mercoledì 8 aprile 2015

Bavette alla carrettiera....o quasi.

Gli spaghetti alla carrettiera è tipica ricetta della Sicilia orientale e dell'area della valle del platani, sono degli spaghetti conditi con olio, aglio crudo, pepe e pecorino grattugiato. Nella versione dei paesini di collina situati a ridosso della Valle del Platani la ricetta prevede l'aggiunta di pomodoro pelato.
Prendono il nome dagli antichi carrettieri, che volendo assaporare la pasta anche in viaggio, cucinavano questo piatto con prodotti dalla facile conservazione. In tempi recenti possono essere aggiunti, come variante, anche tonno sottolio, funghi, pancetta, pomodoro, l'estratto di carne e i funghi porcini essiccati vanno cotti in padella.
Curiosamente questo piatto viene anche recensito nei ricettari della Cucina romana, dove contempla i funghi freschi porcini.

Miniera di zolfo.

La civiltà mineraria in provincia di Enna, un grande capitolo dell'economia di quella provincia ormai archiviato per sempre.
Misconosciuto dalle giovani generazioni, il mondo delle miniere rischia di essere ricordato solo per le ipotesi relative allo stoccaggio di scorie radioattive.
La civiltà mineraria nell’ennese rappresenta con ogni probabilità la maggiore tradizione produttiva che il territorio abbia mai avuto insieme al mondo dell’agricoltura. Già nei primi secoli dell’impero romano si ha notizia di alcuni cristiani condannati dai tribunali romani “ad metalla” in Sicilia, a scavare cioè in cave e miniere per l’estrazione di materie prime nell’ antica provincia senatoriale. Sin da allora lo zolfo ed il sale erano le principali materie estratte e partivano verso i più lontani lidi dell’impero e dei paesi ad esso collegati da vincoli commerciali.
Nel seicento e nel settecento, l’impennarsi della richiesta dello zolfo per la produzione della polvere pirica, motivò la apertura di tantissimi siti estrattivi e la creazione di miniere in galleria in sostituzione delle cave a cielo aperto (le pirrere) che sino ad allora avevano soddisfatto il mercato.
Attorno ad Enna nacquero così i poli minerari di Gallizzi, Floristella, Grottacalda, Giummentaro, Volpe, Salinella, Caliato, ad Aidone il grande polo del Baccarato, a Calascibetta Realmese.

Miniera di zolfo.

Addirittura la trasformazione del territorio fu tale che in funzione delle presenze di grandi masse di manovalanza mineraria vennero creati i paesi di Villarosa, sotto la feudalità dei Notarbartolo di Sciara e di Valguarnera, Caropepe sotto la feudalità dei Valguarnera di Assoro.
Per tutto il XIX secolo le miniere fecero da perno per la vita dell’intero centro Sicilia, masse incredibilmente folte di minatori, operai, lavoranti e tecnici, vissero le loro intere esistenze a stretto contatto del minerale, sacrificando in miniera l’infanzia e la gioventù, con la sola compagnia del canarino e della paura di finire i propri giorni schiacciati dal peso della terra riarsa dal sole.
Il difficile mondo della miniera attirò i politici che di volta in volta videro nelle folle di minatori gente da riscattare e o da sfruttare ed anche il mondo letterario si fece affascinare dalla durezza della vita dei minatori, così che di miniere e di gente di miniera scrissero Pirandello, Verga, Rosso di San Secondo, Lanza, Sciascia e Napoleone Colajanni.
Nel secondo dopoguerra le miniere, ingranditesi a dismisura, videro però nascere la nuova tecnologia estrattiva americana, il veloce e poco costoso metodo Frash che portò lo zolfo statunitense a costi estremamente concorrenziali rispetto a quello siciliano.
Nel giro di due decenni tutte le grandi miniere chiusero lasciando spazio solo per le attività estrattive alcaline, soprattutto nella gigantesca pasquasia.

Miniera di zolfo.

Il colpo per l’economia dei paesi dell’altipiano fu gravissimo, decine di migliaia di minatori furono costretti ad emigrare verso altre terre di estrazione, il Canada, il Belgio, la Germania, lasciando dietro di sé il ricordo di un’epoca di sacrifici e di speranze per il progresso della loro terra.
Oggi nel mondo delle miniere dello zolfo rimane ben poco, l’unico sito protetto è quello della Floristella Gallizzi, che da qualche anno è divenuto parco Archeologico minerario, le altre miniere sono invece luogo di razzie e in poco tempo sono state ridotte a ruderi spogliati di ogni oggetto di valore.
Giummentaro, tra le ultime a chiudere, è stata derubata persino dei fili elettrici, delle tegole, della recinzione, cancellando così ogni possibile recupero della storia sociale e lavorativa del nostro territorio.
Per questo diviene importante sostenere e garantire quelle azioni che possono dare spazio alla memoria ed alla ricerca nel settore, come Pino Vicari, che ha messo a disposizione i suoi ricordi, la sua memoria a favore di una Memoria collettiva conscia e criticamente capace di guardare al futuro ed alla globalizzazione con la consapevolezza di un passato di fatiche e sudori ma anche di conquiste e di civiltà. 
Per molti anni, a cavallo tra il 1800 e i primi decenni del 1900, come accennato, le zone di Caltanissetta e di Enna erano quelle che producevano la maggior quantità di zolfo, l'unica vera risorsa dell'interno della Sicilia.
La Sicilia produceva allora la grande maggioranza dello zolfo mondiale e lo esportava in tutto il mondo.  Ma già da qualche anno un nuovo metodo di estrazione sperimentato negli Stati Uniti, e non applicabile in Sicilia per la geologia del luogo, stava erodendo per la sua economicità le vendite dello zolfo siciliano e la crisi del '29 che colpì il resto del mondo.
Il lavoro in miniera di minatori e carusi era, a dir poco, molto degradante.
I carrettieri provvedevano al trasporto dei pani di zolfo raffinato dalla miniera alla ferrovia.
Da lì i pani sarebbero stati portati al mare, e spediti via nave in tutto il mondo.

Carrettiere.

Ma prima di arrivare alla ricetta, ancora qualche parola sul mestiere ormai scomparso dei carrettieri, e sui carrettieri stessi, già nel dopoguerra travolti dal progresso dei trasporti a motore.
I carrettieri erano un po' come gli autisti dei corrieri di oggi, trasportavano merce altrui, e a volte persone, in cambio di qualche soldo. 
Allora, come oggi, i trasporti conto terzi erano un lavoro poco remunerativo.  Capitava che un carrettiere che trasportasse qualcosa per conto di un contadino non ricevesse neanche denaro, ma invece patate e acciughe salate. La vita era dura.
Normalmente un carrettiere partiva nel tardo pomeriggio, finito il carico, e viaggiava di notte, anche per evitare il caldo dell'estate siciliana.    A volte più carri si aggregavano, altre volte il carrettiere viaggiava in solitudine.
Ma tutti (e pochissimi lo sanno) cantavano. Per far passare le ore, o perché' era tradizione, non si sa più.
Una canzone molto popolare aveva un ritornello che faceva: "Tira cavaddru miu, tira e ccaminaaa....".
Dopo un po' era ora per carrettiere e cavallo di riposare e mangiare qualcosa.  Gli scarsi denari non permettevano certo ai carrettieri di fermarsi nelle osterie, perciò mangiavano quello che si erano portati da casa.

Carrettiere.

Poca cosa. Le finanze erano quelle che erano, quindi pochi e poveri ingredienti. La pasta però riempiva la pancia ed era calda.  Ogni carrettiere portava con se' degli spaghetti, una pentolina, dell'aglio secco, un cartoccio con del sale, una scodella (sbreccata) di terraglia, una boccetta d'olio, del pane, di solito secco, una grattugia.
Un fuoco lo si improvvisava sempre, l'acqua si trovava, qualche erba aromatica la si rubacchiava o la si trovava spontanea sui bordi della strada. 
Oggi si trovano in rete tantissime ricette di pasta alla carrettiera, tutte ricette che un carrettiere, nella vita reale, non si sarebbe potute permettere.
La ricetta più vera è a base di aglio crudo, ma voglio avvertire che la convinzione che l'aglio crudo non si possa digerire è assolutamente errata.
E' vero invece il contrario: l'aglio cotto, specie quello soffritto in olio, con l'alta temperatura delle cotture perde tutte quelle sostanze che lo rendono benefico e soprattutto digeribile.
Non ci vuol credere mai nessuno, ma tutti quelli che ho convinto a mangiare questa ricetta sono rimasi sorpresi dalla facilità di digestione.
Nessun fenomeno collaterale, compreso l'alito, che, grazie alle sostanze contrastanti contenute nel prezzemolo, resta assolutamente neutro.
Insomma, vi esorto a lasciar perdere, per una volta, i pregiudizi e provare a gustare questa splendida ricetta.

Ho “leggermente” rivisto la ricetta originale rendendo questa “antica” preparazione in un piatto completo: un piatto unico!

Bavette alla carrettiera....o quasi.

Ingredienti (per 4 persone) 
400 g di bavette;
70 g di guanciale;
200 g di tonno sott’olio;
250 g di funghi porcini freschi (surgelati fuori stagione);
2 spicchi d’aglio;
5-6 cucchiai di olio EVO;
1 mazzetto di prezzemolo tritata;
Pecorino grattugiato (a piacere);
Sale q.b.
Peperoncino piccante (a piacere). 

1 – Preparazione. 
Pulite, lavate e tagliate a fettine i funghi; nel caso fossero funghi surgelati, dopo averli fatti scongelare, tagliateli a cubetti.
Tagliate a cubetti (o a listarelle) il guanciale.
Sgocciolate dall’olio il tonno e sbriciolatelo. 

2 – Cottura. 
In un’ampia padella scaldate l’olio EVO, aggiungete il guanciale e continuate a rosolare per 4-5 minuti. Unite i funghi e continuate a cuocere sino a quando quasi tutta l’acqua di vegetazione dei funghi sarà consumata.
Aggiungete il tonno sbriciolato e continuate la cottura per altri 5-6 minuti continuando a mescolare aggiustando, se necessario, la salatura.
Nel frattempo cuocete le bavette in acqua salata.
Scolare le bavette al dente e versatele nella padella con i funghi, il guanciale e il tonno; unite ½ mestolo di acqua di cottura delle bavette, l’aglio tritato finemente (va molto bene lo schiaccia aglio), il peperoncino tritato, del prezzemolo tritato finemente e fate saltare il tutto sino a completa asciugatura dei liquidi.

3 - Presentazione.
Versate la pasta in piatti da portata con una spolverata di pecorino grattugiato.

Riepilogo costi-Kcal.

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