La cucina lombarda accomuna gastronomie
di province diverse storicamente e orograficamente, con una serie di prodotti gastronomici
tipici della produzione agricola della regione.
Un denominatore comune lo si riconosce nei piatti derivati dai prodotti agricoli disponibili in funzione delle sue risorse naturali: le acque di laghi e fiumi, i pascoli, quindi pesce d’acqua dolce, il latte e i suoi derivati (formaggi e burro), la carne bovina e suina, il riso e il mais.
Sui metodi di elaborazione e di cottura di questi alimenti hanno avuto influenza le dominazioni che nel corso dei secoli vi si sono succedute: dai celti ai romani, fino agli austriaci, spagnoli e francesi di un più recente passato. Non per nulla, le saporite polpette di carne cotta che i milanesi chiamano mondeghili, prendono il nome dalle consorelle catalane, che in quella lingua si dicono appunto mandonguilles.
La cucina lombarda è cucina delle lunghe cotture, dei bolliti e degli stufati, degli intingoli adatti ad accompagnarsi alla polenta più che al pane, del riso e delle paste ripiene più che della pasta di grano duro, del burro e del lardo più che dell’olio.
Sono specialità tipiche della Lombardia: la büsèca, ovvero la trippa cucinata in un modo particolare (in asciutto o in brodo); la luganega, ovvero la salsiccia, di origine lucana (come suggerisce il nome dialettale); la pulénta üncia, ovvero la polenta ai formaggi e al burro cucinata in un modo particolare; il tocch, altra varietà molto particolare di polenta al burro.
Esistono poi ricette, dolci e bevande tipiche di particolari località, quali i nocciolini e il vespetrò(di origine savoiarda) di Canzo; oltre che i vari tipi locali di frittelle, che prendono nomi diversi (cutiscia, cutizza, miascia, paradèll, turtèll...) in base agli ingredienti ed al metodo di preparazione.
La cucina milanese è fortemente caratterizzata dagli elementi del territorio, quali la risicoltura e l'allevamento di bovini e suini, e annovera numerosi piatti rigorosamente locali. Nello stesso tempo, il ruolo di centro di scambio come capoluogo di una vasta regione, ne ha fatto anche una sorta di sommatoria delle cucine e tradizioni gastronomiche della Lombardia, con in più influenze e scambi con quelle dei dominatori che si sono succeduti nel tempo.
Tra i piatti più noti vi sono il risotto giallo con lo zafferano, la cotoletta, la
casoeûla con vari tagli di maiale e verza, piatto calorico adatto alla stagione invernale (simile al bottaggio); tra i dolci abbiamo, il panettone, che altro non era che il pane grande preparato in occasione delle solennità natalizie.
Prima dell'evento ricordato come "mucca pazza" erano molto diffusi l'ossobuco alla milanese e il fritto misto alla milanese (con cervella e animelle). Il fritto è quasi del tutto scomparso per la difficoltà di reperire gli ingredienti di base e la disabitudine al loro uso. Al di là di ciò, negli ultimi cinquant'anni vi è stata una progressiva omologazione del gusto milanese agli usi alimentari nazionali: meno diffusi i grassi animali, più olio tra i condimenti a scapito del burro, larga diffusione della pasta (prima usata soprattutto come involucro di ripieni) in tutti i suoi formati.
La casoeûla (in milanese, talvolta ma solo nella zona di Varese cassoeura o casöra), italianizzata in cazzuola o cazzola, oppure bottaggio (probabilmente derivante dal termine francese potage) è un piatto invernale tipico della tradizione popolare e della cucina milanese e lombarda.
La leggenda afferma che Arturo Toscanini fosse ghiotto di cassoeula. Oggigiorno è il "piatto forte" di numerose sagre di paese lombarde, sia invernali sia estive.
Il piatto, così come viene preparato, nasce all'inizio del XX secolo, ma le sue varianti più antiche sono di origine incerta e controversa.
Probabilmente, il piatto deriva ed è legato alla ritualità del culto popolare di Sant'Antonio abate, festeggiato il 17 gennaio, data che segnava la fine del periodo delle macellazioni dei maiali. I tagli di carne utilizzati per la cassoeula erano quelli più economici e avevano lo scopo di insaporire la verza, elemento invernale basilare della cucina contadina lombarda nei secoli scorsi. Ciò ha fatto presumere ad alcuni storici che il piatto sia nato da aggregazione successiva di ingredienti intorno al nucleo di verza e maiale, altri ipotizzano invece che il piatto originario, di origine barocca, prevedesse l'utilizzo di diversi tipi di carne e vi sia stata una successiva semplificazione e riduzione di ingredienti. È anche ritenuto plausibile che i due piatti, la versione "povera" e la versione "ricca", avessero origine diversa e nel tempo vi sia stata una sorta di convergenza che ha portato al piatto come è attualmente conosciuto.
La leggenda vuole invece che la casoeûla nasca da un soldato spagnolo che invaghitosi di una giovane donna milanese, cuoca di una famiglia nobile, le abbia insegnato la ricetta e che in seguito la giovane abbia proposto con successo il piatto ai suoi datori di lavoro.
Il nome deriva probabilmente dal cucchiaio con cui si mescola (casseou) o dalla pentola in cui si prepara (casseruola). Esiste un'altra spiegazione per il nome: è piuttosto noto che, per tradizione, il piatto venisse preparato dagli operai dei cantieri edili una volta che l'edificio fosse giunto al tetto ed il nome derivi dall'attrezzo utilizzato per mescolarla durante la cottura, per l'appunto la "cazzuola". È da segnalare inoltre che esiste un piatto della tradizione tedesca, il "Kasseler" ("càssola" nella pronuncia tedesca), consistente in tagli di maiale affumicato servito con un contorno di cavolo verza.
La casoeûla è un piatto invernale, non è certo un piatto per tutti i giorni, sia per la complessità della preparazione sia per la "leggera" pesantezza del piatto stesso. Piatto dei giorni di festa è tradizione iniziare a consumarlo, accompagnato con polenta, ad inizio Novembre (ai Santi/Morti).
Nella sua versione più ortodossa, rispecchia gli antichi territori dello Stato di Milano (Milanese, Brianza, Lodigiano, nord della prov. di Pavia, Novarese e Varesotto) sempre che non si voglia esagerare basandosi sulle somiglianze con i piatti d'oltralpe e pensare ad una sua possibile "incubazione" nella cucina celtica.
Vedendo gli ingredienti con cui è fatta sembra più probabile pensare che la ricetta sia nata nella povertà della campagna medievale lombarda, nell'intento d'insaporire le sempiterne verze con un ingrediente a basso costo. La carne di maiale usata nella casoeûla è infatti una seconda scelta, più accessibile al popolino di altri tagli più costosi. Tra l'altro il medioevo è il periodo d'oro del maiale, pensate che per indicare l'estensione di un bosco ci si riferiva al numero di maiali che questo era in grado d'alimentare. Contrariamente a quest'ultima ipotesi, una parte degli storici pensa che le carni usate nei secoli passati per preparare la casoeûla derivassero da vari animali e solo nell'ultimo secolo sia diventato "d'obbligo" usare il solo maiale.
Nella versione più classica è senz'altro improbabile l'uso della conserva di pomodoro anche se alcune ricette la prevedono, più inquietante pare invece l'uso del vino rosso. Visto poi l'origine "nordica" del piatto una variante recente mi pare l'uso dell'olio d'oliva che è senz'altro più salutare ma sicuramente meno saporito del burro (ormai la casoeûla si mangia una volta ogni tanto, perché allora non mangiarla buona?).
Quello che è sicuro è che la casoeûla crea convivialità, è bello mangiarla in compagnia al caldo d'una trattoria o in casa d'amici, se poi fuori piove e fa freddo ... tanto meglio. Tra l'altro mi è giunta voce di un'usanza che vuole l'aggiunta di un bicchierino di grappa durante la cottura per rendere più digeribile il piatto. La cosa mi pare del tutto pretestuosa ma non saremo senz'altro noi a denunciare la cosa, per non rischiare chi vuole può metterne un bicchierino nella pentola e berne un'altro a fine pranzo (i più spregiudicati arrivano ad asserire che per rendere la casoeûla più digeribile la grappa vada bevuta prima !!! Mah...).
Qualche giorno fa, dal mio salumiere di fiducia, c’era in bella vista un vassoio con tutte quelle parti di maiale necessarie per fare una casoeûla di tutto rispetto; ho deciso quindi farla.
E’ un piatto che preparo almeno una volta all’anno, in considerazione del fatto che, cercando di rispettare la tradizione, è una ricetta abbastanza lunga e laboriosa (non di tutti i giorni) ed anche piuttosto calorica; questa è la mia versione.
Un denominatore comune lo si riconosce nei piatti derivati dai prodotti agricoli disponibili in funzione delle sue risorse naturali: le acque di laghi e fiumi, i pascoli, quindi pesce d’acqua dolce, il latte e i suoi derivati (formaggi e burro), la carne bovina e suina, il riso e il mais.
Sui metodi di elaborazione e di cottura di questi alimenti hanno avuto influenza le dominazioni che nel corso dei secoli vi si sono succedute: dai celti ai romani, fino agli austriaci, spagnoli e francesi di un più recente passato. Non per nulla, le saporite polpette di carne cotta che i milanesi chiamano mondeghili, prendono il nome dalle consorelle catalane, che in quella lingua si dicono appunto mandonguilles.
La cucina lombarda è cucina delle lunghe cotture, dei bolliti e degli stufati, degli intingoli adatti ad accompagnarsi alla polenta più che al pane, del riso e delle paste ripiene più che della pasta di grano duro, del burro e del lardo più che dell’olio.
Sono specialità tipiche della Lombardia: la büsèca, ovvero la trippa cucinata in un modo particolare (in asciutto o in brodo); la luganega, ovvero la salsiccia, di origine lucana (come suggerisce il nome dialettale); la pulénta üncia, ovvero la polenta ai formaggi e al burro cucinata in un modo particolare; il tocch, altra varietà molto particolare di polenta al burro.
Esistono poi ricette, dolci e bevande tipiche di particolari località, quali i nocciolini e il vespetrò(di origine savoiarda) di Canzo; oltre che i vari tipi locali di frittelle, che prendono nomi diversi (cutiscia, cutizza, miascia, paradèll, turtèll...) in base agli ingredienti ed al metodo di preparazione.
La cucina milanese è fortemente caratterizzata dagli elementi del territorio, quali la risicoltura e l'allevamento di bovini e suini, e annovera numerosi piatti rigorosamente locali. Nello stesso tempo, il ruolo di centro di scambio come capoluogo di una vasta regione, ne ha fatto anche una sorta di sommatoria delle cucine e tradizioni gastronomiche della Lombardia, con in più influenze e scambi con quelle dei dominatori che si sono succeduti nel tempo.
Tra i piatti più noti vi sono il risotto giallo con lo zafferano, la cotoletta, la
casoeûla con vari tagli di maiale e verza, piatto calorico adatto alla stagione invernale (simile al bottaggio); tra i dolci abbiamo, il panettone, che altro non era che il pane grande preparato in occasione delle solennità natalizie.
Prima dell'evento ricordato come "mucca pazza" erano molto diffusi l'ossobuco alla milanese e il fritto misto alla milanese (con cervella e animelle). Il fritto è quasi del tutto scomparso per la difficoltà di reperire gli ingredienti di base e la disabitudine al loro uso. Al di là di ciò, negli ultimi cinquant'anni vi è stata una progressiva omologazione del gusto milanese agli usi alimentari nazionali: meno diffusi i grassi animali, più olio tra i condimenti a scapito del burro, larga diffusione della pasta (prima usata soprattutto come involucro di ripieni) in tutti i suoi formati.
La casoeûla (in milanese, talvolta ma solo nella zona di Varese cassoeura o casöra), italianizzata in cazzuola o cazzola, oppure bottaggio (probabilmente derivante dal termine francese potage) è un piatto invernale tipico della tradizione popolare e della cucina milanese e lombarda.
La leggenda afferma che Arturo Toscanini fosse ghiotto di cassoeula. Oggigiorno è il "piatto forte" di numerose sagre di paese lombarde, sia invernali sia estive.
Il piatto, così come viene preparato, nasce all'inizio del XX secolo, ma le sue varianti più antiche sono di origine incerta e controversa.
Probabilmente, il piatto deriva ed è legato alla ritualità del culto popolare di Sant'Antonio abate, festeggiato il 17 gennaio, data che segnava la fine del periodo delle macellazioni dei maiali. I tagli di carne utilizzati per la cassoeula erano quelli più economici e avevano lo scopo di insaporire la verza, elemento invernale basilare della cucina contadina lombarda nei secoli scorsi. Ciò ha fatto presumere ad alcuni storici che il piatto sia nato da aggregazione successiva di ingredienti intorno al nucleo di verza e maiale, altri ipotizzano invece che il piatto originario, di origine barocca, prevedesse l'utilizzo di diversi tipi di carne e vi sia stata una successiva semplificazione e riduzione di ingredienti. È anche ritenuto plausibile che i due piatti, la versione "povera" e la versione "ricca", avessero origine diversa e nel tempo vi sia stata una sorta di convergenza che ha portato al piatto come è attualmente conosciuto.
La leggenda vuole invece che la casoeûla nasca da un soldato spagnolo che invaghitosi di una giovane donna milanese, cuoca di una famiglia nobile, le abbia insegnato la ricetta e che in seguito la giovane abbia proposto con successo il piatto ai suoi datori di lavoro.
Il nome deriva probabilmente dal cucchiaio con cui si mescola (casseou) o dalla pentola in cui si prepara (casseruola). Esiste un'altra spiegazione per il nome: è piuttosto noto che, per tradizione, il piatto venisse preparato dagli operai dei cantieri edili una volta che l'edificio fosse giunto al tetto ed il nome derivi dall'attrezzo utilizzato per mescolarla durante la cottura, per l'appunto la "cazzuola". È da segnalare inoltre che esiste un piatto della tradizione tedesca, il "Kasseler" ("càssola" nella pronuncia tedesca), consistente in tagli di maiale affumicato servito con un contorno di cavolo verza.
La casoeûla è un piatto invernale, non è certo un piatto per tutti i giorni, sia per la complessità della preparazione sia per la "leggera" pesantezza del piatto stesso. Piatto dei giorni di festa è tradizione iniziare a consumarlo, accompagnato con polenta, ad inizio Novembre (ai Santi/Morti).
Nella sua versione più ortodossa, rispecchia gli antichi territori dello Stato di Milano (Milanese, Brianza, Lodigiano, nord della prov. di Pavia, Novarese e Varesotto) sempre che non si voglia esagerare basandosi sulle somiglianze con i piatti d'oltralpe e pensare ad una sua possibile "incubazione" nella cucina celtica.
Vedendo gli ingredienti con cui è fatta sembra più probabile pensare che la ricetta sia nata nella povertà della campagna medievale lombarda, nell'intento d'insaporire le sempiterne verze con un ingrediente a basso costo. La carne di maiale usata nella casoeûla è infatti una seconda scelta, più accessibile al popolino di altri tagli più costosi. Tra l'altro il medioevo è il periodo d'oro del maiale, pensate che per indicare l'estensione di un bosco ci si riferiva al numero di maiali che questo era in grado d'alimentare. Contrariamente a quest'ultima ipotesi, una parte degli storici pensa che le carni usate nei secoli passati per preparare la casoeûla derivassero da vari animali e solo nell'ultimo secolo sia diventato "d'obbligo" usare il solo maiale.
Nella versione più classica è senz'altro improbabile l'uso della conserva di pomodoro anche se alcune ricette la prevedono, più inquietante pare invece l'uso del vino rosso. Visto poi l'origine "nordica" del piatto una variante recente mi pare l'uso dell'olio d'oliva che è senz'altro più salutare ma sicuramente meno saporito del burro (ormai la casoeûla si mangia una volta ogni tanto, perché allora non mangiarla buona?).
Quello che è sicuro è che la casoeûla crea convivialità, è bello mangiarla in compagnia al caldo d'una trattoria o in casa d'amici, se poi fuori piove e fa freddo ... tanto meglio. Tra l'altro mi è giunta voce di un'usanza che vuole l'aggiunta di un bicchierino di grappa durante la cottura per rendere più digeribile il piatto. La cosa mi pare del tutto pretestuosa ma non saremo senz'altro noi a denunciare la cosa, per non rischiare chi vuole può metterne un bicchierino nella pentola e berne un'altro a fine pranzo (i più spregiudicati arrivano ad asserire che per rendere la casoeûla più digeribile la grappa vada bevuta prima !!! Mah...).
Qualche giorno fa, dal mio salumiere di fiducia, c’era in bella vista un vassoio con tutte quelle parti di maiale necessarie per fare una casoeûla di tutto rispetto; ho deciso quindi farla.
E’ un piatto che preparo almeno una volta all’anno, in considerazione del fatto che, cercando di rispettare la tradizione, è una ricetta abbastanza lunga e laboriosa (non di tutti i giorni) ed anche piuttosto calorica; questa è la mia versione.
Ingredienti (per 4-6 persone) (*)
1,5 Kg di verza;
2 piedini di maiale tagliato a
pezzi;
1 musetto di maiale tagliato a
pezzi;
2 codini di maiale tagliati a
pezzi;
500 di verzini picoli;
100 g di polpa dell’osso di
prosciutto crudo (o pancetta) (**);
400 g di cotenna;
500 g di costine;
40 g di burro;
40 g di strutto;
40 g di strutto;
1 bicchiere di vino bianco secco;
1 costa di sedano;
2 carote medie;
1 cipolla;
2 spicchi d’aglio;
Sale e pepe q.b.
1 – Preparazione.
1 – Preparazione.
Prepariamo
le verze.
Tradizionalmente si prescriveva l'uso
di verze che avessero raccolto la brina invernale, più dolci, più asciutte e
più tenere rispetto a quelle raccolte precocemente. Quando la temperatura è
molto bassa, ossia sotto lo zero, la verza alimenta le proprie foglie limitando
la presenza di acqua e così facendo aumenta la concentrazione di sali e
zuccheri e risulta più saporita.
Non credo che la verza normalmente in
commercio ha subito un trattamento di questo tipo, quindi un espediente per
ottenere un risultato simile sarà quello di metterla nel freezer per gelarla.
Per le verze non gelate occorrerà
prolungare la cottura di 30-45 minuti, mettendole sul fuoco prima degli altri
ingredienti.
Tagliate a
metà la verza ed eliminate il torsolo interno e la costa centrale delle foglie
più esterne (più coriacee); tagliate le foglie di verza a brandelli con le mani
e lavatele molto bene. Prendete una casseruola e versateci un dito d'acqua,
aggiungete la verza e fatela cuocere coperta con un coperchio finché non
appassisce. Scolate la verza e mettetela da parte. Conservate l’acqua rimasta
nel tegame (potrà servire durante la cottura) (1).
Prepariamo
delle varie parti di maiale.
Le varie
parti di maiale, utilizzate per questa preparazione, hanno tempi di cottura
differenti; di conseguenza dovrete fare delle precotture separate.
Iniziamo
con la pulizia delle cotenne e del piedino, che andranno poi cotti
separatamente. Per prima cosa raschiate bene il piedino e le cotenne, e
fiammeggiate i peli del maiale, con un cannello o con la fiamma del fornello di
casa. Una volta pulito il tutto, lavate i pezzi sotto l'acqua corrente.
Mettete
quindi il piedino e le cotenne in un tegame, copriteli con acqua fredda e
lasciateli sobbollire per un’ora in modo da sgrassarli; verificare sempre lo
stato di cottura.
Scolateli
eliminando il grasso, passateli sotto acqua calda e asciugateli con la carta da
cucina in modo da togliere tutto l'unto e mettetele da parte; ricordate di
controllare la cottura, in particolar modo delle cotenne che andrete a togliere
quando saranno “al dente”, mentre i piedini dovranno essere tolti quando la
cotenna che li ricopre sarà “al dente”.
Prendete le
costine e lavatele sotto l'acqua corrente, asciugatele con la carta da cucina,
adagiatele in una padella antiaderente con 10 g di burro (o 1 cucchiaio di
strutto o come meglio preferite); fate dorare le costine a fuoco dolce da
entrambi i lati, dopo di ché toglietele dalla pentola e tamponate il grasso in
eccesso sempre con la carta assorbente e mettetele da parte.
In un'altra pentola, adagiate i verzini precedentemente bucati con una
forchetta e fateli dorare con il loro stesso grasso; toglieteli dalla pentola,
tamponate il grasso in eccesso sempre con la carta assorbente e mettetele da
parte (2).
2 – Cottura.
Lavate il
gambo di sedano, le carota, la cipolla, l’aglio e tritateli grossolanamente.
Prendete una casseruola e fate soffriggere insieme al burro e allo strutto
rimanenti (o come meglio preferite).
Aggiungete
i dadini della polpa di prosciutto (o la pancetta) e continuate a soffriggere
per qualche minuto (3). Aggiungete poi le costine, i verzini e irrorate con il
vino bianco; lasciate sfumare il vino e aggiungete il resto della carne di
maiale. Fate rosolare, per circa 30 min., mescolando ogni tanto (4).
Aggiungete
la verza scolata e lasciate cuocere tutto a fuoco basso per un’ora o fino a
quando non si sarà ammorbidito il tutto (5); se necessario, di tanto in tanto,
potete aggiungere un mestolo dell’acqua delle verze. Tenete presente che la
consistenza finale della casoeûla deve risultare piuttosto asciutta (6).
Aggiustate
di sale durante la cottura.
La vostra casoeûla sarà
pronta quando tutte le parti del maiale saranno cotte (non stracotte) e la
verza sia tenera.
3 -
Presentazione.
Frequentemente
la casoeûla viene servita accompagnata con della polenta; io sono tra quelli
che preferisce consumarla così con qualche fetta di pane casereccio, innaffiata
con un ottimo vino rosso, magari durante una fredda e umida giornata invernale
e attorno ad un tavolo con amici.
(*) Per quanto riguarda alcune
parti del maiale, le quantità sono espresse in numero piché le dimensioni sono
molto variabili.
(**) Procurarsi dal salumiere di fiducia l’osso
della parte finale del prosciutto crudo; eliminata la cotenna e il grasso,
ridurre a dadini piccoli la polpa. In alternativa si può utilizzare della
pancetta tagliata a dadini.
Nessun commento:
Posta un commento