L'ossobuco (oss bus)
è un taglio di carne di bovino, da cui deriva un tipico piatto della cucina
milanese.
Vi sono vari modi di prepararlo. Può essere servito come seconda portata, ma può anche accompagnare il risotto allo zafferano.
Nelle ricette tradizionali gli ossibuchi appena rosolati sono irrorati di vino che viene quindi fatto evaporare. Quindi sono conditi con sale e pepe e fatti cuocere a fiamma bassa nella pentola coperta. Devono essere girati a intervalli regolari e bagnati con brodo quando basta per non tenerli secchi. Questa è la tecnica originale italiana chiamata “arrosto morto” che poi è simile a quella del brasato (“neppure un raffinato gesuita è in grado di distinguere un arrosto morto da un brasato”, scrive Allan Bay). Negli ultimi decenni questa tecnica è stata sostituita da una molto comune nella cucina francese: dopo l’evaporazione del vino gli ossibuchi sono coperti dal brodo di vitello e messi nel forno caldo a brasare. Questa tecnica per cuocere gli ossibuchi inizia ad apparire nei ricettari – come negli “Essentials” di Marcela Hazan - a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.
Vi sono vari modi di prepararlo. Può essere servito come seconda portata, ma può anche accompagnare il risotto allo zafferano.
Ossobuco con tutte le sue
erronee varianti (osobuco, ossobucco, osso bucco, etc.) è una delle parole
italiane più conosciute nel mondo. Non per caso, in solo 0,26 secondi Google in
inglese può arrivare a dare quasi due milioni di risultati con questo nome. Il
significato della parola sarebbe osso cavo e in termini culinari si riferisce
generalmente al piatto conosciuto come ossobuco in gremolata alla milanese. Il
suo ingrediente principale è lo stinco di vitello e specificamente la parte
centrale di quello posteriore che ha abbastanza carne tenera attorno all’osso, cosa
che quello anteriore non ha. La sua popolarità fa dell’ossobuco uno dei piatti
più taroccati della cucina italiana tradizionale nel mondo: Per questa ragione
è stato proclamato piatto ufficiale della quinta edizione della IDIC –
International Day of Italian Cuisines 2012, la cui missione è proteggere e
promuovere l’autenticità e la qualità della cucina italiana. Il piatto è uscito
dall’Italia con gli emigranti, possibilmente ma non necessariamente, con quelli
della regione Lombardia. La sua ricetta divenne conosciuta in tutta Italia a partire
dalla fine del XIX secolo. Tra le possibili ragioni della sua popolarità c’è sicuramente
il suo basso costo e la relativa facilità della sua preparazione.
Il basso costo non
significa necessariamente che era un piatto per i poveri: era semplicemente un
piatto ideale per le famiglie. Servito con risotto o polenta, l’ossobuco era ed
è un delizioso e soddisfacente pasto.
Era originariamente un
piatto stagionale, da cucinare in inverno, sulle cucine a legna o a carbone,
che nel passato avevano anche la funzione di riscaldare le case. Il profilo
familiare dell’ossobuco fu la ragione del suo successo nei ristoranti italiani
aperti dagli emigrati in giro per il mondo, tutti basati su una generosa cucina
casalinga.
In ogni caso, un contributo
notevole alla popolarità dell’ossobuco nel mondo venne dalla sua inclusione in
famosi ricettari pubblicati al di fuori dell’Italia.
Milano reclama di essere la
città dove l’ossobuco è nato. Il suo Consiglio Comunale, nel 2007, dichiarò
solennemente l’ oss (o òs) buss, ossobuco in vernacolo milanese, parte delle
De.Co., Denominazioni Comunali, che sono un riconoscimento pubblico
dell’origine di un prodotto e della sua appartenenza a un territorio. Non c’è
dubbio che l’Ossobuco è originario della Regione Lombardia. Nessuno però può
dire a quando risale la sua nascita. L’uso delle ossa con midollo e degli
stinchi di vitello era comune nella cucina del Medio Evo, ma non ci sono prove
della esistenza del piatto a quei tempi.
Se si prende in considerazione
la Gremolata a base di buccia di limone che accompagna il piatto si può
presumere che il piatto era già fatto nel XVIII secolo. Secondo gli storici
della cucina fu nel periodo della rivoluzione Illuminista che il limone – in questo
caso la buccia – sostituì più costose spezie, quali i chiodi di garofano, la
cannella e la noce moscata.
In quel periodo e in precedenza,
inoltre, il piatto non includeva pomodori, che iniziarono a essere usati alla
fine del XVIII secolo. Alcuni autori credono che l’ossobuco ha una storia molto
recente, anche perché non appare in libri popolari del XIX secolo, come “La vera cucina lombarda” pubblicata da
un anonimo nel 1890. Siccome questo libro era diretto principalmente alle donne
di casa, l’autore Americano Clifford Wright ritiene che l’ossobuco sia un
piatto nato in un contesto di HoReCa, ovvero in qualche osteria.
La sua tesi però è debole
perche fin dal 1891 la ricetta dell’ossobuco alla milanese fu inclusa nella
Scienza in Cucina e l’arte del mangiare bene di Pellegrino Artusi. Lo scrittore
di origini romagnole incluse nella sua raccolta di ricette di cucina nazionale
solo quelle più famose, note e radicate da lungo tempo.
L’Artusi, nel suo libro,
descrive la ricetta (n° 358) nel seguente modo:
“Questo è un piatto che
bisogna lasciarlo fare ai Milanesi, essendo una specialità della cucina lombarda.
intendo quindi descriverlo senza pretensione alcuna, nel timore di essere
canzonato.
È l'osso buco un pezzo d'osso muscoloso e
bucato dell'estremità della coscia o della spalla della vitella di latte, il
quale si cuoce in umido in modo che riesca delicato e gustoso. Mettetene al fuoco
tanti pezzi quante sono le persone che dovranno mangiarlo, sopra a un battuto
crudo e tritato di cipolla, sedano, carota e un pezzo di burro; conditelo con
sale e pepe. Quando avrà preso sapore aggiungete un altro pezzetto di burro
intriso nella farina per dargli colore e per legare il sugo e tiratelo a
cottura con acqua e sugo di pomodoro o conserva. Il sugo passatelo, digrassatelo
e rimesso al fuoco, dategli odore con buccia di limone tagliata a pezzettini,
unendovi un pizzico di prezzemolo tritato prima di levarlo dal fuoco”.
Come per molti altri piatti
tradizionali italiani non c’è una sola maniera di fare un autentico ossobuco
alla milanese; le variazioni sono parte del concetto di autenticità della cucina
tradizionale italiana che può essere definita in molti casi più da quello che sicuramente
non si può o deve fare, che da quello che è consentito.
La ricetta classica
dell’ossobuco che appare in molti libri di cucina, compresa “La cucina lombarda” di Alessandro Molinari
Pradelli e in “Cuochi si diventa” di
Allan Bay, parte da un semplice soffritto di cipolla tritata appassita in burro
o in olio e burro. Gli ossibuchi leggermente infarinati, sono quindi rosolati
adeguatamente in entrambi i lati nella stessa casseruola, con la cipolla (o senza,
per non correre il rischio di bruciarla). Quindi dovrebbe essere aggiunto il
vino bianco e la cottura dovrebbe continuare con la fiamma abbassata e la
pentola incoperchiata.
In altre ricette, come
quella che pubblica Artusi e quella di Marcella Hazan in Essentials of Italian
Cooking, carota e sedano tritato vengono uniti alla cipolla per fare il
classico soffritto all’italiana, che è raccomandato anche bella ricetta di
Mario Caramella. Anna Gosetti della Salda in “Le ricette regionali italiane”, include un solo spicchio d’aglio da
rosolare nel burro e rimuovere prima di aggiungere gli ossibuchi al soffritto
che, secondo altre ricette, deve contenere anche prosciutto o pancetta.
L’infarinatura della, una
maniera per intenerire la carne nel passato, appare solo in alcune ricette e
sicuramente non in quella di Artusi o della Hazan.
Nelle ricette tradizionali gli ossibuchi appena rosolati sono irrorati di vino che viene quindi fatto evaporare. Quindi sono conditi con sale e pepe e fatti cuocere a fiamma bassa nella pentola coperta. Devono essere girati a intervalli regolari e bagnati con brodo quando basta per non tenerli secchi. Questa è la tecnica originale italiana chiamata “arrosto morto” che poi è simile a quella del brasato (“neppure un raffinato gesuita è in grado di distinguere un arrosto morto da un brasato”, scrive Allan Bay). Negli ultimi decenni questa tecnica è stata sostituita da una molto comune nella cucina francese: dopo l’evaporazione del vino gli ossibuchi sono coperti dal brodo di vitello e messi nel forno caldo a brasare. Questa tecnica per cuocere gli ossibuchi inizia ad apparire nei ricettari – come negli “Essentials” di Marcela Hazan - a partire dagli anni Settanta del secolo scorso.
La gremolata (‘gremolada’ or ‘cremolata’),
nella sua tradizionale versione base è preparata con prezzemolo, aglio e buccia
di limone tritati insieme. La parola gremolata viene dal milanese “gremolà”, ridurre
in grani, ed era usata nel passato anche per insaporire le scaloppine e piatti
a base di coniglio. Viene aggiunta all’Ossobuco solo alla fine, prima che si
mandi in tavola. A volte la gremolata contiene rosmarino o salvia, o
addirittura acciughe, come nella ricetta che Ada Boni pubblica ne “Il talismano
della felicità”.
Gli ossibuchi devono cuocere fino a che la carne
si stacca dall’osso e può essere tagliata con la sola forchetta. Gli stinchi
devono essere di vitelli di latte per ottenere la tenerezza dovuta. La carne dovrebbe
essere “tenera come le cosce di un angelo/che ha vissuto un’esistenza in
volo”, ha scritto il poeta americano Billy Collins nel suo poema “Osso Buco”
(“qualcosa che non si sente molto in poesia,/quel santuario di fame e
privazioni”). La tenerezza e la succulenza sono le caratteristiche dei migliori
ossobuco. Il midollo infine è una leccornia e tradizionalmente era mangiato con
l’aiuto di un cucchiaino lungo che si chiama “esattore”. Come si è detto
l’ossobuco si mangia con il risotto o con la polenta, o accompagnato da pane
dalla crosta croccante. Una cosa è certa, dopo averlo mangiato, deve generare quella
sensazione che Collins descrive come “il leone dell’appagamento” che piazza
“una calorosa pesante zampata” sul petto di chi ha appena cenato con ossobuco.
Nel mio precedente post del 24/08/2012 “Risotto
alla milanese” affermavo che gli ossibuchi con il riso allo zafferano
rappresenta un classico della cucina tradizionale Milanese; nello stesso post
(riguardante solo il risotto) rimandavo ad un periodo più “fresco” la
descrizione del piatto nella sua completezza; il periodo è arrivato.
Ingredienti
(per 4 persone)
Per gli ossibuchi:
4 ossibuchi di vitello (circa 800 g);
40 g di burro;
5 cucchiai di olio EVO;
½ bicchiere di vino bianco secco;
½ cipolla;
1 carota piccola;
1 Cucchiaio di concentrato di pomodoro;
Brodo di carne (o di dado) q.b.
Sale e pepe q.b.
Per la gramolata:
Buccia di ½ limone BIO (solo parte gialla);
3
filetti di acciuga dissalata e diliscata;
1
mazzetto di prezzemolo.
1
– Preparazione.
Tritare finemente la cipolla e la carota.
Preparare la gramolata tritando finemente la
buccia del limone, il prezzemolo e i filetti d’acciuga.
Infarinate quattro ossibuchi, alti almeno un paio
di dita, dopo aver inciso in tre o quattro punti la pellicola che li circonda.
2
– Cottura.
Fate sudare in una pentola bassa e larga a fondo
spesso la cipolla e la carota (la carota è opzionale) nel burro e olio (non
"burro O olio", ma "burro E olio").
Togliere la cipolla (e la carota), metterle in un
piattino, e fate rosolare gli ossi buchi prima da un lato e poi dall'altro.
Bagnate con il vino bianco, aggiungendo poi sale,
pepe, 1 cucchiaio di concentrato di pomodoro e infine la cipolla (e la carota)
già stufate.
Abbassate il fuoco al minimo, coprite, muovendo
spesso gli ossibuchi perché non si attacchino e grattando dolcemente il fondo
della pentola con una spatola di legno.
Lasciate cuocere un'ora e mezza; eventualmente
aggiungete qualche cucchiaio di brodo.
3
- Presentazione.
Unite la gremolada, un mezzo mestolino di brodo,
girate gli ossi buchi da entrambi i lati... tre minuti e sono pronti.
Accompagnare con il “risotto giallo” preparato
secondo la seguente
ricetta.
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