mercoledì 6 luglio 2016

Baccalà fritto in pastella.

Il merluzzo bianco o più semplicemente merluzzo (Adusa morhua), (assume anche il nome di baccalà se conservato sotto sale, o stoccafisso se essiccato) è un pesce d'acqua salata, appartenente alla famiglia dei Gadidae.

Merluzzo.

È un pesce tipico dell'oceano atlantico settentrionale, della parte occidentale nella zona compresa tra la Groenlandia fino alla Carolina del Nord, e della parte orientale (Mare di Norvegia fino all’Islanda e lo Spitzbergen, Mare del Nord, Mare di Barents). Nel Mediterraneo non esiste. Talvolta viene chiamato merluzzo il nasello (Merluccius merluccius) e questo può ingenerare confusioni.
Ha una forma moderatamente allungata, con testa piuttosto grande ed un vistoso barbiglio chiaro sotto il mento. Ha tre pinne dorsali, due anali, pinne ventrali in posizione giugulare e pinna caudale tronca.

Merluzzo ad essiccare.

La livrea è variabile dal marrone al verdastro grigio sul dorso, che è cosparso di macchie arancio o brune, talvolta biancastre, mentre diventa più sfumato sul ventre. La testa è spesso coperta di macchiette più scure dall'apparenza di "lentiggini". La linea laterale è chiara e ben visibile, con una curva all'altezza della seconda dorsale.
Può raggiungere i due metri di lunghezza e i 96 kg di peso.
Il merluzzo è un pesce predatore che si nutre principalmente di aringhe (Clupea harengus) e di capelin (Mallotus villosus) ma anche di un gran numero di altri pesci e di invertebrati bentonici.
Il merluzzo è uno dei pesci più pescati nel mondo: la particolarità di potersi riprodurre solo dopo molti anni di vita, e la forte sovra pesca a cui è sottoposto sta portando all'esaurimento gli stock.
Nel 1992 la pesca dei merluzzi in Canada si è esaurita, e 40 mila pescatori del posto sono rimasti senza lavoro. Anche gli stock di merluzzo nel mar Baltico e nel mare del Nord, in costante declino, sono ormai vicini al collasso.
Il merluzzo è un pesce a carne bianca, è povero di grassi ed è indicato per chi segue una dieta a basso contenuto calorico.
Apprezzabile il contenuto di minerali (fosforo, iodio, ferro e calcio). Il baccalà, per il suo eccessivo contenuto di sodio, va consumato con moderazione da chi soffre di ipertensione.

Proprietà nutrizionali.

I migliori testimonial del merluzzo sono i Vichinghi, i grandi navigatori provenienti dal nord della Norvegia. Dalle loro parti, al largo delle isole Lofoten, i merluzzi erano abbondanti. I Vichinghi li pescavano, e li facevano essiccare all'aria aperta, ottenendo un alimento perfetto per le loro esigenze: lo stoccafisso.

Stoccafisso

Nutriente, leggero (poca acqua, poco peso) di lunga conservazione (perché disidratato). Per i loro interminabili viaggi per mare, verso la Groenlandia o altro luogo, non c'era di meglio.Un bel giorno però i Vichinghi persero il monopolio della pesca del merluzzo. Per colpa delle balene! Le popolazioni basche del Golfo di Guascogna (tra la Spagna settentrionale e la Francia) davano loro la caccia; i cetacei, per via della pressante caccia: si spostarono verso nord e si portarono nell'Atlantico settentrionale, fin nel mezzo dei grandi banchi di merluzzo così fitti, che per catturarli bastava affondarci dentro le mani.
Una volta scoperti questi giacimenti di merluzzo, i baschi ci tornavano sempre più spesso ma per conservarlo, invece di esporlo all'aria (che in Spagna è meno fredda che in Norvegia) all'uso dei Vichinghi, lo mettevano sotto sale (abitudine che avevano preso con le balene). Nasceva così il baccalà.

Baccalà.

I vichinghi impararono dai baschi questo nuovo sistema di conservazione del merluzzo, ne estesero l'impiego; oltre che come cibo, sulle loro navi il baccalà fungeva anche da barometro. Dopo averlo messo sotto sale, lo appendevano a bordo con delle corde e quando il baccalà cominciava a gocciolare, voleva dire che era in arrivo una tempesta: la maggiore umidità dell'aria faceva infatti sciogliere il sale.
I Vichinghi portarono il baccalà in molte parti del mondo, ma solo quando finì in mano agli americani la b di baccalà si coniugò davvero con la b di "business".
Nel 1620 i Pilgrim Fathers, i Padri Pellegrini, protestanti in fuga dall'Inghilterra, sbarcarono con la Mayflower su di un promontorio del nuovo mondo che aveva un nome profetico: Cape Cod, che non vuol dire altro che "Capo Merluzzo".
Questo nome ci fa capire di quale pesce fossero pieni quei mari. Non avendo molta dimestichezza con agricoltura, i Padri Pellegrini si diedero alla pesca.
La cosa dovette funzionare, se già pochi decenni più tardi le navi degli "americani" partivano dal New England stivate e stipate di baccalà, dirette ai Caraibi, a Capo Verde e alle Canarie, con destinazione finale Portogallo.
Il baccalà veniva scambiato con prodotti coloniali (zucchero, melassa, ecc.) e anche con schiavi, che venivano trasportati in America per lavorare nelle piantagioni.
Arrivati là, gli schiavi venivano nutriti con la stessa moneta con cui erano stati comprati: il baccalà, appunto.
Il desiderio degli Inglesi di inserirsi in questo lucroso commercio provocava continui scontri fra le navi di Sua Maestà Britannica e gli schooner, le veloci barche americane impiegate per la pesca del merluzzo, che per meglio difendersi si erano dotate di cannoni.

Baccalà dissalato.

La guerra del baccalà contribuì insomma a inasprire il clima già teso tra l'Inghilterra e la sua ex colonia d'oltremare, consolidando quell'ostilità che avrebbe condotto, nel 1776, alla dichiarazione d'indipendenza americana.
Sulle banconote da un dollaro, oltre alla faccia di Lincoln dovrebbe perciò comparire un bel merluzzo, magari di profilo. Come quello tuttora presente nello stemma municipale di Boston. Se non una banconota, il baccalà meriterebbe per lo meno un francobollo commemorativo: nei secoli ha salvato la vita a tanta gente, che altrimenti sarebbe morta letteralmente di fame.
Ancora nell'ottocento, la classe operaia inglese tirava avanti a forza di "fish and chips", un binomio in cui il fish era (ed è ancora) il merluzzo, che si coniugava con le chips (patate) per il semplice fatto di essere cheap: economico.

Baccalà.

Il mercato inglese assorbe 170.000 tonnellate di baccalà all'anno, ed è al primo posto nel mondo. Sarà per questo che gli inglesi, quando si tratta di baccalà, non si rivelano mai dolci di sale. Per citare soltanto degli episodi recenti, nel 1973 fregate e cannoniere inglesi ed islandesi si sono fronteggiate a muso duro - e a colpi d'artiglieria - per il controllo dei grossi banchi di merluzzo che si trovano nei mari tra i due paesi.
Nel ‘94 i britannici hanno accusato i pescherecci spagnoli di eccessiva intraprendenza nella pesca del merluzzo nelle acque irlandesi. Insomma, è dal 1600 che gli inglesi sul merluzzo tengono gli occhi aperti. Fanno bene: chi dorme non piglia chi piglia pesci.

Baccalà.

Un buon baccalà , deve avere pelle chiara e polpa morbida e bianca, un odore penetrante ma non sgradevole, una lunghezza non inferiore ai 40 centimetri, e nella parte centrale, il pesce deve avere uno spessore non inferiore ai 3 cm.
Prima di essere cotto, il baccalà deve essere privato del sale in eccesso e messo in ammollo in un recipiente sotto l'acqua corrente (o cambiando spesso l’acqua di ammollo) per almeno 24-36 ore.
Per lo stoccafisso invece dobbiamo puntare sulle dimensioni:più grande è meglio è. Deve apparire ben pulito, con pelle grigio-chiaro e senza macchie; l’odore deve essere molto intenso, la polpa, deve essere dura e asciutta, ma non sbriciolarsi.
Prima di essere cotto va battuto con una mazzetta di legno energicamente ma senza romperlo, al fine di sfibrarlo e intenerirlo, dopo di che bisogna metterlo in ammollo con acqua fredda fino a che il suo volume aumenti di cinque volte. 

Il baccalà fritto in pastella è un altro piatto che amo e che preparo abbastanza frequentemente in qualunque stagione dell’anno; semplice da preparare pur avendo, come unico neo, un lungo periodo di ammollo per eliminare il sale usato per la sua conservazione.

Baccalà fritto in pastella.

Ingredienti (per 4 persone)
1 Kg di baccalà;
50 g di farina tipo “0”.
Olio di semi d’arachide per friggere q.b.
Per la pastella:
250 g di farina;
2 uova;
20 Cl di birra chiara.
Sale q.b.

1 – Preparazione.
Ridurre il baccalà in pezzi da 6-7 cm x 3-4 cm e eliminare l’eccesso di sale sotto un getto di acqua corrente.
Mettere i pezzi di pesce in un’ampia bacinella e ricoprirli completamente con acqua; lasciare in ammollo per almeno 24 ore cambiando spesso l’acqua. Controllare la sapidità del baccalà assaggiando un pezzetto di polpa e se dopo 24 ore risultasse ancora troppo salata, continuare l’ammollo (e relativo cambio dell’acqua) sino a quando il sapore della carne risulti normalmente salata.
Raggiunta la giusta sapidità, scolare bene i pezzi di pesce e, tenendo ogni pezzo tra due fogli di carta assorbente, premere tra le mani assorbendo la maggior parte dell’acqua.
Prepariamo la pastella: setacciate la farina in una terrina, aggiungetevi la birra, i tuorli d’ uovo e una presa di sale e, utilizzando uno sbattitore elettrico, mescolate fino ad ottenere un impasto omogeneo.
Coprite la terrina con uno strofinaccio da cucina e fate lievitare l'impasto per 15-20 minuti.
Trascorso questo tempo mescolate ancora una volta energicamente, poi passate il composto attraverso un setaccio sottile per eliminare eventuali grumi di farina.
Un attimo prima di friggere, incorporate all'impasto gli albumi montati a neve non troppo soda; aggiungete gli albumi poco alla volta, in modo da poter controllare la consistenza della pastella: se diventa troppo liquida, si disfa cuocendo.
Infarinare bene i pezzi di pesce scuotendoli per eliminare l’eccesso di farina; questo procedimento permetterà alla pastella di aderire meglio al pesce.

2 – Cottura.
In una padella con bordi alti mettere abbondante olio di semi d’arachide e portare a temperatura.
Passate i pezzi di baccalà nella pastella, facendo attenzione a farla aderire bene e friggete 3-4 pezzi di pesce alla volta sino a quando non saranno ben dorati da ogni lato.
Eliminare l’olio in eccesso posizionando i pezzi di pesce in un patto foderato con carta assorbente.

3 - Presentazione.
Servire caldi accompagnando con patatine fritte (il classico “fish and chips”).


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