La polenta è stata, per secoli, uno dei piatti
alla base dell’alimentazione contadina (e non solo) per il suo basso costo ma,
soprattutto, per la sensazione di sazietà che dava dopo averla consumata.
In passato tra
alcune popolazioni povere (Sudamerica, Italia del Nord-est, bassa Padana) che
si nutrivano quasi esclusivamente di polenta senza l'apporto di altri elementi,
come le vitamine, si verificarono molti casi di pellagra. Questa malattia
deriva infatti dall'assenza totale di vitamine e da un'alimentazione
poverissima di proteine.
Alimento molto diffuso,in particolare al nord,
veniva e viene tuttora preparata in diverso modo nelle varie regioni:
arricchita, condita, accompagnata con gli ingredienti tipici delle varie zone.
La polenta
taragna.
La prima coltivazione di mais a Lovere, in Val
Camonica secondo la tradizione locale, giunse con l'importazione di 4 chicchi
di granoturco dalle Americhe da parte di Pietro Gajoncelli nel 1658.
La polenta
taragna, in molte zone conosciuta come taragna, è una ricetta tipica della cucina valtellinese, camuna e delle valli bresciane bergamasche. Il suo nome deriva dal tarai ("tarel"),
un lungo bastone usato per mescolarla all'interno del paiolo di rame in cui veniva preparata.
Come altre polente della montagna lombarda (ad esempio la pulénta vüncia, polenta uncia
cioè unta), è preparata con una miscela contenente farina di grano saraceno, che le conferisce il tipico colore scuro,
diversamente dalle preparazioni di altre regioni, che utilizzano un solo tipo
di farina, ottenendo quindi una polenta gialla. A differenza dell'oncia, nella polenta taragna il formaggio viene incorporato durante la cottura.
Il
grano saraceno (Fagopyrum
esculentum) è una pianta a fiore appartenente alla
famiglia delle Polygonaceae. Il nome scientifico, Fagopyrum deriva dalla combinazione del latino fagus (con il faggio ha in comune la forma assai
caratteristica dei semi triangolari) e gal greco piròs
(come dai semi del frumento anche dai semi del grano
saraceno si ricava una farina). A causa delle sue caratteristiche nutrizionali
e dell’impiego alimentare, questo vegetale viene
spesso collocato commercialmente, tra i cereali, nonostante tale
classificazione sia scientificamente impropria, non appartenendo il grano
saraceno alla famiglia delle Graminacee.
E’ una pianta spontanea nelle zone
della Siberia e della Manciuria. La coltura si è propagata in Cina nel X secolo
e in Occidente durante il Medioevo. Ci sono diverse fonti di pensiero sul modo
in cui è avvenuta la sua propagazione, ma fra tutte due risultano
le più accreditate. Secondo il primo filone, i Turchi avrebbero introdotto la
pianta in Grecia e nelle penisola balcanica, e da
questo deriverebbe il nome grano saraceno, ossia grano dei turchi o dei
saraceni. La seconda teoria sostiene che la diffusione sia avvenuta attraverso
l’Asia e l’Europa del Nord ad opera delle migrazioni
dei popoli mongoli che, dalla Russia meridionale, portarono il grano fino alla
Polonia e alla Germania, da dove si sarebbe diffuso nel resto d’Europa. E’
probabile che entrambe le tesi siano valide e che la propagazione sia avvenuta
contemporaneamente sia da Nord che da Sud.
Il grano saraceno sopporta male il freddo, e pertanto esige di
essere coltivato nella stagione primaverile – estiva durante la quale esso
riesce a svolgere rapidamente il proprio ciclo biologico. Per quanto nei paesi
del Nord Europa questa pianta compaia come coltura
principale, in Italia rappresenta soprattutto una coltura intercalare praticata
dopo un cereale autunno‐invernale,
come per esempio la segale o più raramente il frumento.
I semi
triangolari vengono utilizzati come foraggio per
animali d’allevamento, o macinati e ridotti in farina per uso alimentare. Le
piante intere vengono anch’esse impiegate dagli allevatori come foraggio o
lettiera per il bestiame. Inoltre, dai fiori del grano saraceno le api
ottengono un miele scuro e molto saporito.
Il grano
saraceno si distingue dai comuni cereali per l’elevato valore biologico delle
sue proteine, che contengono gli otto aminoacidi essenziali in proporzione
ottimale, mentre i “cereali veri” (il grano saraceno, a dispetto del nome, non
è un cereale) contengono poca lisina. Rispetto alla farina di frumento, quella
di grano saraceno è priva di glutine ed è quindi adatta per i soggetti celiaci.
Il grano saraceno è una buona fonte di fibre e di minerali, soprattutto
manganese e magnesio.
Da tutto
questo è evidente che il grano saraceno è nostro cibo da molto più tempo che il
grano turco e che la polenta di grano saraceno veniva fatta molto prima che non
la polenta normale.
La polenta uncia viene cucinata nelle zone del lago di Como. Dopo
aver preparato la polenta con un misto di farina di mais e grano saraceno nel paiolo,
la si mischia ad un soffritto di abbondante burro, aglio e salvia con del
formaggio tipico semüda
o un semigrasso d'alpeggio fino ad ottenere un composto omogeneo.
La polenta concia è uno dei più noti piatti
tipici valdostani e biellesi. Molto indicata per riempire e scaldare nelle
giornate fredde, è conosciuta anche come "polenta grassa". Alla
farina di mais viene aggiunto formaggio fuso d'Alpeggio. Solitamente la concia
ha poca consistenza, cioè è più liquida; non ha una ricetta rigida, ma viene
tendenzialmente preparata fondendo, a fine cottura, dei cubetti di Fontina e/o
toma e/o latte e/o burro.
Nella variante valdostana, quasi a fine cottura
vengono versati nel paiolo: Fontina, Toma valdostana e burro.
Nella variante biellese, il burro viene aggiunto
nel paiolo, insieme alla toma o al Maccagno. Dal paiolo la polenta concia si
versa nel piatto a mestolate, aggiungendovi poi sopra abbondante burro fuso.
Nel
Piacentino la pulëinta consa consiste di strati sottili di polenta
ricoperti di sugo e alternati con un'abbondante spolverata di Grana Padano.
La polenta con i ciccioli è una ricetta diffusa
nella maggior parte dell'Italia settentrionale, assumendo diverse
denominazioni. I modi di cucinare la polenta con i ciccioli sono
sostanzialmente due. Nel primo, i ciccioli vengono cotti con la polenta,
aggiungendoli all'impasto in differenti fasi della cottura, in ossequio alla
specifica tradizione locale, come nel caso della pulëinta e graséi
consumata nel Piacentino. Nel secondo modo, il più diffuso, i ciccioli vengono
inseriti successivamente in una fetta di polenta abbrustolita, come nel caso
della pulenta e grepule, tipica del Mantovano.
La
polenta carbonera è un piatto della antica tradizione trentina della Valle del Chiese, che deriva dalla
necessità dei contadini montani di consumare gli avanzi del formaggio,
accompagnandoli appunto con della polenta. La particolarità e gustosità di
questa polenta deriva dall'utilizzo del grano
marano di Storo, che cresce nella Valle del Chiese e che viene ancora
oggi messo ad essiccare all’aria sui ballatoi di legno: la
sua granella rossastra e la presenza significativa di proteine e di amidi lo
rendono assolutamente unico ed ideale per preparare una polenta morbida e
fragrante.
La
polenta carbonera è un piatto ricco,
saporito, a base di salamella e formaggi di malga, che diventa una vera e
propria squisitezza solo se si usa del formaggio
tipico del Trentino come la spressa, che è originaria di Roncone ed ha
un colore giallo intenso, un profumo particolare e una pasta magra e saporita.
Si
accompagna bene a delle succulente salamelle
o ad una minestra di cavoli, in abbinamento ad un buon vino rosso
Nella realizzazione di questi crostini si parte,
come descritto nella ricetta, con la preparazione della
polenta; nel mio caso ho utilizzato della polenta avanzata qualche giorno fa e
conservata in frigorifero.
Ingredienti per 5-6 persone (circa 20 crostini).
250 g di farina per polenta;
250 g di fagioli cannellini
in scatola;
½
litro di acqua;
½ litro latte intero;
2 cucchiai di olio di oliva;
1 cucchiaio di prezzemolo
tritato;
1 pizzico di aglio in
polvere
Sale e pepe q.b.
1
– Preparazione.
Frullate
parte dei fagioli con un cucchiaio o due di acqua; lasciate il resto dei fagioli
interi per completare i crostini.
Trasferite la crema ottenuta in una ciotola e
condite con il sale, l’olio, il pepe, l’aglio in polvere e un poco di
prezzemolo tritato.
2
– Cottura.
In una
casseruola, far bollire l'acqua insieme con il latte con poco sale grosso;
versarvi la farina per polenta, tutta in una volta, mescolando subito per
evitare il formarsi di grumi; abbassate a fiamma e quindi cuocere per circa 30-40
minuti mescolando ogni tanto. A fine cottura (La polenta sarà cotta quando
tenderà a staccarsi da sola dai bordi della casseruola).
Aggiungere un cucchiaio
di olio EVO, quindi trasferite la polenta in un contenitore di forma quadrata e
livellate bene con una spatola umida.
Volendo è
possibile preparare questi crostini utilizzando la polenta a cottura rapida
(circa 8 min).
Coprire con un foglio
di pellicola, per evitare che si formi la pellicina, e lasciarla raffreddare. Quando si sarà completamente
solidificata ricavate delle strisce larghe circa 5 cm.
Ricavate da ogni striscia tanti quadrati,
grigliateli da entrambi i lati su una piastra già rovente.
3
- Presentazione.
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