lunedì 16 gennaio 2017

La carbonara di patate.

Qualche tempo fa, ho trovato in rete una ricettina molto interessante: patate alla carbonara.
Dopo aver preparato i bucatini all’amatriciana e gli spaghetti alla carbonara, utilizzando l’ottimo guanciale di Amatrice, mi era rimasto un bel pezzo di guanciale che ho usato per la realizzazione di questa ricetta delle patate alla carbonara.
Devo dire che il risultato mi ha molto soddisfatto; parere condiviso anche da alcuni amici che hanno avuto modo di provare il piatto.

La carbonara di patate.

Ingredienti (per 4 persone).
4 patate grosse;
3 uova;
4-5 cucchiai di pecorino romano grattugiato;
100 g di guanciale di buona qualità;
1 mazzetto di prezzemolo fresco;
Abbondante pepe nero macinato fresco;
Sale q.b.

1 – Preparazione.
Prepariamo il guanciale.
Eliminate la cotenna dal guanciale (1); tagliatene delle fettine con spessore di circa 1 centimetro (2); ricavate poi, da ogni fettina, delle striscioline (3) e, in fine, dei cubetti non troppo piccoli (4).
Prepariamo le patate.
Dopo aver pelato le patate, tagliate a fettina dello spessore di circa 1 cm.; ricavate poi dei bastoncini, sempre da 1 cm. (1) ed in fine dei cubetti (2); cercate di ottenere cubetti, più o meno, della stessa dimensione poiché, in questo modo, cuoceranno in modo uniforme.
Nel frattempo in una terrina aggiungete le uova a temperatura ambiente; unite il pecorino (lasciatene da parte un paio di cucchiai), il pepe e un pizzico di sale. Battete le uova con una forchetta per almeno 5 minuti, fino a che il composto non sia spumoso. Aggiungete anche 1 cucchiaio di prezzemolo tritato finemente.

2 – Cottura.
Fate scaldare una padella antiaderente e aggiungete il guanciale (1) e, a fuoco medio-alto, fate rosolare; via via che la rosolatura prosegue, il guanciale rilascerà il suo grasso e i pezzetti “friggeranno”, per così dire, immersi nel proprio grasso (2); quando il guanciale sarà ben dorato (croccante fuori e morbido dentro), scolate i pezzetti di guanciale e metteteli da parte, al caldo, in un piatto (3).
Nella stessa padella utilizzata per il guanciale, cuocete le patate a cubetti con coperchio. Quando le patate saranno cotte (lasciatele un po’ al dente), unite il guanciale e fatele saltatele, per un paio di minuti, a fuoco vivo.
Spegnete il fornello sotto la padella distribuite l’uovo sopra la preparazione, aggiungendo anche il resto del formaggio grattugiato; coprite e lasciate che l’uovo si rassodi: ci vorranno 3-4 minuti.

3 - Presentazione.
Trascorso il tempo, scoperchiate, mescolate il tutto molto bene e impiattate.
Prima di servire le vostre patate alla carbonara spolverizzate un po’ di pepe nero sopra i piatti e se volete dell’altro prezzemolo tritato finemente.

Riepilogo costi-Kcal.

sabato 14 gennaio 2017

Pasta con le lenticchie.

Ricche di fibre, sali minerali e vitamine, le lenticchie sono considerate, fin dai tempi antichi, la carne dei poveri. Sono legumi appartenenti alla famiglia delle Papilionacee e la loro storia inizia molti secoli fa. Alcuni studi condotti su reperti fossili, riferiscono che le lenticchie sono il legume più antico coltivato dall’uomo.

Lenticchie.

Le prime tracce della loro esistenza risalgono addirittura al 7000 a.C., epoca in cui già risultano coltivazioni, specialmente in Asia e soprattutto nella regione che oggi corrisponde alla Siria e da questa zona si diffusero facilmente in tutto il mediterraneo. Per quanto riguarda il consumo, le notizie riferiscono che in Turchia erano soliti farne uso già dal 5.500 a.C. Dunque la sua storia inizia già in tempi molto remoti: alcune testimonianze dell’uso delle lenticchie si trovano anche nella Bibbia, ma non solo: nelle tavole degli antichi romani e greci, non mancavano mai anche se venivano utilizzate principalmente dalle classi più povere, in virtù del loro potere nutritivo ed energetico. In particolar modo, essendo un alimento facilmente reperibile e poco costoso, specialmente nel Medioevo e in periodi di forti carestie quando il cibo scarseggiava, questo piatto sostituiva facilmente un pasto completo fornendo proteine e vitamine e migliorando anche le condizioni di salute e quindi la resistenza alle malattie.
In botanica, la pianta delle lenticchie è Ervum lens, una dicotiledone appartenente alla famiglia delle Leguminose o Papilionate: si tratta di una specie vegetale attualmente coltivata in tutte le zone a clima caldo temperato. La pianta annuale raggiunge altezze poco elevate, di appena 30 o 40 centimetri; presenta un fusto eretto, gracile, ramificato ed angoloso, e piccoli fiori a corolla blu o biancastri, raggruppati a due o a tre, lungo peduncoli di lunghezza variabile. Le foglie, composte da una a otto foglioline, sono pennate ed alterne, e presentano un semplice cirro. Nonostante la radice della pianta di lenticchie sia fittonante, il fittone non penetra in profondità molto elevate (si spinge sino a 35-40 cm).

Pianta di lenticchie.

I frutti di Ervum lens sono baccelli, legumi rombici, contenenti pochi semi rotondi, schiacciati (lenticolari, per l'appunto) ed estremamente energetici. Il diametro delle lenticchie varia in base alla specie: alcune sono molto piccole (2 mm), altre più grandi (9 mm). I semi presentano un colore variabile dal giallo scuro all'arancio; alcune specie di lenticchie presentano una tinta tendente al verdastro, altre addirittura risultano quasi nere alla vista

mercoledì 11 gennaio 2017

Coppa con crema pasticcera fatta al microonde.

La crema pasticcera è una preparazione a base di uova, zucchero, latte e farina, utilizzata in moltissimi prodotti dolciari.
Al posto della farina possono essere utilizzati altri addensanti come l'amido di mais o di riso.

Crema pasticcera.

Può essere servita come dolce al cucchiaio oppure utilizzata come guarnizione o farcitura per torte, pan di spagna, cannoli, bignè, e svariati altri prodotti di pasticceria. 
Ne esistono molte varianti: la crema diplomatica, che si ottiene amalgamando panna montata, la crema al limone, profumata con una scorza di agrume, la crema alla vaniglia, aromatizzata con vaniglia (o in alternativa con vanillina), crema inglese (come la pasticcera ma senza farina o altri addensanti) o, infine, la crema al cacao. 
Nelle società di un tempo, i primi "dolci" consistevano in elaborazioni nate arricchendo il pane e furono per molto tempo riservate esclusivamente alla classe nobile mentre i restanti ceti sociali (ben lontani dallo sfarzo delle corti e dove la povertà imperava) dovevano accontentarsi dei soliti pasti frugali.
Tali preparazioni assumevano le forme più diverse, modellate ispirandosi a parti animali o umane, spesso per essere usate quali offerte votive agli dei.

domenica 8 gennaio 2017

Fettine di cuore trifolate con topinambur.......trifolato.

Radice di provenienza nordamericana, il topinambur (Helianthus tuberosus) è un ingrediente relativamente poco diffuso nella nostra cucina, ma che presenta interessanti caratteristiche nutrizionali e può pertanto entrare di diritto in un’alimentazione sana ed equilibrata. Ricco di fibre, vitamine e sali minerali, il topinambur è adatto a qualsiasi regime dietetico, soprattutto quelli ipocalorici o destinati a chi soffre di diabete: ecco dunque una guida approfondita sul topinambur, sulle sue caratteristiche e sui suoi numerosi utilizzi (in cucina e non solo).

Topinambur.

Il nome generico (Helianthus) deriva da due parole greche “helios” (sole) e “anthos” (fiore) in riferimento alla tendenza di alcune piante di questo genere a girare sempre il capolino verso il sole, comportamento noto come eliotropismo. Il nome specifico (tuberosus) indica una pianta perenne, il cui organo di sopravvivenza è un tubero. 
Il binomio scientifico attualmente accettato (Helianthus tuberosus) è stato proposto da Carl von Linné (1707–1778) biologo e scrittore svedese, considerato il padre della moderna classificazione scientifica degli organismi viventi, nella pubblicazione Species Plantarum del 1753. 
Il topinambur, conosciuto anche con i curiosi nomi di Rapa Tedesca, Girasole del Canada, Tartufo di Canna (affinità per forma) o carciofo di Gerusalemme (affinità per gusto), è una pianta perenne appartenente alla famiglia delle Asteraceae.
Si tratta di una specie dotata di un rizoma tuberoso, ovvero un bulbo sotterraneo dal quale, durante la stagione vegetativa, si origina un fusto la cui altezza può raggiungere anche 3 metri. Le foglie sono di forma diversa a seconda dell’altezza alla quale si sviluppano: verso la radice della pianta sono cuoriformi, mentre più in alto si presentano di forma ovata, appuntite e dal margine seghettato; la lunghezza è compresa fra 8 e 15 centimetri, mentre il loro colore è verde scuro.
I fiori, o meglio le infiorescenze del topinambur, assomigliano a grandi linee ad una grossa margherita di colore giallo caldo, dorato, intenso; la fioritura avviene verso la fine dell’estate.

Infiorescenza di topinambur.

Muffin con panettone (ricetta rivisitata).

Un muffin è un dolce simile ad un plum cake, di forma rotonda con la cima a calotta semisferica senza glassa di rivestimento.


Alcune varietà, come i "cornbread muffins", sono salate. Si possono preparare con ripieno di mirtilli, cioccolato, cetrioli, lampone, cannella, zucca, noce, limone, banana, arancia, pesca, fragola, mandorle e carote. In genere esistono dei muffin che si tengono in un palmo della mano e si consumano in un sol boccone. I muffin sono prodotti di uso specialmente nel Regno Unito.
La parola muffin viene citata per la prima volta in Inghilterra nel 1703 con la scrittura "moofin". Qualcuno vuole derivato il termine dal francese mouflet, che significa soffice inteso come il pane, altri vogliono far derivare la parola dal tedesco muffen che significa piccole torte perché all'origine si trattava di piccole torte. Le prime versioni di muffin erano meno nobili. Il fornaio di famiglia inizialmente cucinava i muffin per la servitù con i rimasugli del pane del giorno prima e dei rimasugli di lavorazione di biscotti, mescolando il tutto con delle patate schiacciate. Il tutto veniva fritto facendo divenire il composto così ottenuto in muffin leggeri e croccanti. Questo preparato venne scoperto dai padroni dell'epoca facendo divenire questo composto in pietanza preferita per l'ora del tè.

sabato 7 gennaio 2017

Cotechino con lenticchie.

Il cotechino è un tipo di insaccato consumato cotto. Deve il suo nome alla presenza nell'impasto della cotica, la cotenna di maiale, e prende nomi locali a seconda della zona in cui viene prodotto. La tradizione vuole che sia il piatto che si consuma il primo giorno dell'anno (o l'ultimo) accompagnato dalle lenticchie.
Si prepara riempiendo il budello con:
  • cotenna,
  • carne, solitamente non di prima scelta,
  • grasso,
impastati con sale e spezie, nella produzione industriale vengono aggiunti per la conservazione nitriti e nitrati.

Cotechino artigianale.

La pezzatura varia da pochi etti (formato salsiccia) a più di un chilo (formato grosso salame). Richiede tempi lunghi di cottura, a fuoco basso per non rompere il budello, in modo che le cotenne diventino morbide.
Il cotechino è universalmente riconosciuto come il padre dello zampone.
L’idea di sistemare il contenuto del maiale in piccoli contenitori fatti con le budella stesse dell’animale è antichissima e ha permesso  di avere a disposizione un sistema di conservazione assai efficace. Il cotechino è per questo considerato l’antesignano di ogni tipo di “insaccato”. Dalla mortadella al salame. L’idea di utilizzare come involucro la pelle e non le budella è successiva,di molti secoli dopo,ma questa è un’altra storia. Quella dello zampone. La storia dello zampone è abilmente impastata con la leggenda. Come spesso accade quando non si hanno notizie certe, la nascita dello  zampone viene concordemente fatta risalire al  1511, Anno del Signore.

Cotechino artigianale.

Lo afferma, tra gli altri, il grande mutinologo (studioso di Mutina; il nome romano di Modena) Marco Cesare Nannini. In quel tempo le truppe di Papa Giulio II Della Rovere assediano Mirandola, presso Modena: la patria di Giovanni Pico della Medesima (per non ripetere: della Mirandola), alleata fedele della Francia. Vero la fine dell’assedio i mirandolesi  ormai erano alla frutta. Anzi gli sarebbe piaciuto esserlo, visto che ormai erano alla fame. Restavano  loro soltanto dei maiali. Non macellarli era un peccato: significava regalarli al nemico, ormai prossimo ad entrare in città. Macellarli? Peggio: una volta ucciso, il maiale andava consumato subito. E nonostante la fame blu che avevano, non ce l’avrebbero fatta a mangiarseli tutti. Che fare?
L’idea giusta non venne al famoso Pico, nonostante fosse chiamato “la Fenice degli Ingegni”, ma venne a un suo cuoco, meno colto, ma più sveglio. “Macelliamo gli animali, e infiliamo la carne più magra in un involucro formato dalla pelle delle sue zampe”, disse costui. “Così non marcirà, e la potremo conservare. Per cuocerla più avanti”.
Troppo avanti le cose, in verità, non sarebbero andate: il 20 gennaio del 1511 i mirandolesi capitolarono, e probabilmente il capostipite dello zampone (perché questo aveva inventato l’anonimo cuoco di Pico della Mirandola) se lo mangiarono in gran parte  i papalini.

Fusilli con sugo alla pizzaiola, un po’ più ricco.

Viene definita alla pizzaiola una preparazione a base di fettine di carne e sugo di pomodoro.
La storia della pizzaiola è alquanto incerta, anche se l'origine è quasi certamente napoletana. La ricetta ha conosciuto una larga diffusione ed è stata oggetto di numerosissime reinterpretazioni. Il successo di questa particolare preparazione va individuato, oltre che nella semplicità di esecuzione, anche nel fatto che una volta terminata, si presta per essere usata come condimento per la pasta; infatti, il sugo ottenuto, una volta tolte le fettine da utilizzarsi come seconda portata, si presta per condire spaghetti o vermicelli.
Nel corso degli anni ho più volte modificato la mia ricetta delle scaloppine alla pizzaiola sino ad arrivare alla versione definitiva (sino ad ora) per un piatto solo e unicamente da utilizzare come seconda portata; che non prevede quindi l’utilizzo del sugo per condire la pasta.
A questo punto però mancava un sugo, un condimento alla pizzaiola, da utilizzare per la pasta; dopo svariati tentativi, ecco la ricetta che, rispetto alla versione “tradizionale”, prevede l’utilizzo di ingredienti aggiuntivi come le olive, i capperi e le acciughe.
Anche questa ricetta, oltre che per condire la pasta, può tranquillamente essere utilizzata per la preparazione di carne; infatti, uno dei prossimi post, descriverò la realizzazione di straccetti di vitellone alla pizzaiola utilizzando questo stesso sugo.

Fusilli con sugo alla pizzaiola, un po’ più ricco.


Ingredienti (per 4 persone).
320 g di fusilli;
400 g di polpa di pomodoro;
80 g di olive taggiasche denocciolate;
1 cucchiaio di capperi dissalati;
2 acciughe dissalate (o 4 filetti sottolio);
3 spicchi d’aglio;
1 scalogno;
1 cucchiaio di origano secco (quando disponibile usate quello fresco);
Qualche ramo di prezzemolo fresco (opzionale);
50 g di pecorino romano DOP grattugiato;
4-5 cucchiai di olio EVO;
1 peperoncino (se possibile fresco);
Sale e pepe nero grattugiato fresco q.b.

1 – Preparazione.
In una ciotolina, mettete l’origano secco, aggiungete 2-3 cucchiai d’acqua, mescolate e lasciate reidratare per 10-15 minuti; in questo modo, durante la cottura, verranno estratti meglio tutti i principi attivi.
Nel periodo di disponibilità di prodotto fresco (normalmente tra maggio e settembre), consiglio di utilizzare le foglioline di rametti freschi; la preparazione risulterà decisamente migliore.
Dissalate i capperi sciacquandoli ripetutamente con acqua tiepida; metteteli in una ciotolina colma d’acqua e lasciateli da parte sino al loro impiego.
Dissalate accuratamente, con acqua corrente, le acciughe; pulitele e privatele della lisca centrale, della coda e delle pinne dorsali e laterali.
Tritatele finemente e mettetele da parte.
Scolate le olive dall’olio di conservazione; prelevatene una metà e tagliatele a rondelle; la restante parte, unitele all’origano strizzato, ai capperi (anch’essi strizzati) e realizzate a coltello un trito fine.
Tritate finemente lo scalogno e gli spicchi d’aglio (privati, se presente, dell’anima centrale).

2 – Cottura.
Fate scaldare l’olio EVO in un’ampia padella in grado di contenere la pasta da saltare; aggiungete le acciughe tritate e, mescolando di continuo a fuoco medio, fate rosolare sino a quando saranno quasi completamente disciolte.
Unite il trito di scalogno e aglio e fate insaporire per 2-3 minuti; unite anche il peperoncino (intero o tritato).
Aggiungete ora la polpa di pomodoro e, a fuoco medio, fate cucinare per 10-15 minuti o sino a quando la preparazione si sarà un poco asciugata.
Contemporaneamente portate a bollore dell’acqua salate e lessate la pasta.
A questo punto, unite il trito di origano, capperi, olive (comprese quelle a rondelle) al sugo e fate insaporire per alcuni minuti; aggiustate di sale se necessario.
Scolate la pasta al dente e unitela al sugo unitamente ad un mestolino di acqua di cottura della pasta.
Fate saltare la pasta per un paio di minuti aggiungendo altra acqua di cottura della pasta nel caso la preparazione risultasse troppo asciutta.

3 - Presentazione.
Al momento di servire, se gradito, aggiungete un trito di prezzemolo fresco.
Servite con una spolverata di pecorino grattugiato.

Riepilogo costi-Kcal.