La Robinia
pseudoacacia L.,
in italiano robinia o acacia, è una pianta della famiglia delle Fabaceae, dette
anche Leguminose, originaria dell'America del Nord e naturalizzata in Europa e
in altri continenti.
Pianta con portamento arboreo (alta fino a 25 metri) o arbustivo; spesso cedua, con forte attività riproduttiva agamica, i polloni spuntano sia dal colletto sia dalle radici.
Corteccia di colore marrone
chiaro molto rugosa.
Foglie imparipennate (foglie composte da un numero dispari di foglioline disposte ai lati opposti della nervatura centrale, più una all'apice), lunghe fino a 30-35 cm con 11-21 foglioline ovate non dentate lunghe fino a 6 cm con apice esile. Aperte di giorno mentre la notte tendono a sovrapporsi.
Fiori bianchi o crema, lunghi circa 2 cm simili a quelli dei piselli, riuniti in grappoli pendenti di profumo molto gradevole. Frutti a forma di baccello prima verdi poi marroni lunghi circa 10 cm, deiscenti a maturità.
Presenza di numerose spine lunghe e solide sui rami più giovani.
La specie è originaria dell'America del Nord, precisamente della zona degli Appallaci, dove forma boschi puri. Fu importata in Europa nel 1601 da Jean Robin, farmacista e botanico del re di Francia (all'epoca Enrico IV).
All'Orto Botanico di Parigi (il Jardin des Plantes) sono ancora presenti i ricacci arborei di questo primitivo esemplare nato da seme e trapiantato nel 1636. L'esemplare di Parigi detiene quindi il primato di longevità in Europa, cosa ancor più notevole essendo l'acacia una specie poco longeva. Carlo Linneo, il grande naturalista a cui si devono i nomi scientifici di migliaia di piante, vide questo esemplare e denominò la specie Robinia pseudoacacia, istituendo il genere Robinia per ricordare Robin che l'aveva introdotta in Europa.
Dopo l'arrivo nel vecchio continente si diffuse spontaneamente negli ambienti più disparati, ed è ora naturalizzata in gran parte dell'Europa centrale, dal sud dell'Inghilterra e della Svezia, fino alla Grecia, Spagna e perfino Cipro. È particolarmente diffusa in Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Austria, Ungheria, Italia, Slovenia. È naturalizzata anche in Turchia e Israele, nonché in Australia e Nuova Zelanda. Viene diffusamente coltivata in piantagioni da legno in vari paesi europei (Ungheria: 270.000 ettari; Francia: 100.000 ettari) ed extraeuropei (Cina: 1 milione di ettari; Corea del Sud: 270.000 ettari). È diffusa anche in Africa. In Italia la robinia è stata introdotta nel 1662 nell'Orto botanico di Padova ed è ora presente praticamente ovunque, in particolare in Piemonte (dove i boschi puri e misti di robinia coprono una superficie di circa 85.000 ettari), in Lombardia, in Veneto e in Toscana (ove si trovano cedui molto produttivi).
La robinia o acacia è una pianta eliofila, che non si rinnova facilmente sotto parziale copertura, trova l'ottimo nei suoli sciolti e ben drenati, anche poveri di nutrienti ed a reazione subacida, mal si adatta ai terreni molto argillosi. In Italia è presente dal livello del mare fino a circa 1000 m di quota nel centro nord e fino a 1600 m nel meridione.
Come tutte le leguminose, è in simbiosi radicale con microrganismi azotofissatori e quindi può arricchire il suolo di azoto. Nel complesso, la robinia è una specie pioniera, che però (almeno al di fuori del suo areale di vegetazione naturale) presenta una limitata longevità (60-70 anni) e quindi nelle zone più fertili è specie transitoria che può essere gradualmente sostituita da altre specie più longeve.
In alcuni ambienti, specie quelli degradati dall'uomo, questa pianta si comporta però come specie invasiva; ha un'alta velocità di crescita, soprattutto se cedua: i ricacci (polloni), che fuoriescono sia dalla ceppaia che dal suo esteso apparato radicale, crescono con rapidità; per questo motivo spesso compete vittoriosamente con specie autoctone di crescita più lenta. Inoltre, la sua estrema adattabilità la fa trovare a suo agio dai litorali ai 1000 metri di quota delle ombrose valli submontane. La conseguenza è la formazione di boschi con una ridotta varietà di specie arboree, un minor numero di esemplari di specie arboree autoctone e una scarsità di flora nemorale e di funghi; in Italia il problema è presente soprattutto in pianura Padana e nelle valli prealpine e appenniniche.
Naturalmente, le robinie usate come ornamentali nei centri urbani non destano alcun problema.
La rapida diffusione di questa specie è stata inizialmente favorita dall'uomo, che la apprezza non solo per il legno, ma anche come pianta nettarifera e come specie ornamentale; ciò a causa dei suoi numerosi vantaggi: la resistenza a condizioni avverse, l'abbondante e profumata fioritura e la velocità di crescita.
L'acacia, essendo una pianta altamente nettarifera, ha una grande importanza nell'apicoltura. Il miele di acacia è senza dubbio è tra i più conosciuti ed apprezzati ed è anche il miele mono flora più diffuso nei punti vendita; la produzione nazionale è del tutto insufficiente a soddisfare le richieste: ogni anno l'Italia deve importarne grandi quantitativi dall'Europa orientale e dalla Cina. Alla base del gradimento universale che riscuote tra i consumatori sono il suo colore chiaro, il fatto che rimane liquido indipendentemente dalla temperatura, il suo odore leggero, il suo sapore delicato e la sua bassissima acidità; nessun altro miele mono flora possiede contemporaneamente tutte queste qualità. Inoltre esso ha un alto contenuto in fruttosio (è per questo che non cristallizza). Ha però un basso contenuto di sali minerali e di enzimi. Il miele di acacia contiene grandi quantità di crisina, potente flavonoide.
Molti sono i vantaggi di questa specie.
Protezione dei terreni franosi: questa pianta è stata molto utilizzata lungo i terrapieni delle ferrovie e nelle scarpate instabili, a motivo della sua crescita veloce e del suo apparato radicale molto sviluppato, caratteristiche che le permettono di stabilizzare rapidamente i pendii evitando che franino.
Legname: il legno è di colore giallo, ad anelli ben distinti, duro e pesante (Peso specifico 0,75). Per queste caratteristiche può efficacemente sostituire nell'uso i legni tropicali, con vantaggi per la bilancia commerciale; l'uso del legno di robinia al posto delle essenze esotiche consente inoltre di rallentare la deforestazione delle aree tropicali. Per questi motivi alcune regioni italiane hanno finanziato progetti di valorizzazione delle colture legnose di robinia, ottenendo contributi dall'Unione europea. Il legno viene usato per lavori di falegnameria pesante, per puntoni da miniera, per paleria (i tronchi lasciati in acqua per alcuni mesi in autunno e inverno acquisiscono una particolare tenacia), per mobili da esterno e per parquet. In Lombardia risulta essere la specie più tagliata nei boschi.
Ottimo combustibile: è utilizzabile anche il legno non stagionato e la ramaglia (quest'ultima nei forni da pane).
Miglioratrice del terreno: come tutte le leguminose, la robinia è una pianta che si avvale dei benefici dell'azoto fissazione simbiotica.
I fiori sono commestibili. Nelle campagne del Veneto (dove è anche nota con diversi nomi dialettali: cassia, gazìa, gadhìa, robina) e di altre regioni, vengono infatti consumati fritti in pastella dolce e conferiscono alla frittella un profumo soave e un sapore particolarmente squisito. Tuttavia, il resto della pianta (fusti e foglie) contiene una sostanza tossica per l'uomo. La sua tossicità d'altra parte non è universale e alcuni animali se ne cibano.
Le capre ne sono ghiotte e ne consumano in quantità senza alcuna conseguenza negativa.
Come già ricordato, a volte la robinia si comporta come specie invasiva. Un esempio in tal senso sono vaste aree della pianura Padana, dove spesso essa ha sostituito i pioppi e i salici autoctoni che crescevano lungo le rive dei fiumi. Una volta appurato che in un particolare ambiente la presenza della robinia rappresenti effettivamente un elemento di disturbo per la vegetazione autoctona, si pone il problema del controllo della sua diffusione. Per ridurre la sua presenza all'interno dei boschi nei quali si è insediata, è necessario lasciare invecchiare le piante, in quanto la relativamente modesta longevità della specie determina un deperimento relativamente precoce delle piante.
È importante ricordare che, in ambienti naturali integri, la robinia non sempre si comporta come specie invasiva, come quando la sua presenza rimane limitata ai bordi delle strade e ai viali e ai giardini dove è stata appositamente piantata e non si ritrova nei boschi. In questi casi, a trecentocinquant'anni dalla sua introduzione, può ormai essere considerata come entità integrante della flora italiana ed è da considerarsi alla stregua di altri alberi introdotti nei secoli passati e poi acclimatatisi, apprezzabili per le loro qualità; intraprendere una lotta contro essa in queste situazioni non avrebbe senso.
Come già si è detto, è stato Linneo a dare nome all'albero; egli scelse come nome del genere "Robinia", volendo ricordare il botanico Robin che ne portò il seme in Europa e lo fece germinare all'Orto Botanico di Parigi, introducendo la specie in Europa. Come nome specifico Linneo compose il termine "pseudoacacia", dal suffisso pseudo (che significa "simile a") ed "acacia", che è il termine scientifico con cui si indica il genere delle piante comunemente chiamate mimose; "pseudoacacia" significa quindi "simile alla mimosa". La somiglianza sottolineata da Linneo è quella delle foglie.
Non è quindi corretto chiamare questo albero "falsa acacia", anche perché ciò farebbe pensare all'esistenza di un'altra pianta che sarebbe la "vera acacia", mentre in italiano il termine "acacia" indica di solito la specie a cui è dedicata la presente voce; ciononostante il termine è a volte usato.
Mia sorella e mia madre abitano in una zona periferica di Milano che confina con il Parco NORD; un ampio polmone verde dove è possibile fare delle belle passeggiate circondati da tanto verde e pace.
Domenica scorsa, durante una passeggiata con mia sorella e mia madre, ho notato che le robinie e i sambuchi del parco erano in piena fioritura; ecco che è scattata l’idea: frittelle di fiori di robinia e risotto con fiori di sambuco.
Dopo aver raccolto una ventina di fiori per tipo, siamo tornati a casa e, per cena, c’era il risotto (argomento di un prossimo post) e delle calde frittelle.
Ingredienti (per 4 persone).
20 fiori di acacia;
2 uova medie;
1 cucchiaino di lievito per dolci;
6 cucchiai di farina;
Acqua frizzante ghiacciata q.b.
1 cucchiaio di zucchero semolato;
1 pizzico di sale;
Abbondante olio di semi di arachidi per friggere.
1 – Preparazione.
Prepariamo la pastella per le frittelle.
In una ciotola mettete le uova, un pizzico di sale, un cucchiaio di zucchero semolato, il lievito e, con una frusta, sbattete le uova aggiungendo, poco alla volta, la farina setacciata sino ad ottenere una pastella liscia e omogenea.
Versate l'acqua frizzante, molto fredda, continuando a “sbattere” sino ad ottenere una pastella che non sia troppo liquida ma neppure troppo solida; indicativamente, potete valutare la giusta consistenza, nel seguente modo:
Pianta con portamento arboreo (alta fino a 25 metri) o arbustivo; spesso cedua, con forte attività riproduttiva agamica, i polloni spuntano sia dal colletto sia dalle radici.
Foglie imparipennate (foglie composte da un numero dispari di foglioline disposte ai lati opposti della nervatura centrale, più una all'apice), lunghe fino a 30-35 cm con 11-21 foglioline ovate non dentate lunghe fino a 6 cm con apice esile. Aperte di giorno mentre la notte tendono a sovrapporsi.
Fiori bianchi o crema, lunghi circa 2 cm simili a quelli dei piselli, riuniti in grappoli pendenti di profumo molto gradevole. Frutti a forma di baccello prima verdi poi marroni lunghi circa 10 cm, deiscenti a maturità.
Presenza di numerose spine lunghe e solide sui rami più giovani.
La specie è originaria dell'America del Nord, precisamente della zona degli Appallaci, dove forma boschi puri. Fu importata in Europa nel 1601 da Jean Robin, farmacista e botanico del re di Francia (all'epoca Enrico IV).
All'Orto Botanico di Parigi (il Jardin des Plantes) sono ancora presenti i ricacci arborei di questo primitivo esemplare nato da seme e trapiantato nel 1636. L'esemplare di Parigi detiene quindi il primato di longevità in Europa, cosa ancor più notevole essendo l'acacia una specie poco longeva. Carlo Linneo, il grande naturalista a cui si devono i nomi scientifici di migliaia di piante, vide questo esemplare e denominò la specie Robinia pseudoacacia, istituendo il genere Robinia per ricordare Robin che l'aveva introdotta in Europa.
Dopo l'arrivo nel vecchio continente si diffuse spontaneamente negli ambienti più disparati, ed è ora naturalizzata in gran parte dell'Europa centrale, dal sud dell'Inghilterra e della Svezia, fino alla Grecia, Spagna e perfino Cipro. È particolarmente diffusa in Francia, Germania, Paesi Bassi, Belgio, Lussemburgo, Svizzera, Austria, Ungheria, Italia, Slovenia. È naturalizzata anche in Turchia e Israele, nonché in Australia e Nuova Zelanda. Viene diffusamente coltivata in piantagioni da legno in vari paesi europei (Ungheria: 270.000 ettari; Francia: 100.000 ettari) ed extraeuropei (Cina: 1 milione di ettari; Corea del Sud: 270.000 ettari). È diffusa anche in Africa. In Italia la robinia è stata introdotta nel 1662 nell'Orto botanico di Padova ed è ora presente praticamente ovunque, in particolare in Piemonte (dove i boschi puri e misti di robinia coprono una superficie di circa 85.000 ettari), in Lombardia, in Veneto e in Toscana (ove si trovano cedui molto produttivi).
La robinia o acacia è una pianta eliofila, che non si rinnova facilmente sotto parziale copertura, trova l'ottimo nei suoli sciolti e ben drenati, anche poveri di nutrienti ed a reazione subacida, mal si adatta ai terreni molto argillosi. In Italia è presente dal livello del mare fino a circa 1000 m di quota nel centro nord e fino a 1600 m nel meridione.
Come tutte le leguminose, è in simbiosi radicale con microrganismi azotofissatori e quindi può arricchire il suolo di azoto. Nel complesso, la robinia è una specie pioniera, che però (almeno al di fuori del suo areale di vegetazione naturale) presenta una limitata longevità (60-70 anni) e quindi nelle zone più fertili è specie transitoria che può essere gradualmente sostituita da altre specie più longeve.
In alcuni ambienti, specie quelli degradati dall'uomo, questa pianta si comporta però come specie invasiva; ha un'alta velocità di crescita, soprattutto se cedua: i ricacci (polloni), che fuoriescono sia dalla ceppaia che dal suo esteso apparato radicale, crescono con rapidità; per questo motivo spesso compete vittoriosamente con specie autoctone di crescita più lenta. Inoltre, la sua estrema adattabilità la fa trovare a suo agio dai litorali ai 1000 metri di quota delle ombrose valli submontane. La conseguenza è la formazione di boschi con una ridotta varietà di specie arboree, un minor numero di esemplari di specie arboree autoctone e una scarsità di flora nemorale e di funghi; in Italia il problema è presente soprattutto in pianura Padana e nelle valli prealpine e appenniniche.
Naturalmente, le robinie usate come ornamentali nei centri urbani non destano alcun problema.
La rapida diffusione di questa specie è stata inizialmente favorita dall'uomo, che la apprezza non solo per il legno, ma anche come pianta nettarifera e come specie ornamentale; ciò a causa dei suoi numerosi vantaggi: la resistenza a condizioni avverse, l'abbondante e profumata fioritura e la velocità di crescita.
L'acacia, essendo una pianta altamente nettarifera, ha una grande importanza nell'apicoltura. Il miele di acacia è senza dubbio è tra i più conosciuti ed apprezzati ed è anche il miele mono flora più diffuso nei punti vendita; la produzione nazionale è del tutto insufficiente a soddisfare le richieste: ogni anno l'Italia deve importarne grandi quantitativi dall'Europa orientale e dalla Cina. Alla base del gradimento universale che riscuote tra i consumatori sono il suo colore chiaro, il fatto che rimane liquido indipendentemente dalla temperatura, il suo odore leggero, il suo sapore delicato e la sua bassissima acidità; nessun altro miele mono flora possiede contemporaneamente tutte queste qualità. Inoltre esso ha un alto contenuto in fruttosio (è per questo che non cristallizza). Ha però un basso contenuto di sali minerali e di enzimi. Il miele di acacia contiene grandi quantità di crisina, potente flavonoide.
Molti sono i vantaggi di questa specie.
Protezione dei terreni franosi: questa pianta è stata molto utilizzata lungo i terrapieni delle ferrovie e nelle scarpate instabili, a motivo della sua crescita veloce e del suo apparato radicale molto sviluppato, caratteristiche che le permettono di stabilizzare rapidamente i pendii evitando che franino.
Legname: il legno è di colore giallo, ad anelli ben distinti, duro e pesante (Peso specifico 0,75). Per queste caratteristiche può efficacemente sostituire nell'uso i legni tropicali, con vantaggi per la bilancia commerciale; l'uso del legno di robinia al posto delle essenze esotiche consente inoltre di rallentare la deforestazione delle aree tropicali. Per questi motivi alcune regioni italiane hanno finanziato progetti di valorizzazione delle colture legnose di robinia, ottenendo contributi dall'Unione europea. Il legno viene usato per lavori di falegnameria pesante, per puntoni da miniera, per paleria (i tronchi lasciati in acqua per alcuni mesi in autunno e inverno acquisiscono una particolare tenacia), per mobili da esterno e per parquet. In Lombardia risulta essere la specie più tagliata nei boschi.
Ottimo combustibile: è utilizzabile anche il legno non stagionato e la ramaglia (quest'ultima nei forni da pane).
Miglioratrice del terreno: come tutte le leguminose, la robinia è una pianta che si avvale dei benefici dell'azoto fissazione simbiotica.
I fiori sono commestibili. Nelle campagne del Veneto (dove è anche nota con diversi nomi dialettali: cassia, gazìa, gadhìa, robina) e di altre regioni, vengono infatti consumati fritti in pastella dolce e conferiscono alla frittella un profumo soave e un sapore particolarmente squisito. Tuttavia, il resto della pianta (fusti e foglie) contiene una sostanza tossica per l'uomo. La sua tossicità d'altra parte non è universale e alcuni animali se ne cibano.
Le capre ne sono ghiotte e ne consumano in quantità senza alcuna conseguenza negativa.
Come già ricordato, a volte la robinia si comporta come specie invasiva. Un esempio in tal senso sono vaste aree della pianura Padana, dove spesso essa ha sostituito i pioppi e i salici autoctoni che crescevano lungo le rive dei fiumi. Una volta appurato che in un particolare ambiente la presenza della robinia rappresenti effettivamente un elemento di disturbo per la vegetazione autoctona, si pone il problema del controllo della sua diffusione. Per ridurre la sua presenza all'interno dei boschi nei quali si è insediata, è necessario lasciare invecchiare le piante, in quanto la relativamente modesta longevità della specie determina un deperimento relativamente precoce delle piante.
È importante ricordare che, in ambienti naturali integri, la robinia non sempre si comporta come specie invasiva, come quando la sua presenza rimane limitata ai bordi delle strade e ai viali e ai giardini dove è stata appositamente piantata e non si ritrova nei boschi. In questi casi, a trecentocinquant'anni dalla sua introduzione, può ormai essere considerata come entità integrante della flora italiana ed è da considerarsi alla stregua di altri alberi introdotti nei secoli passati e poi acclimatatisi, apprezzabili per le loro qualità; intraprendere una lotta contro essa in queste situazioni non avrebbe senso.
Come già si è detto, è stato Linneo a dare nome all'albero; egli scelse come nome del genere "Robinia", volendo ricordare il botanico Robin che ne portò il seme in Europa e lo fece germinare all'Orto Botanico di Parigi, introducendo la specie in Europa. Come nome specifico Linneo compose il termine "pseudoacacia", dal suffisso pseudo (che significa "simile a") ed "acacia", che è il termine scientifico con cui si indica il genere delle piante comunemente chiamate mimose; "pseudoacacia" significa quindi "simile alla mimosa". La somiglianza sottolineata da Linneo è quella delle foglie.
Non è quindi corretto chiamare questo albero "falsa acacia", anche perché ciò farebbe pensare all'esistenza di un'altra pianta che sarebbe la "vera acacia", mentre in italiano il termine "acacia" indica di solito la specie a cui è dedicata la presente voce; ciononostante il termine è a volte usato.
Mia sorella e mia madre abitano in una zona periferica di Milano che confina con il Parco NORD; un ampio polmone verde dove è possibile fare delle belle passeggiate circondati da tanto verde e pace.
Domenica scorsa, durante una passeggiata con mia sorella e mia madre, ho notato che le robinie e i sambuchi del parco erano in piena fioritura; ecco che è scattata l’idea: frittelle di fiori di robinia e risotto con fiori di sambuco.
Dopo aver raccolto una ventina di fiori per tipo, siamo tornati a casa e, per cena, c’era il risotto (argomento di un prossimo post) e delle calde frittelle.
Ingredienti (per 4 persone).
20 fiori di acacia;
2 uova medie;
1 cucchiaino di lievito per dolci;
6 cucchiai di farina;
Acqua frizzante ghiacciata q.b.
1 cucchiaio di zucchero semolato;
1 pizzico di sale;
Abbondante olio di semi di arachidi per friggere.
1 – Preparazione.
Prepariamo la pastella per le frittelle.
In una ciotola mettete le uova, un pizzico di sale, un cucchiaio di zucchero semolato, il lievito e, con una frusta, sbattete le uova aggiungendo, poco alla volta, la farina setacciata sino ad ottenere una pastella liscia e omogenea.
Versate l'acqua frizzante, molto fredda, continuando a “sbattere” sino ad ottenere una pastella che non sia troppo liquida ma neppure troppo solida; indicativamente, potete valutare la giusta consistenza, nel seguente modo:
- appoggiate la parte curva di un cucchiaio nella pastella;
- girate il cucchiaio e soffiate verso il velo di pastella raccolto;
- la pastella sarà pronta quando non si dividerà ma formerà delle “ondine”.
Fate
riposare la pastella in frigorifero per almeno 30 minuti.
2 – Cottura.
Non lavare i fiori, scuoterli da eventuale residui estranei e/o animaletti; ricordate di raccogliere i fiori in luoghi lontano dalle strade anche se poco trafficate.
In una padella, non troppo larga, mettete a scaldare abbondante olio di semi d’arachide sino al raggiungimento di una temperatura di 160 °C; nel caso non avete a disposizione un termometro, utilizzate il vostro metodo “empirico” di valutazione (pizzico di farina, goccia d’acqua, lo stecchino, ecc.).
Immergete i fiori (uno ad uno) nella pastella, fateli scolare dall’eccesso, passateli nell’olio caldo e fateli dorare da entrambe le parti (attenzione perché dorano in fretta).
Scolate le frittelle pronte e adagiatele in un piatto largo con della carta assorbente per eliminare l’eccesso d’olio; non sovrapponetele, ma fate un unico strato.
3 - Presentazione.
Servite i fiori caldi dopo averli spolverati con abbondante zucchero semolato.
2 – Cottura.
Non lavare i fiori, scuoterli da eventuale residui estranei e/o animaletti; ricordate di raccogliere i fiori in luoghi lontano dalle strade anche se poco trafficate.
In una padella, non troppo larga, mettete a scaldare abbondante olio di semi d’arachide sino al raggiungimento di una temperatura di 160 °C; nel caso non avete a disposizione un termometro, utilizzate il vostro metodo “empirico” di valutazione (pizzico di farina, goccia d’acqua, lo stecchino, ecc.).
Immergete i fiori (uno ad uno) nella pastella, fateli scolare dall’eccesso, passateli nell’olio caldo e fateli dorare da entrambe le parti (attenzione perché dorano in fretta).
Scolate le frittelle pronte e adagiatele in un piatto largo con della carta assorbente per eliminare l’eccesso d’olio; non sovrapponetele, ma fate un unico strato.
3 - Presentazione.
Servite i fiori caldi dopo averli spolverati con abbondante zucchero semolato.
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