Lo strutto è un prodotto alimentare animale ottenuto per
fusione dei grassi presenti nel tessuto adiposo del maiale, comunemente
utilizzato per la frittura di pietanze, per l'apporto di grassi negli impasti e
nella panificazione, oppure come condimento.
Si presenta come pasta compatta di colore bianco,
che a freddo è praticamente inodore, a caldo emana un odore tenue ma
caratteristico. Il sapore a caldo è tipico e non molto invasivo.
A temperature fino a circa 40-42 °C lo strutto si
presenta pastoso e di colore bianco, a temperature superiori avviene la
fusione. La consistenza dello strutto fuso è oleosa ed appare trasparente alla
vista. Eventuali tonalità tendenti al giallo/beige nel colore dello strutto
possono derivare dalla doratura caratteristica che assume il grasso nella fase
finale della cottura.
Lo strutto si ricava da tutte le parti grasse del
maiale. Il tessuto adiposo suino è a grandi linee di due tipi. C'è il grasso
dorsale e generalmente tutto il grasso sottocutaneo (dunque con cotenna) che
presenta una buona percentuale di tessuto fibroso. Questa parte dorsale del
suino può essere sottoposta a salagione e stagionatura e diventerà poi lardo;
ed analoghe caratteristiche di stagionabilità dopo la salagione sono presenti
anche nella pancetta e nel guanciale.
C'è poi un tessuto adiposo surrenale, interno
quindi, che non presenta cotenna, poverissimo di tessuto fibroso e con
pochissima consistenza, chiamato più propriamente sugna (assunza in sardo,
'nzogna in napoletano, saìmi in siciliano e calabrese, sunza in ferrarese e in
alcuni dialetti lombardi, toscani e calabresi, sonza nel dialetto trentino e
triestino, assogna e simili nei dialetti abruzzesi).
Questo grasso può essere mescolato con quello più
consistente per l'estrazione dello strutto, oppure può essere macinato ed
adeguatamente mescolato con sale, pepe e talvolta con farine fini di cereali
per un suo impiego nella stagionatura dei prosciutti.
La sugnatura infatti è un procedimento con
il quale, durante la stagionatura del prosciutto, si ricopre a mano la sua
parte magra esposta all'aria, al fine di rallentare l'essiccazione e conferire
nel contempo alla carne superficiale, a contatto con la sugna, un grado di
essiccazione omogeneo a quella più interna del prosciutto.
Questo
accorgimento comporta una migliore qualità del prosciutto che, al taglio,
presenta una fetta avente morbidezza omogenea in tutta la sua superficie. Tale
operazione previene inoltre screpolature del muscolo, che porterebbero il
prosciutto sia ad un irrancidimento precoce per il contatto con l'aria, sia
all'eventuale entrata nella carne di parassiti che minerebbero le condizioni
igieniche e di conservazione del prosciutto durante la stagionatura. Una volta
si usava anche per impermeabilizzare e rendere più morbido il cuoio degli
scarponi.
L'estrazione e l'utilizzo dello strutto in campo
alimentare furono ideati dagli spagnoli durante la loro dominazione in Sicilia.
Gli spagnoli lo chiamavano saim; il nome divenne col tempo saìmi,
e rimane tuttora in dialetto palermitano. A quell'epoca, lo strutto veniva
prodotto in grandi quantità nel mattatoio di Palermo ed era destinato non
soltanto al mercato locale, ma veniva esportato in tutti i paesi sotto la
dominazione spagnola.
Dopo avere rimosso la cotenna dal grasso è
sufficiente tagliarlo a pezzetti, insieme alla sugna ed agli altri ritagli di
grasso di recupero dal maiale. I pezzettini di grasso vengono poi messi a
cuocere a fuoco lento così da fondere il grasso e consentire l'evaporazione
della poca acqua contenuto.
Durante la cottura, per effetto del calore, i
pezzetti di grasso rilasciano lo strutto, che viene di norma progressivamente
rimosso e deposto ancora caldo nei contenitori che serviranno per la sua
conservazione. Quando, dopo alcune ore, i pezzettini di grasso hanno acquistato
colore, vengono levati dallo strutto fuso, conditi con sale ed eventualmente
altre spezie o aromi (secondo le tradizioni locali) e quindi spremuti con un
torchio: anche lo strutto colato viene recuperato, ma tenuto separato dal
precedente in quanto già condito. Dopo la cottura e la pressatura, il grasso
del maiale, ormai costituito prevalentemente dalla frazione fibrosa del tessuto
adiposo, prende il nome di ciccioli.
Tra le ricette tradizionali italiane contenenti lo
strutto vi sono: la piadina marchigiana e romagnola, la schiacciatina
mantovana, l'erbazzone reggiano, le crescentine modenesi, le seadas e le
pardulas sarde, le brioches, i cannoli siciliani ed il casatiello e il tarallo
'nzogna e pepe napoletani.
A livello
artigianale si segnala l'utilizzo dello strutto nella produzione della Coppia
Ferrarese - I.G.P., un pane tradizionale di Ferrara prodotto secondo un rigido
disciplinare che ha una consistenza ed una forma caratteristica con una
fragranza tipica.
A livello industriale ed artigianale viene
impiegato per la produzione di prodotti da forno (pane, pizza, taralli ecc.) in
quanto l'impiego dello strutto nell'impasto rende più friabile la massa del glutine
presente nel prodotto, aumenta il volume dell'impasto rallentando le perdita di
umidità e conferisce sapore e fragranza. Nei processi di panificazione, per
questa funzione che lo strutto svolge, talvolta esso fa parte degli ingredienti
che compongono quei prodotti definiti genericamente "miglioratori".
In pasticceria viene usato per dolci locali e
regionali per dare una buona friabilità al prodotto finito o anche per
friggerli, come nel caso della patacia (*).
Si usa ancora nella preparazione artigianale ed industriale delle sfoglie per dolci (paste, creme in primis).
L'elevato punto di fumo (circa 250 °C) lo rende
ideale per la frittura dei cibi, in particolare per gnocco fritto, frappe
(chiacchiere di carnevale) e milza (nel panino con la milza alla palermitana).
Tra gli usi non culinari certamente il più diffuso
era la produzione casalinga di sapone: lo strutto veniva messo a reagire in
giuste proporzioni con soda caustica, talco e pece greca dopodiché il sapone
risultante veniva tagliato in pezzi per l'uso.
In che modo la
composizione in acidi grassi dello strutto (o genericamente della carne di maiale) può incidere
sull'alimentazione e sulla salute dell'uomo?
E' presto detto; la
maggior quantità (sia assoluta, sia in rapporto agli insaturi) di grassi saturi possiede risvolti
positivi e negativi. Un aspetto negativo riguarda l'impatto sullo stato di
salute dell'uomo; l'eccesso di grassi saturi nel tempo, può incrementare la colesterolemia, quindi anche il rischio cardiovascolare. Ciò è vero soprattutto
se l'eccesso di grassi saturi è associato ad una dieta molto ricca di calorie e
ad uno stile di vita sedentario; viceversa, un organismo fisicamente attivo
sottoposto ad un'alimentazione normo calorica o (meglio) lievemente ipocalorica
sembra non risentire negativamente dell'eccesso di grassi saturi.
Un aspetto positivo invece
interessa il "punto di fumo" dello strutto; i grassi saturi sono più
stabili al calore e tendono a conservare meglio la propria integrità
strutturale rispetto agli altri durante la cottura ad alte temperature
(scongiurando la produzione di molecole tossiche). Ciò determina un
miglioramento della qualità organolettica e gustativa dell'alimento che li contiene, oltre
che a una maggior tutela dai cataboliti cancerogeni e/o tossici. Ricordiamo che lo strutto,
essendo privo di antiossidanti, NON è idoneo alla conservazione degli
alimenti
(eccezion fatta per la sugna del prosciutto crudo).
Un ingrediente a lungo demonizzato che è ora di riscoprire: non è vero
che fa così male, e soprattutto dà ottimi risultati in cucina.
Da qualche anno un po’
meno, ma fino a ieri lo strutto
è stato così demonizzato che era quasi scomparso dalla vendita. Una specie di
terrorismo salutista molto diffuso lo dipingeva come il responsabile di
malattie cardiovascolari, a causa della sua capacità di far salire il livello
di colesterolo, preferendogli addirittura certe margarine di pessima qualità
fatte con grassi idrogenati che stanno per fortuna scomparendo.
Ma saranno state tutte
vere le sue qualità negative? Lo strutto è composto per circa 1/3 di grassi
saturi (quelli dannosi per le arterie), 1/3 di grassi monoinsaturi (cioè olio
oleico, l’acido grasso più salutare, quello che caratterizza l’olio d’oliva per
intenderci) e 1/3 di grassi polinsaturi (caratteristici degli oli di semi).
Quindi lo strutto non è un grasso saturo, ma lo è solo per 1/3, molto meno
quindi del burro.
Anche se per secoli è
stato utilizzato quotidianamente, specie nel centro sud, è evidente che per
l’alimentazione quotidiana è meglio preferire l’olio d’oliva. Tuttavia,
impiegato negli impasti con lievito di birra o con pasta madre, permette di
ottenere una lievitazione migliore: lo strutto lega facilmente le maglie del
glutine e quindi trattiene e fa distribuire in maniera ottimale l’anidride
carbonica che è la responsabile della lievitazione.
Rallenta inoltre la perdita
di umidità, conferisce alla pasta una fragranza particolare e l’alveolatura
della mollica risulta più omogenea.
Non solo i lievitati,
anche la pasta frolla per biscotti e pasticcini ottenuta sostituendo il burro
con lo strutto viene fuori particolarmente friabile e profumata. Ed è
impareggiabile per la frittura dei dolci.
Certamente c’è strutto e
strutto e quello molto buono va un po’ cercato, da un amico che ammazza il
maiale o dal macellaio di fiducia che lo sa preparare a partire da un lardo di
qualità.
Ingredienti (per 6 persone)
300 g di farina tipo “00”;
80 g di strutto freddo;
120 g di zucchero;
1 uovo;
1 bustina di lievito per dolci;
1 bustina di vanillina;
3 cucchiai di latte;
Per il ripieno
500 g di ricotta fresca;
100 g di cioccolato fondente;
100 g di zucchero semolato;
1 bustina di vanillina;
3 cucchiai di
latte.
1
– Preparazione.
Tritate a coltello il cioccolato fondente a
piccole scaglie.
In un ciotola di vetro, mettete la farina e
il burro tagliato a pezzetti (burro freddo) ed impastate con le mani,
sbriciolandola con le dita e man mano incorporate i restanti ingredienti
(l’uovo, lo zucchero, la vanillina, il latte e il lievito). Incorporate tutti
gli ingredienti fino a che diventerà di una consistenza ”sbriciolosa”.
In una ciotola, mettete lo zucchero la ricotta la vanillina e i 3 cucchiai di latte (solo nel caso che la crema sia troppo asciutta, altrimenti si può anche evitare).
Foderate il fondo di una tortiera a cerniera con un foglio di carta forno, ed imburrare e infarinare i bordi della tortiera; versate metà dell’impasto “sbricioloso”, cercate di livellare leggermente con le dita il fondo e create un po’ di bordo rialzato.
Aggiungete la crema di ricotta e poi il cioccolato tritato; ricoprite con la seconda metà dell’impasto cercando di non lasciare buchi ma senza compattare.
2 – Cottura.
Infornate in forno preriscaldato a 180° per 40 minuti circa (e comunque sino a quando la superfice della torta sarà ben dorata). Far raffreddare e liberate la torta dallo stampo.
3 - Presentazione.
Porzionare e servire.
Si può conservare in frigo coperta da un foglio di carta alluminio per qualche giorno.
(*) La patacia, anche italianizzata in pataccia, è una frittella dolce tradizionale dell'Alto mantovano, probabilmente diffusa anche nelle zone limitrofe. Attualmente diu desueta consumazione, la patacia rappresenta il dolce povero per antonomasia, cucinato dalle massaie rurali fino alla metà del XX secolo.
Originariamente si trattava di un impasto non lievitato di acqua, latte, farina di grano tenero e sale, cui potevano essere aggiunti vari rimasugli di cucina, quali pezzette di pane, raschiature di polenta o avanzi di minestra.
Formato a disco dell'altezza di circa 1 centimetro e del diametro pari al fondo della padella in cui si cuoce, viene fritto in strutto e spolverato superficialmente con zucchero.
A partire dal dopoguerra, l'impasto della patacia è stato nobilitato dall'aggiunta di uova e di uvetta passa e viene fritto in olio al posto dello strutto.
La patacia è ormai scomparsa dalla dieta abituale, ma ne sopravvive il consumo saltuario, soprattutto in occasione di feste locali rievocative delle tradizioni.
In una ciotola, mettete lo zucchero la ricotta la vanillina e i 3 cucchiai di latte (solo nel caso che la crema sia troppo asciutta, altrimenti si può anche evitare).
Foderate il fondo di una tortiera a cerniera con un foglio di carta forno, ed imburrare e infarinare i bordi della tortiera; versate metà dell’impasto “sbricioloso”, cercate di livellare leggermente con le dita il fondo e create un po’ di bordo rialzato.
Aggiungete la crema di ricotta e poi il cioccolato tritato; ricoprite con la seconda metà dell’impasto cercando di non lasciare buchi ma senza compattare.
2 – Cottura.
Infornate in forno preriscaldato a 180° per 40 minuti circa (e comunque sino a quando la superfice della torta sarà ben dorata). Far raffreddare e liberate la torta dallo stampo.
3 - Presentazione.
Porzionare e servire.
Si può conservare in frigo coperta da un foglio di carta alluminio per qualche giorno.
(*) La patacia, anche italianizzata in pataccia, è una frittella dolce tradizionale dell'Alto mantovano, probabilmente diffusa anche nelle zone limitrofe. Attualmente diu desueta consumazione, la patacia rappresenta il dolce povero per antonomasia, cucinato dalle massaie rurali fino alla metà del XX secolo.
Originariamente si trattava di un impasto non lievitato di acqua, latte, farina di grano tenero e sale, cui potevano essere aggiunti vari rimasugli di cucina, quali pezzette di pane, raschiature di polenta o avanzi di minestra.
Formato a disco dell'altezza di circa 1 centimetro e del diametro pari al fondo della padella in cui si cuoce, viene fritto in strutto e spolverato superficialmente con zucchero.
A partire dal dopoguerra, l'impasto della patacia è stato nobilitato dall'aggiunta di uova e di uvetta passa e viene fritto in olio al posto dello strutto.
La patacia è ormai scomparsa dalla dieta abituale, ma ne sopravvive il consumo saltuario, soprattutto in occasione di feste locali rievocative delle tradizioni.
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