Sale e pepe q.b.

1 – Preparazione.
Lavare il coniglio e ridurre ulteriormente i pezzi più grossi a dimensione minore. Mettere i pezzi di carne in una bacinella e bagnare con  il vino ben miscelato con l’aceto e un pizzico di sale; lasciare a riposo per almeno 1 ora.
Tritare fine mente l’aglio e, separatamente, anche il prezzemolo lavato e mondato.
In una ciottolina aggiungere 2 cucchiai di pane grattato, 2 cucchiai di grana, un pizzico di sale, il pepe, la miscela di odori tritati (salvia, rosmarino e timo) e mescolare bene.
Pelate le patate, lavatele e tagliatele a rondelle di 3-4 mm di spessore; scottate, per 2-3 min. le fette di patata in acqua salata portata a bollore (questo passaggio permette di ridurre il looro tempo di cottura delle).
Scolate le patate e lasciatele raffreddare; trasferitele in una bacinella, aggiungete il mix di formaggio, pane grattato, odori e mescolate molto bene.

2 – Cottura. 
In una casseruola mettete 3 cucchiai di olio EVO, 1 spicchio d’aglio tritato, i pezzi di coniglio scolati e rosolate, a fiamma viva, sino a quando il liquido liberatosi dalla carne si sarà asciugato e ogni pezzo di carne sarà ben colorito (dovrebbero bastare 10-15 min.). 
Trasferire il coniglio, con tutto il suo intingolo, in una teglia da forno; coprite con un foglio di alluminio e cuocete per 30 min. in forno preriscaldato a 180 °C; dopo 15-20 min. rivoltate i pezzi di coniglio e completate la cottura dopo aver aggiustato di sale e pepe.
Trascorso il tempo, togliete la teglia dal forno e aggiungete le patate facendo uno strato compatto; spolverate uniformemente con, il restante, formaggio, il pane grattato, l’aglio, un cucchiaino di prezzemolo tritato e i pomodorini tagliati a metà.
Unite l’olio EVO, restante, a filo, ½ bicchiere d’acqua calda, coprite con il foglio d’alluminio e infornate nuovamente a 180 °C per circa 30 min.
Dopo 15 min. togliete il foglio di alluminio e, nel caso che il coniglio sia troppo asciutto, aggiungere altra acqua  calda (la preparazione, alla fine, dovrà essere umida: non brodosa ma neppure troppo asciutta); completare la cottura azionando il grill (in questo modo lo strato superficiale dorerà e diverrà croccante).
Trascorso il tempo, verificare la cottura della carne e delle patate e, se necessario, aggiustare di sale e proseguire ancora per qualche minuto assicurandosi che il coniglio non asciughi troppo. 

3 - Presentazione.
A cottura ultimata, spegnere il forno e lasciare la teglia al suo interno, per altri 10-15 min., lasciando lo sportello leggermente socchiuso.
Servire il coniglio con patate non troppo caldo.