Il
formaggio ha origine dall'antichità, ma acquista spessore solo a partire
dal Medioevo. A lungo ritenuti cibo da poveri, a partire dalla seconda metà del
'300 i prodotti caseari entrano a far parte dei piaceri della tavola. Tra
Medioevo ed Età moderna, a riscuotere il maggior successo fu senza dubbio il
parmigiano.
L'origine così remota della scoperta ha favorito
la nascita di numerose leggende attorno ad essa, la più nota è quella del mercante
arabo. Un mercante, dovendo attraversare il deserto, portò con sé alcuni
alimenti, tra cui latte, servendosi per il trasporto di un otre fatto con lo
stomaco essiccato di una pecora. Il movimento del viaggio, il caldo e gli
enzimi rimasti sulla parete dello stomaco della pecora avrebbero acidificato il
latte e coagulato le proteine presenti al suo interno in piccoli grumi.
Sarebbe stata questa quindi l'origine della cagliata. La leggenda presenta dei punti che paiono verosimili, quali il fatto che la scoperta sia stata casuale e legata all'esigenza di conservare più a lungo il latte, alimento di cui i nostri antenati apprezzavano già le ottime proprietà nutritive.
Sarebbe stata questa quindi l'origine della cagliata. La leggenda presenta dei punti che paiono verosimili, quali il fatto che la scoperta sia stata casuale e legata all'esigenza di conservare più a lungo il latte, alimento di cui i nostri antenati apprezzavano già le ottime proprietà nutritive.
Fregio della latteria |
Numerose fonti attestano l'uso di ricavare
formaggio dal latte: reperti di origine mesopotamica datati III millennio a.C.
sono i primi documenti che mostrano le fasi di lavorazione del formaggio, in
particolare il "Fregio della latteria", un bassorilievo sumero che
rappresenta dei sacerdoti nell'atto di produrre il formaggio. Pare che in tale
regione l'allevamento degli ovini risalisse a 8-10000 anni fa, mentre la
scoperta del formaggio sarebbe addirittura precedente, risalendo ad epoche in
cui gli uomini si limitavano alla caccia ed ebbero la ventura di scoprire del
formaggio cagliato negli stomaci dei giovani animali che uccidevano. Tale uso è
sopravvissuto fino a noi in alcune regioni in cui si consuma il formaggio
cagliato nello stomaco dei capretti, come nel caso del nuorese Callu de Crabettu.
Testimonianze dell'uso del formaggio si hanno in
tutto il mondo antico, sia in Europa, in Africa, e in Asia. I testi scritti più
antichi, fra cui la Bibbia e gli scritti omerici riportano riferimenti al
formaggio. Anche nell'antico Egitto era diffusa la produzione di formaggi,
specialmente quello di capra.
Strumenti per la lavorazione del caglio in
terracotta sono stati trovati in Italia a Piadena in insediamenti risalenti al neolitico.
Il primo passo fu quello di farne delle
bevande lattiche acidificate. Si diffusero in tutto l’Oriente bevande acide
come il KOSMOS e il KUMIS, citate anche da Senofonte e Erodoto.
Il
primo documento, ritenuto il più antico, si trova in un bassorilievo del
III millennio a.C. della civiltà Sumera, “il Fregio della latteria” in cui dei
sacerdoti, esperti caseari, rappresentano le varie fasi della tecnica di
lavorazione del formaggio.
Nel 7.000 a.C. quelle
popolazioni cominciarono a migrare verso l’Europa portando non solo i loro
animali ormai addomesticati, ma anche i loro usi.
E’ stato stabilito che tra
il 7000 e il 6000 a.C., si cominciarono ad allevare anche i bovini e nel 3000 i
bufali.
Poi un po’
di ingegno e la casualità portarono alla scoperta della cagliata e quindi
del formaggio.
Il formaggio si incontra
spesso anche in Omero che nell’Odissea descrive il Ciclope Polifemo
mentre nella sua grotta prepara il formaggio.
Sempre in Grecia gli
atleti che partecipavano alle olimpiadi traevano la principale fonte di
energia da un impasto di olio di oliva, farina, frutta, miele e
formaggio.
La parola “formaggio”
deriva dal greco “formos” cioè il
paniere di vimini in cui mettevano il latte cagliato che ne prendeva appunto
la forma.
Da qui la “forma” dei
Romani “formage” dell’antico francese, quindi formaggio e fromage.
Il latte caprino ed ovino,
lasciato nei canestri, dunque, coagulava spontaneamente, ma, quando i Romani
cominciarono a perfezionare le tecniche greche ed etrusche, ne
accelerarono la coagulazione mescolando continuamente con rametti
di fico o aggiungendovi direttamente succo di fico e semi di cardo
selvatico.
Così la parte più densa si
separava, si rapprendeva acquistando una certa consistenza: era nata la
“giuncata”, perché messa in contenitori di giunco o canestri.
Sempre i Romani,
provarono ad aggiungere lo zafferano e l’aceto per cagliare il latte e
così inventarono il Coagulum.
Furono i Romani a esportare
nelle terre conquistate i metodi di fabbricazione dei formaggi, e ben
presto in questi paesi l’arte del formaggio si perfezionò in modo
eccellente specialmente in Gallia, l’odierna Francia.
Da Virgilio, fonte più che
attendibile, sappiamo, ad esempio, quale era la razione giornaliera di
“pecorino” dei legionari romani: 27 grammi.
Più tardi , verso il
I secolo d.C. inventarono la “pressatura” ponendo i formaggi sotto pesi
forati per poterne accelerare la stagionatura e l’Imperatore Diocleziano
(III secolo d.C.) impose con un editto che il formaggio fresco fosse
venduto avvolto in foglie e che quello secco, stagionato fosse salato sulla
superficie.
Nel corso
dei secoli successivi la tecnica di preparazione e di lavorazione non
subì mutazioni rivoluzionarie come avvenne in altri campi, i principi basilari
sono rimasti i medesimi, le modifiche furono opera della fantasia e
dei gusti dei produttori e dei consumatori.
Preparazione del formaggio-XIV |
Dal XII al XVI
secolo custodi e precursori delle tecniche casearie mai tramandate
scritte, furono senz’altro i monaci, che nei loro conventi raffinavano
l’arte della caseificazione e producevano il formaggio, ritenuto per lo più un
cibo povero. I monasteri conservavano le tradizioni latine, per cui avevano
mantenuto l'uso di fare formaggio anziché utilizzare il latte per produrre
bevande fermentate, come erano soliti fare molti dei popoli discesi nell'impero
dopo la sua caduta.
In una
biografia di Carlo Magno risalente al IX secolo, si racconta di una visita, per
la verità un po' a sorpresa, dell'imperatore a un importante vescovo. L'imperatore,
inatteso, aveva scelto un giorno di astinenza dalle carni e allora il vescovo,
non disponendo di pesce per onorare l'illustre commensale,
servì un semplice pasto che diede modo a Carlo di gustare quello che lui definì
"un ottimo formaggio bianco e grasso", alimento che all'epoca
era considerato derrata povera, adatta alla gente di campagna dai "gagliardi
stomaci", più che alle persone altolocate, ma che fece breccia a tal punto
nel cuore dell'imperatore che egli arrivò ad ordinarne l'invio di due casse all’anno.
Attorno al rapporto fra Carlo Magno e il
formaggio fiorì comunque una ricca tradizione popolare: Eginardo ne parla, descrivendo la perplessità
dell'imperatore di fronte ad una fetta di Gorgonzola o di un suo antenato, una
delle possibili spiegazioni del nome Castelmagno
sarebbe che il sovrano ne era ghiotto (sebbene le fonti attestino che il
formaggio venne prodotto solo nel XII secolo).
Le testimonianze sulla diffusione del formaggio
nelle tavolate "nobili" iniziano a comparire tra il tardo Duecento e
il Quattrocento nei ricettari di cucina, inizialmente come ingrediente di
vivande elaborate, ma in seguito esso acquistò dignità, tanto da essere servito
come pietanza alla mensa dei papi, ai matrimoni della famiglia de Medici, degli Este che servivano bocconi di Parmigiano e di molte
altre personalità.
Le tariffe dei pedaggi e le gabelle comprovano che, a partire almeno dal secolo XIII,
formaggi di qualità differenti circolavano sulle strade d'Italia e attraverso valichi alpini, raggiungendo spesso mercati
molto lontani dalle zone d'origine.
In questi secoli in Italia i formaggi più diffusi
erano fondamentalmente due: il marzolino di origine toscana, chiamato cosi perché
prodotto a marzo, e il parmigiano delle regioni cisalpine, detto anche
maggengo perché prodotto nel mese di maggio.
In Italia
una vera e propria industria casearia iniziò verso il 1200 nel Parmense e
nella Bassa Lombardia, dove raggiunse alti livelli di perfezione con lo
sviluppo della meccanica e delle scienze naturali e si
formarono eccellenti maestranze che spesso venivano inviate
all’estero per insegnare la loro arte.
Una leggenda piemontese,
che come tutte le leggende ha un fondo di verità tramanda che Annibale, nel
218, (II Guerra Punica), scendendo dalle Alpi alla conquista di Roma, si trattenne
a lungo in Taurinia (Torino) per merito delle “tome”. Un’altra testimonianza
dell’antichità della tradizione casearia italiana, in questo caso piemontese.
La legislazione definisce “formaggio” o cacio il
prodotto ricavato dal latte, in seguito alla coagulazione acida o presamica,
ottenuta anche facendo uso di fermenti e sale da cucina. Il processo sul quale
è basata la fabbricazione del formaggio è la coagulazione della caseina, detta
cagliata, che ingloba calcio, fosforo e sostanze grasse, e la conseguente
separazione del siero, sostanza acquosa che contiene alcune proteine, zucchero
e sali minerali. La rottura della cagliata ha lo scopo di facilitare
l’allontanamento del siero; il grado di rottura determina il tipo di formaggio:
più piccoli sono i pezzi che si formano, maggiore è la quantità di siero
eliminato e più asciutto e duro sarà il formaggio ottenuto. Per ottenere paste
ancora più dure, la cagliata viene riscaldata a 48-55 °C (formaggi a pasta semicotta
o a pasta cotta), poiché il calore facilita la separazione del siero dal
coagulo. La cagliata è quindi messa a riposo nelle forme ed eventualmente
salata e stagionata. Queste ultime operazioni sono diverse per ogni tipo di
formaggio.
Classificare un formaggio, ovvero inserirlo
all'interno di una precisa categoria è una fase importante nella sua
valutazione. Esistono diversi criteri e parametri per la collocazione del
prodotto, generalmente si analizzano alcune delle sue caratteristiche di
realizzazione o di aspetto.
- La prima che generalmente si prende in esame è rappresentata dal tipo di latte usato, ovvero da che femmina lattiera proviene, nonché dal tipo di latte: vaccino, ovino, caprino, di bufala, misto, ecc. Questa definizione può essere integrata indicando anche la razza oltre il tipo di latte, per esempio, vaccino di razza Podolica, Pezzata, Bruna, Cabannina ecc., oppure Ovino di razza Sarda, Testanera, Abruzzese ecc..
- In seconda battuta si analizza il trattamento subito dal latte: crudo, pastorizzato, intero, scremato. Questo gruppo di definizioni possono anche essere usate in simbiosi e definire ad esempio un formaggio Vaccino di razza Podolica da latte crudo. Volendo, un'ulteriore precisazione può essere costituita dalla provenienza dall'alpeggio.
- Altri descrittori sono: in base al tipo di crosta: lavata, fiorita, spazzolata, paraffinata, ecc.
- In base al tipi di lavorazione della pasta: pasta cruda, semicotta, cotta, pasta filata, erborinata.
- Altre classificazioni, usate prevalentemente in ambito commerciale, dipendono inoltre : dalla consistenza della pasta: pasta molle, pasta semidura, pasta dura;
- dalla stagionatura: fresco, semi stagionato, stagionato, da grattugia;
- dal contenuto di grasso: Leggeri o light con contenuto max. del 20%; Magri con contenuto superiore al 20% e max. 35%; Grassi con oltre il 35%
Secondo l’ultima
rilevazione sui prodotti agroalimentari di qualità, l’Italia è il primo paese
europeo per numero di riconoscimenti conseguiti.
Al 31 dicembre 2009 i
prodotti italiani DOP, IGP e STG riconosciuti sono 194 (19 in più rispetto
all’anno precedente). Tra i settori con più riconoscimenti sono troviamo i
formaggi con ben 36.
La maggior parte dei 1.695 trasformatori esercita
sia l’attività di caseificazione (1.413) che di stagionamento (1.130). Si
rileva anche la presenza di 195 allevatori che svolgono contemporaneamente
anche l’attività di trasformazione. Analizzando gli operatori per tipo di
prodotto, risulta che la maggioranza delle aziende è coinvolta nella produzione
di latte vaccino
destinato alla produzione di formaggi
stagionati a pasta dura e cotta.
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