“Tenace
monumento dei deserti”: è con questa metafora che viene al meglio descritto il
carattere del fico d'India, frutto coronato di spine
che sopravvive alle aride e secche temperature desertiche.
Per molto tempo, il fico d'india ha rappresentato un simbolo della tradizione Azteca: oggi è fonte di interesse non solo in ambito alimentare ed agricolo, ma anche in quello fitoterapico e cosmetico.
Il nome botanico del fico d'india è Opuntia ficus-indica; il nome del genere
è lo stesso termine usato dagli antichi latini per indicare questa pianta,
presente in alcuni scritti di Plinio il Vecchio e probabilmente derivato dal
nome della città greca antica di Opunte, capitale della regione della Locride
Opuntia. L'attributo specifico è di origine latina e sta letteralmente a
significare 'fico dell'India'. La specie fu qualificata da Miller nel 1768, ma
il nome probabilmente deriva da Cristoforo Colombo, che nel 1493 credette di
essere approdato proprio in India.
Recenti studi genetici indicano che Opuntia ficus-indica è originaria del
Messico centrale. Da qui si diffuse successivamente a tutto il Mesoamerica e
quindi a Cuba, Hispaniola, e alle altre isole dei Caraibi, dove i primi
esploratori europei della spedizione di Cristoforo Colombo la conobbero,
introducendola in Europa. È verosimile che la pianta fosse stata introdotta in
Sud America in epoca pre-colombiana, sebbene non vi siano prove certe in tal
senso; quel che sembra accertato è che la produzione del carminio, strettamente
correlata alla coltivazione della Opuntia, fosse già diffusa tra gli Incas.
In Europa
la pianta oltre che per i suoi frutti, suscitò attenzione quale possibile
strumento per l'allevamento della cocciniglia del carminio, ma si dovette
aspettare sino al XIX secolo perché il tentativo avesse successo nelle isole
Canarie. Agli inizi restò pertanto una curiosità da ospitare negli orti
botanici.
Da qui si diffuse rapidamente in tutto il bacino del Mar Mediterraneo dove si è naturalizzata al punto di divenire un elemento caratteristico del paesaggio. La sua diffusione si dovette sia agli uccelli, che mangiandone i frutti ne assicuravano la dispersione dei semi, sia all'uomo, che le trasportava sulle navi quale rimedio contro lo scorbuto. In nessuna altra parte del Mediterraneo il ficodindia si è diffuso come in Sicilia e Malta, dove oltre a rappresentare un elemento costante nel paesaggio naturale, è divenuto anche un elemento ricorrente nelle rappresentazioni letterarie e iconografiche dell’isola, fino a diventarne in un certo qual modo il simbolo.
Opuntia ficus-indica si espanse inoltre negli habitat aridi e
semi-aridi dell'Asia (India e Ceylon) e dell'emisfero sud, in particolare in
Sudafrica, Madagascar, Réunion e Mauritius, così come in Australia. In molti di
questi paesi, i fichi d'India sono diventati infestanti tanto da invadere
milioni di ettari e da richiedere gran quantità di diserbanti per contenerne
l'invadenza; soltanto la lotta biologica poté venirne a capo intorno al
1920-1925, con l'introduzione di insetti fitofagi come la farfalla Cactoblastis cactorum e la cocciniglia Dactylopius opuntiae.
La pianta
è al giorno d'oggi coltivata in numerosi paesi, tra cui: Messico, Stati uniti,
Cile, Brasile, Nord Africa, Sudafrica, Medio Oriente, Turchia, Tunisia su ampie
regioni del paese e Italia (prevalentemente in Sicilia, Calabria, Puglia e
Sardegna).
Il carattere infestante
della specie, che tende a sostituire la flora autoctona modificando il
paesaggio naturale, ha messo in allerta anche alcune regioni italiane, tra le
quali la Toscana, dove una legge regionale ne vieta espressamente l'uso per
interventi d'ingegneria naturalistica, come il rinverdimento, la riforestazione
ed il consolidamento dei terreni.
Il fico d'india appartiene alla famiglia
delle Cactaceae e rappresenta una pianta succulenta che può spingersi fino a 5
metri d'altezza.
I cladodi (o pale, impropriamente chiamate foglie)
costituiscono il fusto e si raggruppano formando ramificazioni. Sono ricoperti
da una pellicola cerosa che protegge la pianta dall'eccessivo calore, impedendo
la traspirazione e proteggendola da un possibile attacco da parte dei
predatori.
Dopo quattro anni di sviluppo, i cladodi subiscono una lignificazione, costituendo un vero tronco.
Anche l'Opuntia, come tutti i cactus, delega la
funzione clorofilliana al fusto e non alle foglie; queste sono piccolissime e
si trovano solamente nelle pale giovani. Le areole, alla base delle foglie, si
sviluppano in spine o in radici particolari chiamate glochidi, oppure in fiori.
Anche il frutto carnoso è coperto da areole;
alcune varietà di fico d'India possono non avere spine: il colore della bacca
carnosa può presentare una colorazione giallo-arancione, rossa o bianca. Il
sapore è dolce e piacevole.
La composizione nutrizionale delle foglie del fico
d'India è molto diversa da quella del frutto e dei semi.
Composizione chimica delle "foglie"
I cladodi della pianta contengono una consistente
quantità di acqua, ma rappresentano anche una preziosa fonte di oligoelementi
(potassio, magnesio, calcio, ferro, silice), sostanze nutritive (soprattutto
fibra grezza, carboidrati) e vitamine, in particolare vitamina C e precursori
della vitamina A (beta-carotene, luteina ed alfa-criptoxantina). Nel succo
delle foglie non mancano tiamina, riboflavina, niacina, vitamina B6 e folati.
Inoltre, nelle foglie del fico d'India si trovano molti aminoacidi, tra cui 7
essenziali.
Se i semi sono ricchi di lipidi e proteine, i
frutti sovrabbonadano di zuccheri semplici come glucosio e fruttosio. Nel
frutto ci sono anche sostanze anti-ossidanti come l'indicaxantina e la
betanina, che contrastano i processi ossidativi.
Sono molteplici gli usi del fico d'India: molte
usanze affondano le radici nell'antico popolo azteco: già all'epoca, gli
Aztechi utilizzavano le foglie del fico d'India per allevare un insetto, il Dactylopius coccus Costa, che serviva
per ottenere il rosso di cocciniglia. Dal corpo dell'insetto essiccato veniva
estratta la colorazione rossa (E120), tuttora richiestissima in ambito
cosmetico, farmaceutico, tessile ed alimentare.
In Messico la Opuntia ficus-indica è utilizzata per
l'allevamento del Dactylopius coccus, una cocciniglia che parassita i cladodi,
da cui si ricava un pregiato colorante naturale, il carminio. I tentativi di
importare l'allevamento anche nel Mediterraneo non hanno avuto successo per la
evenienza, nei mesi invernali, di temperature eccessivamente basse e di piogge
frequenti che impediscono la sopravvivenza dell’insetto. L'allevamento si è
affermato, invece, nelle Isole Canarie, soprattutto nell'isola di Lanzarote,
dove costituisce una fiorente attività economica.
La cocciniglia del carminio (Dactylopius coccus
COSTA, 1835) è un insetto dell'ordine dei Rincoti, originario dell'America
centrale.
È un parassita sessile, che vive primariamente
sulle cactacee del genere Opuntia.
L'insetto produce l'acido carminico, che
rappresenta una difesa contro i predatori.
L'acido
carminico può essere estratto dal corpo e dalle uova per produrre un pregiato
colorante naturale, il carminio (noto anche come rosso cocciniglia o
semplicemente cocciniglia).
È utilizzato come
colorante alimentare (E120, E124) [1] [2] o nell'industria cosmetica.
In agronomia è utile per la difesa del suolo, per
la realizzazione di siepi frangivento, per la pacciamatura, per la produzione
di compost.
In cosmetica viene utilizzata per la produzione di
creme umettanti, saponi, shampoo, lozioni astringenti e per il corpo, rossetti.
È utilizzata inoltre per la produzione di adesivi
e gomme, fibre per manufatti e carta.
Un tempo, il succo ricavato dalle foglie era
utilizzato come lubrificante per agevolare gli spostamenti di grandi massi di
pietra; inoltre, associato a miele e rosso d'uovo, sembrava essere utile contro
le scottature. Poteva essere usato anche
per alleviare infiammazioni, lussazioni e tonsilliti.
Grazie alle risorse vitaminiche, il fico d'India
era usato anche dai conquistatori del Messico per contrastare lo scorbuto,
malattia da carenza di vitamina C.
I fiori, nella medicina contemporanea messicana,
sono utilizzati per contrastare la cistite e come diuretici; i frutti aiutano a
bloccare la diarrea ed esercitano azioni astringenti, mentre le fibre e le
mucillagini sono tuttora usate come protettrici della mucosa gastrica e come
regolatrici della glicemia.
L'opuntia
vanta proprietà ipocolesterolemizzanti grazie alla componente fibrosa delle
foglie; le mucillagini, oltre a conferire all'omonima pianta proprietà
gastroprotettrici, le donano anche proprietà antinfiammatorie e cicatrizzanti.
È dimostrato l'effetto positivo, esercitato dalle fibre solubili, nella
diminuzione del colesterolo plasmatico e nel ritardare l'assorbimento del
glucosio.
Nella medicina siciliana popolare, per contrastare
le coliche renali si consiglia il decotto di fiori essiccati dell'opuntia.
Nel caso di ferite di superficie, si potrebbero
sfruttare le mucillagini dei cladodi per le proprietà emollienti, idratanti ed
antinfiammatorie.
L'utilizzo del fico d'India è particolarmente
interessante anche in cosmesi, per la produzione di creme umettanti, shampoo,
saponi, lozioni con azione astringente, e sembra favorire la crescita dei
capelli.
Recentemente, nel Dipartimento di Medicina di New
Orleans (Stati Uniti) è stato dimostrato un possibile effetto nella diminuzione
dei sintomi che seguono l'intossicazione alcolica.Anche l'azione antiossidante
del fico d'India è stata dimostrata da uno studio svolto nel Dipartimento di
Farmaceutica, Tossicologia e Chimica Biologica dell'Università di Palermo, e
nel Dipartimento di Farmacia dell'Università di Gerusalemme: la betanina e
l'indicaxantina sono le due sostanze antiossidanti responsabili dell'azione
anti-radicalica.
Anche le attività diuretiche e citoprotettrici
hanno un fondamento di verità: queste azioni attribuite al fico d'India sono
state valutate dal Dipartimento Farmaco Biologico della Facoltà di Farmacia
dell'Università di Messina: precisamente, l'attività diuretica è potenziata
dall'infuso del frutto e non dal fiore.
L'uso alimentare dell'opuntia si riferisce ai
frutti, ricchi di zuccheri, calcio, fosforo e vitamina C; possono essere
utilizzati freschi oppure destinati alla fabbricazione di liquori, gelatine,
marmellate, dolcificanti e succhi. Persino i cladodi sono sfruttati
dall'industria alimentare: vengono conservati sotto aceto o canditi.
In Sicilia si ha la tradizione di produrre un
particolare sciroppo dalla polpa priva di semi: è utilizzato per preparare
dolci rustici tipici.
Il frutto non dev'essere mangiato in quantità
eccessiva: potrebbe provocare, infatti, blocco intestinale; è per questo
sconsigliato nelle persone che soffrono di diverticoli intestinali.
I fichi d'India non perfettamente maturi vengono chiamati col nome "burduni" che significa bastardi; questo termina deriva dalla parola latina "burdo" che significa mulo, un animale non puro.
In Sicilia si utilizza uno sciroppo che si ottiene
dalla concentrazione del succo privato dei semi.
Per quanto riguarda la conservazione i fichi
d'India possono stare in frigorifero anche per 2 mesi dopo la raccolta, anche
se è sempre preferibile consumarli freschi.
In Italia vengono coltivate tre varietà di fichi
d'India che si distinguono per il colore della buccia; la bianca, la rossa e la
gialla.
Il succo che si ottiene dalle sue foglie (dette
cladoidi o pale) viene impiegato per i disturbi epatici e come idratante ed
emolliente per la pelle.
Le proprietà dimagranti dell'estratto ottenuto
dalla pianta sono state confermate da studi condotti in Francia su esseri
umani.
Grazie alla buona quantità di minerali come il
ferro, il fosforo ed il calcio il fico d'India viene utilizzato come
coadiuvante nella cura dell'osteoporosi.
Una delle altre proprietà dei fichi d'India
riguarda gli effetti benefici che la sua polpa ha sulle scottature.
Bisogna fare attenzione a non consumare troppi
fichi d'India in quanto i suoi semi potrebbero causare stitichezza.
I fichi d'India sono composti per l'85,5% da
acqua, per il 9% da carboidrati, il 3,5% da fibre e la restante percentuale è
formata da proteine grassi e ceneri; questi i minerali presenti nei fichi
d'india: potassio, magnesio e calcio sono presenti in grande quantità, seguono
poi fosforo, sodio, rame, selenio e ferro.
Per quanto riguarda le vitamine sono presenti la
vitamina A, alcune del gruppo B e la vitamina C.
Negli ultimi anni la ricerca scientifica si è
dedicata allo studio dei fichi d'India per tentare di dimostrare in modo
sperimentale le proprietà ed i benefici che questo frutto esplica nei confronti
dell'organismo umano; la tradizione popolare ha da sempre attribuito ai fichi
d'India proprietà terapeutiche ma gli ultimi studi condotti su questo frutto
paiono proprio confermare le sue proprietà benefiche.
Il fico d'india, grazie al buon contenuto di fibre
solubili e non, aiuta a dimagrire; le fibre sono utili per favorire il transito
degli alimenti nel tratto intestinale, rigenerano la flora intestinale e sono
utili nella prevenzione delle emorroidi.
I fichi d'India hanno proprietà dissetanti ed un buon potere energetico; queste caratteristiche lo rendono un frutto particolarmente indicato per l'inizio della stagione autunnale. Tra le proprietà più importanti dei fichi d'India vi è quella depurativa che è in grado di favorire l'espulsione dei calcoli renali e l'eliminazione dei liquidi. Dagli ultimi studi condotti sui fichi d'India pare che questi abbiano la proprietà di combattere i parassiti dell'intestino.
I fichi d'India hanno proprietà dissetanti ed un buon potere energetico; queste caratteristiche lo rendono un frutto particolarmente indicato per l'inizio della stagione autunnale. Tra le proprietà più importanti dei fichi d'India vi è quella depurativa che è in grado di favorire l'espulsione dei calcoli renali e l'eliminazione dei liquidi. Dagli ultimi studi condotti sui fichi d'India pare che questi abbiano la proprietà di combattere i parassiti dell'intestino.
Le varietà maggiormente diffuse nel nostro paese
sono la "moscateddo" di color arancione, la "sanguigna" di
color rosso, la "sulfarina" gialla e la "muscarella" bianca.
Per ogni 100 grammi di parte edibile si ha un
apporto calorico pari a 41 calorie.
Ogni Giovedì, nella zona dove abita mia madre, c’è
il “classico” mercato con le bancarelle e, quando sono a Milano, mi trasferisco
dalla “mamma” e facciamo la spesa di frutta e verdura in questo mercato allegro
e colorato.
Dal nostro fruttivendolo di fiducia, c’erano in
bella mostra dei fantastici fichi d’india: belli, grandi, coloratissimi e
succosi; davvero molto invitanti (io adoro questo frutto). Ne ho acquistati
alcuni per preparare questo primo piatto.
Ingredienti
(per 4 persone).
4 fichi d’india di colore arancio, circa 400 g (anche di altri colori);
320 g di riso Vialone Nano (va bene anche il
Carnaroli);
4-5 cucchiai di olio EVO;
10 g di burro;
1 scalogno;
1 spicchio di aglio;
½ bicchiere di vino bianco secco;
Qualche foglia di basilico;
5 cucchiai di grana grattugiato;
600-800 ml di
brodo vegetale (*);
Sale e pepe.
1
– Preparazione.
Per prima cosa puliamo i fichi d’india.
Lavare accuratamente i fichi d’india
lasciandoli a bagno in una bacinella colma d’acqua per un paio d’ore e
cambiando l’acqua 2-3 volte
Scolate i frutti e passateli con della carta assorbente;
in questo modo la maggior parte delle minuscole spine presenti nei punti scuri
della buccia, dovrebbero essere state eliminate e possiamo maneggiare i frutti
con le mani senza pericolo.
Un mio caro amico una volta mi disse che sua
madre, quando doveva pulire i fichi d’india, lasciava i frutti a bagno tutta la
notte e, il mattino successivo, li spellava tranquillamente con le mani.
Con l’ausilio di un coltellino affilato, tagliate prima una estremità del frutto (1) e poi l’altra (2) per circa 1 cm di spessore.
Ora, incidete la pelle del fico d’india con la
lama del coltellino, da un ‘estremità all’altra ma senza toccare la polpa (3).
Tenete fermo il lembo di buccia con la
forchetta e staccate il fico d’india dalla sua pelle srotolandolo lungo la sua
pelle fino a staccarlo completamente (4).
Ripetete questa operazione per tutti i fichi
d’india; degl’ultimi 2, dopo aver tolto i punti
scuri, tagliare la buccia a listarelle e tuffatele per qualche secondo in acqua
bollente e poi scolatele. In un padellino scaldate un cucchiaio di olio EVO;
aggiungete lo spicchio d’aglio schiacciato e lasciate insaporire per 2-3
minuti; eliminate l’aglio e aggiungete le listarelle di buccia di fico d’india e
fatele dorare; mettetele da parte, eliminando l’olio in eccesso con carta
assorbente.
Mettete in una
ciottola la polpa dei fichi d’india e con una forchetta schiacciatela, molto
bene, sino ad ottenere una purea; a questo punto, passare il tutto in un setaccio
a maglie non troppo larghe, aiutandovi con un cucchiaio o una forchetta, per
eliminare i semi (5). La stessa operazione la si può effettuare
utilizzando un passaverdura; io preferisco il setaccio perché con il
passaverdura è possibile che alcuni semini, rompendosi, passano nella polpa
setacciata.
Al liquido e
polpa così ottenuta, aggiungete un pizzico di sale.
2
– Cottura.
In una casseruola, scaldate l’olio EVO restante;
aggiungete lo scalogno tritato molto finemente e rosolate, a fuoco moderato,
per 2-3 minuti; quando lo scalogno sarà diventato traslucido, eliminatelo
completamente, poiché durante la tostatura del riso tenderà a imbrunire
conferendo un sapore amarognolo la risotto.
Unite il riso e fatelo tostare, a fuoco moderato,
per qualche minuto rimescolandolo delicatamente. Potrete considerare tostato il
riso una volta che questo inizierà a fare un certo attrito con la padella;
inoltre, appoggiando il dorso delle dita sopra il riso, sentirete che scotta.
Unite il vino bianco e mescolate sino a completa
eliminazione della parte alcolica del vino.
Aggiungete un mestolo di brodo vegetale bollente;
rimescolate delicatamente e lasciate consumare il liquido a fuoco moderato rimescolando
solo alla prossima aggiunta di liquido.
A metà cottura (circa 10 min.), aggiungere la
purea di fichi d’india, rimescolate delicatamente e continuate la cottura
aggiungendo un mestolo di brodo ogni volta che il precedente mestolo di liquido
sarà asciugato.
Quando il riso avrà raggiunto la cottura
desiderata (preferibilmente al dente), aggiungete il burro, un cucchiaio di
formaggio grattugiato, del basilico sminuzzato a mano, mescolate energicamente,
coprite e lasciate a fuoco spento a mantecare per cinque minuti.
3
- Presentazione.
Servite aggiungendo qualche listarella di buccia
di fico d’india, una spolverata di formaggio e, se gradito, del pepe nero
macinato fresco.
[1]
E120-COCCINIGLIA, ACIDO CARMINICO, VARI TIPI DI CARMINI
Sono coloranti naturali ottenuti da un insetto, il Cocci cacti (cocciniglia), che vive a spese di una specie di cactus (Napalea coccinillifera) presente in Perù e nelle Isole Canarie. L'estrazione del colore carminio avviene dalle uova essiccate dell'insetto (si ottiene allora il cosiddetto estratto coccineale) oppure facendo essiccare direttamente l'insetto (si ottiene una sfumatura del colore più intensa e brillante). Comunque, in entrambi i casi, il colore che si ottiene è molto stabile e trova impiego nella produzione di alcune caramelle rosse, viola o rosa, negli yogurt, nel marzapane, nelle gelatine, nei gelati, nelle bibite, nei liquori, nel Bitter Campari, in confetti medicinali e in cosmetici. È importante sottolineare come l'origine naturale di un prodotto non sia sempre garanzia di buona tollerabilità da parte dei consumatori. È proprio il caso di questi coloranti, che possono provocare, in soggetti sensibili, reazioni allergiche che vanno da eruzioni cutanee allo shock anafilattico. Negli Stati Uniti, alcune associazioni di consumatori hanno espressamente chiesto all'FDA (Food and Drug Administration) che l'acido carminico e i composti simili ad esso vengano espressamente dichiarati in etichetta e che, a tutela dei consumatori vegetariani stretti, ne venga indicata l'origine animale. Altri insetti utilizzati sono Porphyrophyra hamelis, Kermes ilicis, Margaroides polonia e Laccifera lacco.
[2]
(*) È possibile utilizzare un dado, di ottima
qualità, per ottenete il brodo vegetale necessario; io preferisco prepararlo,
di volta in volta, usando gli “scarti” di verdura ottenuti durante altre
preparazioni (spuntature, gambi, foglie, ecc.).
In ogni caso, riporto di seguito la realizzazione di un normale brodo vegetale.
In una padella con 1-1,5 litri d’acqua fredda, mettete: il sedano tagliato a pezzi grossolani (comprese le foglie), la carota (ben lavata) a pezzi, la cipolla (privata solo della pellicina esterna) tagliata i quattro, i gambi di prezzemolo, le foglie di alloro, i chiodi di garofano e portate a bollore.
Non aggiungete sale al brodo: la salatura verrà effettuata, secondo necessità, durante la preparazione della ricetta.
Raggiunto il bollore, coprite, regolate il fuoco a media forza e lasciate sobbollire per almeno 30-40 minuti (se cuoce anche per più tempo, non succede nulla).
Trascorso il tempo, potete eliminare le verdure usando un colino; è fondamentale mantenere il brodo sempre “bollente” durante tutta la preparazione del risotto.
In ogni caso, riporto di seguito la realizzazione di un normale brodo vegetale.
In una padella con 1-1,5 litri d’acqua fredda, mettete: il sedano tagliato a pezzi grossolani (comprese le foglie), la carota (ben lavata) a pezzi, la cipolla (privata solo della pellicina esterna) tagliata i quattro, i gambi di prezzemolo, le foglie di alloro, i chiodi di garofano e portate a bollore.
Non aggiungete sale al brodo: la salatura verrà effettuata, secondo necessità, durante la preparazione della ricetta.
Raggiunto il bollore, coprite, regolate il fuoco a media forza e lasciate sobbollire per almeno 30-40 minuti (se cuoce anche per più tempo, non succede nulla).
Trascorso il tempo, potete eliminare le verdure usando un colino; è fondamentale mantenere il brodo sempre “bollente” durante tutta la preparazione del risotto.
E120-COCCINIGLIA, ACIDO CARMINICO, VARI TIPI DI CARMINI
Sono coloranti naturali ottenuti da un insetto, il Cocci cacti (cocciniglia), che vive a spese di una specie di cactus (Napalea coccinillifera) presente in Perù e nelle Isole Canarie. L'estrazione del colore carminio avviene dalle uova essiccate dell'insetto (si ottiene allora il cosiddetto estratto coccineale) oppure facendo essiccare direttamente l'insetto (si ottiene una sfumatura del colore più intensa e brillante). Comunque, in entrambi i casi, il colore che si ottiene è molto stabile e trova impiego nella produzione di alcune caramelle rosse, viola o rosa, negli yogurt, nel marzapane, nelle gelatine, nei gelati, nelle bibite, nei liquori, nel Bitter Campari, in confetti medicinali e in cosmetici. È importante sottolineare come l'origine naturale di un prodotto non sia sempre garanzia di buona tollerabilità da parte dei consumatori. È proprio il caso di questi coloranti, che possono provocare, in soggetti sensibili, reazioni allergiche che vanno da eruzioni cutanee allo shock anafilattico. Negli Stati Uniti, alcune associazioni di consumatori hanno espressamente chiesto all'FDA (Food and Drug Administration) che l'acido carminico e i composti simili ad esso vengano espressamente dichiarati in etichetta e che, a tutela dei consumatori vegetariani stretti, ne venga indicata l'origine animale. Altri insetti utilizzati sono Porphyrophyra hamelis, Kermes ilicis, Margaroides polonia e Laccifera lacco.
I risultati delle ricerche sugli effetti
collaterali a lungo termine sul sistema riproduttivo e sul metabolismo,
comunque, non sono ancora disponibili, ma c'è il rischio che possa essere
cancerogeno; quindi per prevenzione primaria è sconsigliata la somministrazione
del colorante cocciniglia ai bambini.
[2]
E124-Rosso Cocciniglia A -
Ponceau 4R
Il rosso cocciniglia A è un colorante azoico ottenuto sinteticamente; la sua colorazione è simile a quella ottenuta dalle cocciniglie. Il rosso cocciniglia A si trova normalmente nelle caramelle, negli sciroppi, nelle salse ketchup, nel salmone in scatola, nelle bibite effervescenti, nelle ciliegie candite, nei ghiaccioli, nel marzapane e nelle gelatine.
Rischi: iperattività, asma, orticaria, insonnia;
si segnalano casi di cancro riscontrati in alcuni animali. Il rosso cocciniglia A è un colorante azoico ottenuto sinteticamente; la sua colorazione è simile a quella ottenuta dalle cocciniglie. Il rosso cocciniglia A si trova normalmente nelle caramelle, negli sciroppi, nelle salse ketchup, nel salmone in scatola, nelle bibite effervescenti, nelle ciliegie candite, nei ghiaccioli, nel marzapane e nelle gelatine.
Meno nocivo del composto naturale per la salute
dei consumatori, il rosso cocciniglia a è comunque controindicato soprattutto
per chi è allergico all'aspirina e per gli asmatici, oltre che per i bambini.
Il suo impiego è sconsigliato, in generale, perché potrebbe essere cancerogeno.
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