Carnaroli è un riso a chicco medio
originario di Pavia, Novara e Vercelli.
Tradizionalmente il riso Carnaroli viene usato per preparare il risotto ed è diverso dal più comune riso Arborio per maggiore contenuto di amido, consistenza più soda e il chicco più lungo. Il riso Carnaroli tiene la cottura meglio rispetto ad altre varietà di riso durante la cottura lenta richiesta per fare il risotto, perché presenta maggiori quantità di amilosio.
Appartiene alla classe del riso "superfino" e spesso è chiamato "re dei risi".
Il riso Carnaroli nasce nel 1945, figlio di due genitori importanti e scomodi, il Vialone e il Leoncino. Due varietà allora coltivatissime, probabilmente già da prima del Novecento; il primo dai chicchi quasi tondi, ma dal contenuti ricco di amilosio, cioè capaci di “tenere” la cottura. Il secondo, invece, uno di quelli che oggi si direbbe “over size”, cioè con un chicco grande, che nel piatto fa un figurone.
Quel figlio legittimo riuscì a coniugare pregi e difetti dei genitori: ebbe in eredità la consistenza del chicco del Vialone (attenzione, non l’odierno Vialone Nano) e le dimensioni del chicco del Leoncino. Ma purtroppo anche la taglia, altissima, e la sensibilità a tutti i problemi del mondo, dalla sterilità florale, all’allettamento, alla produzione: bassa, che più bassa non si può.
Di bello, in campo, aveva che nasceva bene, che aveva tanta energia da sembrare una pianta selvatica, una pianta che metteva radici dappertutto, per poi partire con una chioma verdissima, quasi spaventosa.
“E’ il riso per antonomasia - incalza Riccardo Binotti, da sempre coltivatore irriducibile di Carnaroli - un riso impareggiabile, la cui qualità ogni volta ci ha fatto dimenticare la fatica per averlo nei magazzini. Ed è il suo valore, come una meta difficile da raggiungere. E’ assurdo che oggi cerchino di fare varietà di riso simili al Carnaroli, ma “facili” da coltivare”.
Come se si salisse sul K 2 in funivia, oppure sull’Everest in corriera.
Ma anche se al giorno d’oggi tutti conoscono il Carnaroli e anche le pizzerie lo indicano nel menù, ci furono anni in cui il riso per eccellenza era considerato estinto. Già, proprio così.
A fine anni Settanta il Carnaroli muore. Subisce la concorrenza di un’altra prima donna del risotto, il mitico Arborio, creato una quarantina di anni prima da tale cavalier Domenico Marchetti, l’uomo che con un paio di stivali rivoluzionò le coltivazioni risicole italiane.
L’Arborio saliva nei gusti delle aziende agricole e il Carnaroli scendeva, anzi spariva. Agli inizi degli anni Ottanta l’Ente Nazionale Risi, che conserva la varietà in purezza, si dice avesse in tutto cinquecento chilogrammi di semente “pura”. Praticamente niente.
Nel 1982 in Italia si coltivavano solo 418 ettari di Carnaroli: un’inezia se paragonata ai 36 mila ettari che allora si coltivarono a Balilla, la più gettonata delle varietà. Un’inezia anche se paragonata ai 20 mila ettari destinati alla coltivazione dell’Arborio, “l’odiato” concorrente tra le varietà superfine.
“Bisognava davvero crederci - racconta ancora Riccardo Binotti - noi alle basse produzioni siamo abituati. Da noi si coltiva da sempre anche il Vialone Nano e lo stesso Arborio. Eravamo sicuri che alla fine la qualità si sarebbe fatta strada. A fine anni Ottanta la ricerca ci venne in aiuto e il Carnaroli divenne più basso e quel baffo rosso corallo diventò più fragile, più facile da eliminarsi con le mietitrebbie”.
E così il Carnaroli rinasce e diventa merce un po’ più popolare, più conosciuta, anche se sempre pregiatissima.
Una evoluzione per molti versi simile a quella del riso Vialone, diventato Vialone Nano, anche se l’aggettivo “Nano” è tutto da interpretare, data la taglia comunque molto alta.
Ma il Carnaroli si espande, supera nel 1989 il traguardo dei mille ettari, quasi impensabili prima, è a 2.500 ettari cinque anni dopo, per toccare nel 2000 i 7 mila ettari. Nel 2005 il massimo storico della diffusione, con quasi 9.500 ettari, mentre l’Arborio scendeva a poco più di 3.000 ettari, incalzato dal suo “succedaneo”, il Volano.
Per il figlio di Vialone e Leoncino una rinascita probabilmente imprevedibile, se paragonata alla vicenda storica di tante altre varietà, sparite nel vortice del tempo da quando, nel 1475, la risicoltura apparve nel “Bel Paese”.
“Resta il migliore riso che sia mai esistito - conclude l’agricoltore Riccardo Binotti - non ha grana verde nella pannocchia, matura al momento giusto, né troppo presto e neppure troppo tardi. E’ un riso che si fa fatica a produrre, ma ricambia ampiamente ogni sforzo quando arriva in tavola.
Smettano di volerlo imitare con varietà “facili”. Il Carnaroli resta e resterà sempre unico e inimitabile”.
Un vanto per ogni risicoltore che si rispetti, una garanzia per chiunque si metta ai fornelli.
Come ogni anno, anche quest’anno, è arrivato il periodo dei fiori di zucchina e, anche quest’anno, ho “esagerato” alla grande!
Mi sono rivolto al “solito” contadino che, vicino casa, ha un grande orto e, con qualche euro ho portato a casa 50-60 splenditi fiori di zucchina appena colti.
Oltre una trentina li ho cucinati impanati e fritti (li ho mangiati tutti), mentre con i restanti ho preparato (avevo ospiti per cena) questo ricco e gustoso risotto!
Ingredienti (per 4 persone)
320 g di riso Carnaroli;
200 g di fiori di zucchina;
100 g di taleggio;
50 g di grana grattugiato;
40 g di burro;
2 cucchiai di olio EVO;
½ bicchiere di vino bianco secco;
1 l di brodo vegetale;
1 scalogno;
sale e pepe q.b.
1 – Preparazione.
Tagliate a cubetti il formaggio taleggio.
Tritate finemente lo scalogno.
In un tegame preparate il brodo utilizzando 1 litro d’acqua e 1 di dado per brodo vegetale (*).
Tradizionalmente il riso Carnaroli viene usato per preparare il risotto ed è diverso dal più comune riso Arborio per maggiore contenuto di amido, consistenza più soda e il chicco più lungo. Il riso Carnaroli tiene la cottura meglio rispetto ad altre varietà di riso durante la cottura lenta richiesta per fare il risotto, perché presenta maggiori quantità di amilosio.
Appartiene alla classe del riso "superfino" e spesso è chiamato "re dei risi".
Il riso Carnaroli nasce nel 1945, figlio di due genitori importanti e scomodi, il Vialone e il Leoncino. Due varietà allora coltivatissime, probabilmente già da prima del Novecento; il primo dai chicchi quasi tondi, ma dal contenuti ricco di amilosio, cioè capaci di “tenere” la cottura. Il secondo, invece, uno di quelli che oggi si direbbe “over size”, cioè con un chicco grande, che nel piatto fa un figurone.
Quel figlio legittimo riuscì a coniugare pregi e difetti dei genitori: ebbe in eredità la consistenza del chicco del Vialone (attenzione, non l’odierno Vialone Nano) e le dimensioni del chicco del Leoncino. Ma purtroppo anche la taglia, altissima, e la sensibilità a tutti i problemi del mondo, dalla sterilità florale, all’allettamento, alla produzione: bassa, che più bassa non si può.
Di bello, in campo, aveva che nasceva bene, che aveva tanta energia da sembrare una pianta selvatica, una pianta che metteva radici dappertutto, per poi partire con una chioma verdissima, quasi spaventosa.
“E’ il riso per antonomasia - incalza Riccardo Binotti, da sempre coltivatore irriducibile di Carnaroli - un riso impareggiabile, la cui qualità ogni volta ci ha fatto dimenticare la fatica per averlo nei magazzini. Ed è il suo valore, come una meta difficile da raggiungere. E’ assurdo che oggi cerchino di fare varietà di riso simili al Carnaroli, ma “facili” da coltivare”.
Come se si salisse sul K 2 in funivia, oppure sull’Everest in corriera.
Ma anche se al giorno d’oggi tutti conoscono il Carnaroli e anche le pizzerie lo indicano nel menù, ci furono anni in cui il riso per eccellenza era considerato estinto. Già, proprio così.
A fine anni Settanta il Carnaroli muore. Subisce la concorrenza di un’altra prima donna del risotto, il mitico Arborio, creato una quarantina di anni prima da tale cavalier Domenico Marchetti, l’uomo che con un paio di stivali rivoluzionò le coltivazioni risicole italiane.
L’Arborio saliva nei gusti delle aziende agricole e il Carnaroli scendeva, anzi spariva. Agli inizi degli anni Ottanta l’Ente Nazionale Risi, che conserva la varietà in purezza, si dice avesse in tutto cinquecento chilogrammi di semente “pura”. Praticamente niente.
Nel 1982 in Italia si coltivavano solo 418 ettari di Carnaroli: un’inezia se paragonata ai 36 mila ettari che allora si coltivarono a Balilla, la più gettonata delle varietà. Un’inezia anche se paragonata ai 20 mila ettari destinati alla coltivazione dell’Arborio, “l’odiato” concorrente tra le varietà superfine.
“Bisognava davvero crederci - racconta ancora Riccardo Binotti - noi alle basse produzioni siamo abituati. Da noi si coltiva da sempre anche il Vialone Nano e lo stesso Arborio. Eravamo sicuri che alla fine la qualità si sarebbe fatta strada. A fine anni Ottanta la ricerca ci venne in aiuto e il Carnaroli divenne più basso e quel baffo rosso corallo diventò più fragile, più facile da eliminarsi con le mietitrebbie”.
E così il Carnaroli rinasce e diventa merce un po’ più popolare, più conosciuta, anche se sempre pregiatissima.
Una evoluzione per molti versi simile a quella del riso Vialone, diventato Vialone Nano, anche se l’aggettivo “Nano” è tutto da interpretare, data la taglia comunque molto alta.
Ma il Carnaroli si espande, supera nel 1989 il traguardo dei mille ettari, quasi impensabili prima, è a 2.500 ettari cinque anni dopo, per toccare nel 2000 i 7 mila ettari. Nel 2005 il massimo storico della diffusione, con quasi 9.500 ettari, mentre l’Arborio scendeva a poco più di 3.000 ettari, incalzato dal suo “succedaneo”, il Volano.
Per il figlio di Vialone e Leoncino una rinascita probabilmente imprevedibile, se paragonata alla vicenda storica di tante altre varietà, sparite nel vortice del tempo da quando, nel 1475, la risicoltura apparve nel “Bel Paese”.
“Resta il migliore riso che sia mai esistito - conclude l’agricoltore Riccardo Binotti - non ha grana verde nella pannocchia, matura al momento giusto, né troppo presto e neppure troppo tardi. E’ un riso che si fa fatica a produrre, ma ricambia ampiamente ogni sforzo quando arriva in tavola.
Smettano di volerlo imitare con varietà “facili”. Il Carnaroli resta e resterà sempre unico e inimitabile”.
Un vanto per ogni risicoltore che si rispetti, una garanzia per chiunque si metta ai fornelli.
Come ogni anno, anche quest’anno, è arrivato il periodo dei fiori di zucchina e, anche quest’anno, ho “esagerato” alla grande!
Mi sono rivolto al “solito” contadino che, vicino casa, ha un grande orto e, con qualche euro ho portato a casa 50-60 splenditi fiori di zucchina appena colti.
Oltre una trentina li ho cucinati impanati e fritti (li ho mangiati tutti), mentre con i restanti ho preparato (avevo ospiti per cena) questo ricco e gustoso risotto!
Ingredienti (per 4 persone)
320 g di riso Carnaroli;
200 g di fiori di zucchina;
100 g di taleggio;
50 g di grana grattugiato;
40 g di burro;
2 cucchiai di olio EVO;
½ bicchiere di vino bianco secco;
1 l di brodo vegetale;
1 scalogno;
sale e pepe q.b.
1 – Preparazione.
Tagliate a cubetti il formaggio taleggio.
Tritate finemente lo scalogno.
In un tegame preparate il brodo utilizzando 1 litro d’acqua e 1 di dado per brodo vegetale (*).
Prendete i fiori di zucchina e, dopo averli lavati
delicatamente, eliminate le escrescenze spinose intorno al fiore usando un
coltello. Ora recidete il gambo, tagliate la base il calice del fiore ed
eliminate, con la punta del coltello il pistillo (che resterebbe duro e amaro
dopo la cottura).
Tagliate i fiori i 4 parti nel senso della lunghezza e poi a striscioline trasversali e metteteli da parte.
2 – Cottura.
In un padellino, far fondere, a fuoco basso, la metà del burro, unire il trito di cipolla e farla “sudare” senza fargli cambiare colore; togliere il padellino dal fuoco e metterlo da parte tenendolo al caldo.
In una casseruola portare a temperatura l’olio Evo e aggiungere il riso che andrà tostato continuando a mescolare dolcemente, con un cucchiaio di legno.
Tostare il riso serve a chiuderne i pori per aumentarne la tenuta alla cottura e far sì che possa rimanere al dente; tralasciando questo passaggio, la consistenza finale dei chicchi sarà simile a quella del riso bollito.
Potrete considerare tostato il riso una volta che questo inizierà a fare un certo attrito con la padella.
A questo punto sfumatevi con il vino, senza smettere di mescolare.
Aggiungere il trito di scalogno (tenuto a parte) e 2 mestoli di brodo bollente; mescolare un paio di volte (sempre dolcemente) e non toccare più sino alla prossima aggiunta di brodo (continuando a mescolare si rompe la cuticola del riso troppo presto, si libera l’amido e il riso si attacca al fondo della padella).
Continuare con le aggiunte di brodo (un paio di mestoli alla volta); a circa 5 min. dalla cottura del risotto aggiungere i fiori di zucchina tagliati a listarelle e completare la cottura.
Spegnere il fuoco con il riso al dente e che abbia una consistenza morbida, “all’onda”; aggiungere il resto del burro freddo, i dadini di taleggio, un paio di cucchiai di grana e, a questo punto, mescolare energicamente per un minuto: questo è il momento della “mantecatura” e sbattere il riso serve a montare il burro e, allo stesso tempo, rompere la cuticola dei chicchi per far uscire tutto l’amido e ottenere una consistenza cremosa.
Coprire con un coperchio e lasciar riposare per 5 min.
3 - Presentazione.
Versare il risotto in singoli piatti e, se gradito, aggiungere del pepe nero (macinato fresco), una spolverata di grana grattugiato e servire.
(*) Volendo, o avendo più tempo a disposizione, si può preparare il brodo vegetale operando in questo modo.
Tagliate i fiori i 4 parti nel senso della lunghezza e poi a striscioline trasversali e metteteli da parte.
2 – Cottura.
In un padellino, far fondere, a fuoco basso, la metà del burro, unire il trito di cipolla e farla “sudare” senza fargli cambiare colore; togliere il padellino dal fuoco e metterlo da parte tenendolo al caldo.
In una casseruola portare a temperatura l’olio Evo e aggiungere il riso che andrà tostato continuando a mescolare dolcemente, con un cucchiaio di legno.
Tostare il riso serve a chiuderne i pori per aumentarne la tenuta alla cottura e far sì che possa rimanere al dente; tralasciando questo passaggio, la consistenza finale dei chicchi sarà simile a quella del riso bollito.
Potrete considerare tostato il riso una volta che questo inizierà a fare un certo attrito con la padella.
A questo punto sfumatevi con il vino, senza smettere di mescolare.
Aggiungere il trito di scalogno (tenuto a parte) e 2 mestoli di brodo bollente; mescolare un paio di volte (sempre dolcemente) e non toccare più sino alla prossima aggiunta di brodo (continuando a mescolare si rompe la cuticola del riso troppo presto, si libera l’amido e il riso si attacca al fondo della padella).
Continuare con le aggiunte di brodo (un paio di mestoli alla volta); a circa 5 min. dalla cottura del risotto aggiungere i fiori di zucchina tagliati a listarelle e completare la cottura.
Spegnere il fuoco con il riso al dente e che abbia una consistenza morbida, “all’onda”; aggiungere il resto del burro freddo, i dadini di taleggio, un paio di cucchiai di grana e, a questo punto, mescolare energicamente per un minuto: questo è il momento della “mantecatura” e sbattere il riso serve a montare il burro e, allo stesso tempo, rompere la cuticola dei chicchi per far uscire tutto l’amido e ottenere una consistenza cremosa.
Coprire con un coperchio e lasciar riposare per 5 min.
3 - Presentazione.
Versare il risotto in singoli piatti e, se gradito, aggiungere del pepe nero (macinato fresco), una spolverata di grana grattugiato e servire.
(*) Volendo, o avendo più tempo a disposizione, si può preparare il brodo vegetale operando in questo modo.
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