Con il passare del tempo, coltivando la passione
per la cucina, mi sono reso conto che conoscere gli ingredienti che lavoravo
per la preparazione di un piatto (storia, provenienza, proprietà, ecc.) era
molto importante: un piatto era il risultato di estro e fantasia ma, molto spesso,
la necessità di soddisfare un bisogno, colmare una mancanza, di legami con la
storia, le tradizioni, ecc.
Questo è il motivo che, da oltre un anno, mi ha
portato a mettere nei post che pubblico il risultati di una serie di ricerche
sugli ingredienti impiegati, sulla storia del piatto nel tempo e la sua
evoluzione, ecc.
L’orzo
comune (o orzo coltivato, o semplicemente orzo, per antonomasia) è tra le specie
del genere Hordeum, quella economicamente
più importante, da cui si ricava l'orzo alimentare da cui dipende una
considerevole parte dell'alimentazione mondiale.
L’orzo coltivato deriva dall’orzo selvatico Hordeum
spontaneum, con il quale conserva una grande affinità, tanto che alcuni studiosi
li considerano un’unica specie in quanto interfertili.
L’area di origine delle forme ancestrali può essere individuata nel Vicino Oriente, più precisamente nell’area compresa nelle attuali Israele, Giordania, Siria e nella parte sud dell’Anatolia. Secondo altre fonti invece, l’ancestrale selvatico è originario del Tibet. Tutt’ora in Etiopia e i Tibet si trovano molte specie spontanee. Le forme a cariosside nuda, che perdono facilmente le glumette a maturazione, sembrano invece essere originarie della Cina.
L’area di origine delle forme ancestrali può essere individuata nel Vicino Oriente, più precisamente nell’area compresa nelle attuali Israele, Giordania, Siria e nella parte sud dell’Anatolia. Secondo altre fonti invece, l’ancestrale selvatico è originario del Tibet. Tutt’ora in Etiopia e i Tibet si trovano molte specie spontanee. Le forme a cariosside nuda, che perdono facilmente le glumette a maturazione, sembrano invece essere originarie della Cina.
Si tratta con molta probabilità del cereale che
per primo sia stato coltivato dall'uomo: le testimonianze più antiche di
coltivazione risalgono al 10.500 a.C., nel Neolitico. Sicuramente tipi
polistici erano coltivati in Mesopotamia nel 7.000 a.C. mentre nel 5000 a.C.
l’orzo era diffuso in Europa centrale e in Egitto, dove già nel 3000 a.C.
avveniva la trasformazione in birra. Intorno al 1000 a.C. aveva raggiunto la
Corea. Fino al XV secolo era tra i cerali più diffusi per la panificazione.
L'orzo è una pianta erbacea annuale, che a
maturità può raggiungere un'altezza di 60-120 cm, a seconda delle cultivar.
L’apparato radicale è fascicolato, formato da
radici seminali (radici primarie) che si sviluppano alla germinazione del seme
e radici avventizie derivanti dai culmi di accestimento che si formano dalla
base del fusto nella zona detta corona. In terreni idonei può raggiungere,
nella pianta, adulta la profondità di 2 metri.
Il culmo (fusto delle graminacee) è cilindrico,
suddiviso in 5-8 internodi cavi, separati da setti trasversali ai nodi. Gli
internodi basali sono generalmente più corti. Grazie all’accestimento da ogni
culmo si originano, mediamente, 2-3 culmi secondari, numero che può aumentare
se si innalza la spaziatura alla semina, riducendo così il numero di piante a metro
quadrato.
La pagina inferiore della lamina fogliare è
liscia, mentre in quella superiore sono presenti scanalature in cui sono
presenti cellule epidermiche igroscopiche.
L'infiorescenza
è una spiga composta caratterizzata da rachide breve, a zig-zag, ai cui nodi
(in numero variabile da 10 a 30) sono inseriti tre spighette uniflore.
Il fiore, ermafrodita e l'impollinazione è
anemofila.
Il frutto è una cariosside con pericarpo aderente
al seme. e un solco ventrale che può essere più o meno marcato a seconda delle
varietà. Il colore è generalmente giallognolo anche se alcune cultivar
presentano cariossidi biancastre o addirittura rossastre o nere. Le dimensioni
sono variabili da 8 a 12 mm in lunghezza e 3- 4mm in larghezza, il peso di 1000
semi “vestiti” varia da 25 a 55 g.
Il ciclo vegetativo è simile a quello del grano
tenero; dal seme fuoriesce prima la radichetta e poi la piumetta; contemporaneamente
si ha la formazione della parte epigea con l’emissione delle foglie di origine
seminale.
L'accestimento è maggiore rispetto al frumento e
può contribuire a sopperire ad eventuali fallanze di semina Durante la levata
si ha la crescita in altezza della pianta. In questa fase l’orzo assorbe il 70%
dei nutrienti richiesti durante l’intero ciclo. Nella fase di viraggio si ha la
differenziazione degli organi riproduttivi e l'arresto della crescita in
altezza della pianta
Nel Nord Italia la fioritura comincia a fine
aprile, con l’innalzamento delle temperature; le prime a fiorire sono le
spighette centrali generalmente quando la spiga è ancora avvolta da un’ultima
foglia (fase di botticella) e gli stami non sono ancora fuoriusciti.
Successivamente alla fioritura la cariosside
continua a crescere per un periodo di 20 – 40 giorni. La maturazione,
nell'Italia settentrionale viene raggiunta prima dei caldi estivi.
Circa tre
settimane dopo l'inizio della spigatura il portamento della spiga può essere
eretto o reclinato, ma a maturazione sarà quasi sempre reclinato.
Rispetto agli altri cereali autunno-vernini come ad esempio il frumento, l’orzo presenta una buona resistenza alla siccità e può sopportare temperature di 38 °C se l’umidità ambientale non è troppo elevata. Più problematiche sono le condizioni caldo-umide che favoriscono varie malattie fungine. Per quanto riguarda l’altitudine può essere coltivato dal livello del mare fino ai 4500 m delle Ande o dell’Himalaya; alle alte latitudini riesce a maturare nelle brevi estati di quelle zone. Resiste molto bene alla salinità del suolo, tollera il freddo anche se in misura minore rispetto ad altri cereali vernini quali il frumento e la segale.
L’orzo germina ad una temperatura minima di 5 °C,
la temperatura ottimale per la crescita è di 15 °C, mentre 17–18 °C sono idonei
per la fioritura. Nel periodo invernale, con una coltre nevosa che protegge da
deleteri sbalzi termici, può sopportare anche temperature di –20 °C.
Con temperature primaverili superiori ai 20 °C e in assenza di precipitazioni si osserva un significativo accorciamento del ciclo colturale. L’accestimento è favorito da temperature basse e fotoperiodo breve. Ha una bassa capacità di competere per la luce, è quindi sconsigliabile la consociazione con colture arboree. I terreni più adatti risultano essere quelli di medio impasto, ben drenati, con pH compreso tra 7 e 8. È preferibile che i terreni siano ben dotati in fosforo e potassio, mentre un eccesso di azoto favorisce una produzione eccessiva di paglia a scapito della granella e favorisce l'allettamento.
Con temperature primaverili superiori ai 20 °C e in assenza di precipitazioni si osserva un significativo accorciamento del ciclo colturale. L’accestimento è favorito da temperature basse e fotoperiodo breve. Ha una bassa capacità di competere per la luce, è quindi sconsigliabile la consociazione con colture arboree. I terreni più adatti risultano essere quelli di medio impasto, ben drenati, con pH compreso tra 7 e 8. È preferibile che i terreni siano ben dotati in fosforo e potassio, mentre un eccesso di azoto favorisce una produzione eccessiva di paglia a scapito della granella e favorisce l'allettamento.
La sensibilità allo stress idrico è diversa a
seconda della fase del ciclo della coltura; nelle prime fasi viene ridotto
l’accestimento e lo sviluppo radicale. Più grave se lo stress idrico si
verifica durante le fasi di levata o di spigatura (indicativamente 2 settimane
prima e 2 settimane dopo la fioritura), nelle quali causa mortalità dei culmi
di accestimento, sterilità delle spighe e dimensioni ridotte delle cariossidi.
L’azione concomitante di carenza idrica e vento caldo secco provocano il
fenomeno della “stretta“ con cariossidi piccole e striminzite. L’eccesso idrico
è altrettanto pericoloso: provoca asfissia radicale ed eccessivo sviluppo della
vegetazione con rischi maggiori di allettamento (consiste nel ripiegamento fino
a terra di piante erbacee, per l'azione del vento o della pioggia).
Le prime
attività di miglioramento genetico in Italia si attestano attorno all’inizio
del ‘900 con la costituzione da parte di Strampelli delle varietà polistiche
Raineri e Maraini, produttive e resistenti alla siccità. Sempre Strampelli
seleziona varietà resistenti al freddo (Sirente e Valle Olina) e varietà
precoci (Leonessa). Allo stesso periodo risalgono i lavori di miglioramento da
parte di Todaro.
Attualmente, i principali obiettivi del
miglioramento genetico sono rappresentati da incremento di produzione,
resistenza all'allettamento, alle fitopatie e al freddo. Inoltre viene tenuto
in debita considerazione l’impiego della granella: per uso zootecnico si mira
ad un innalzamento del tenore proteico della cariosside, mentre per la
produzione di malto è richiesto un basso contenuto in azoto, un elevato peso
della cariosside e un’elevata resa in malto.
Le varietà di orzo da erbaio, impiegate per
l’alimentazione animale come foraggio, devono presentare ariste lisce, per
evitare irritazioni agli animali alimentati.
Per limitare il fenomeno dell’allettamento a cui
l’orzo è particolarmente soggetto, molto grave alla raccolta in quanto la rende
difficoltosa e aumenta le perdite di prodotto sono state sviluppate varietà a
taglia bassa e culmo più resistente.
Le migliori produzioni si ottengono seminando
l’orzo dopo le cosiddette colture da rinnovo (bietola, patata, pomodoro, mais).
Da un punto di vista agronomico si inserisce egregiamente in una rotazione data
la sua rusticità, inoltre se raccolto per la produzione di insilato è possibile
procedere con la semina di mais o soia in secondo raccolto. Al nord Italia una
tipica rotazione è costituita da orzo–mais–orzo. Per la produzione di malto è
sconsigliabile far seguire l’orzo ad una leguminosa, in quanto l’arricchimento
in azoto causato da quest’ultima provocherebbe un eccessivo contenuto proteico
nella granella. Negli orzi polistici un eccesso di azoto può favorire
l’allettamento. Sopporta meglio del frumento la mono successione per una minore
insorgenza di mal del piede, anche se può aumentare l’insorgenza del virus del
mosaico giallo trasmesso dal fungo Polimixia graminis. La monosuccessione è comunque sconsigliata
anche per i maggiori problemi di lotta alle malerbe. In ambienti fertili l’orzo
può essere seguito da pomodoro, bietola o medica, se la zona è carente d’acqua
può essere alternato al maggese (parte di un campo lasciato a
riposo o a pascolo, senza alcuna coltivazione).
La data di semina varia in relazione all’andamento
meteorologico del singolo anno oltre che in base alle caratteristiche
pedoclimatiche del luogo; è però opportuno distinguere in:
- semine autunnali: effettuate nel Nord Italia verso metà ottobre, ricordando che un ritardo eccessivo causa un’emergenza posticipata. Al Sud viene generalmente seminato dalla prima decade di novembre alla prima decade di dicembre;
- semine primaverili: devono essere effettuate appena si hanno condizioni climatiche idonee, per evitare che la coltura si trovi nella fase di maturazione con temperature troppo elevate. Questo provocherebbe lo sviluppo di cariossidi piccole e striminzite.
La semina
autunnale consente l’ottenimento di rese superiori (anche di un 30–50%), in
quanto la coltura può sfruttare un maggior periodo per la granigione e, in
particolare al Sud, si avvantaggia delle precipitazioni del periodo
autunno-invernale e soffre meno per la siccità primaverile. Per questi motivi
la semina primaverile è da considerarsi un ripiego se non si è potuta
effettuare la semina autunnale.
Un eccessivo anticipo della semina (inizio
ottobre) può favorire la trasmissione di virosi da parte di varie specie di
afidi, non più attivi con l’abbassamento delle temperature. In zone con inverni
rigidi è però consigliabile anticipare la semina, anche solo di pochi giorni,
per consentire alla pianta di giungere nel periodo più freddo ad uno stadio
lievemente più avanzato e di sopportare quindi meglio i rigori invernali. Dove
gli inverni sono miti è possibile impiegare varietà primaverili in semina
autunnale.
Lo sviluppo sarà più vigoroso e le produzioni maggiori in virtù del maggior periodo di vegetazione. Al contrario non è possibile impiegare tipi autunnali in semina primaverile, in quanto si avrà solo produzione di foglie senza giungere alla spigatura.
Lo sviluppo sarà più vigoroso e le produzioni maggiori in virtù del maggior periodo di vegetazione. Al contrario non è possibile impiegare tipi autunnali in semina primaverile, in quanto si avrà solo produzione di foglie senza giungere alla spigatura.
La quantità di seme varia indicativamente da 120 a
170 kg ad ettaro, in base alla varietà (vi possono essere forti differenze
nella dimensione della cariosside), all’epoca di semina, alle condizioni del
terreno e alla germinabilità del seme. È spesso consigliabile aumentare la
quantità di semente nelle semine primaverili, in quanto caratterizzate da un
minor grado di accestimento, oppure nel caso della semina su sodo.
Nelle semine autunnali una maggior quantità di
seme e quindi un maggior numero di culmi a metro quadro, limita l’accestimento
naturale della coltura; questo fenomeno può essere utile negli orzi distici per
la produzione di malto al fine di ottenere cariossidi uniformi e di maggiori
dimensioni.
In generale si punta ad ottenere 300-400 piante a
metro quadrato che poi con l'accestimento formeranno una copertura di 600-800
spighe a metro quadrato. La semina viene effettuata a spaglio o più
frequentemente a file distanti 15-20 cm (12-15 cm per gli orzi distici, per
ridurre l’accestimento), con profondità di semina di 30–40 mm.
La raccolta dell’orzo da granella è effettuata
nelle prima decade di giugno, mentre l’impiego come foraggio verde prevede la
trinciatura nella prima decade di maggio al Nord Italia e tra il 15 marzo e il
15 aprile al Sud Italia.
Alla
mietitura la cariosside deve presente un tenore in umidità del 12–24%, anche se
viene spesso raccolto con un elevato tenore di umidità per evitare che il
disseccamento della pianta provochi la caduta delle cariossidi. In questo caso
però, aumentano i costi per l’essiccazione della granella al fine di garantirne
la conservazione.
Le macchine per la raccolta dell’orzo sono le mieti
trebbie, utilizzate anche per altri cereali, cambiando le testate in base alla
coltura. Un corretto impiego di tali macchine è importante per evitare il
danneggiamento delle cariossidi, in quanto un’eccessiva velocità periferica del
battitore o una limitata distanza tra battitore e contro battitore possono
aumentare le lesioni alla granella.
Particolare attenzione deve essere rivolta verso
la raccolta degli orzi distici in quanto non sono accettabili rotture di
cariossidi e sgranatura. Inoltre, queste varietà, possono germinare già sulla
spiga, causando una perdita di valore della cariosside; è quindi indispensabile
non ritardare eccessivamente la raccolta.
L’umidità di conservazione della granella deve
essere inferiore al 14% per evitare l’insorgenza di funghi sulla cariosside. Se
alla raccolta il contenuto idrico della granella è maggiore può essere
essiccata, con passaggi in appositi essiccatoi dove non devono essere superati
i 40–45 °C per evitare riduzione alla germinabilità del seme.
La produzione unitaria varia tra le 2–6 tonnellate
per ettaro, le produzioni maggiori (5–6 tonnellate per ettaro) si hanno in
Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna, Veneto e Friuli.
Rispetto agli altri cereali ha la caratteristica
di maturare molto velocemente e di sopportare molto bene anche lunghi periodi
di siccità; grazie a queste proprietà la pianta dell'orzo può essere coltivata
un po' ovunque. Si adatta bene sia alle alte temperature che alle basse, così
come si adatta bene anche all'altitudine.
L'orzo
è composto per il
12% da acqua, 10% da proteine, 65% da carboidrati, 12% da proteine, ceneri,
zuccheri e grassi; discreta la presenza di minerali tra cui citiamo il ferro,
il potassio, il magnesio, lo zinco, il calcio, il sodio ed il fosforo.
Sul fronte delle vitamine presente la vitamina A,
molte del gruppo B ( B1, B2, B3, B5, B6 ) e, in minima percentuale, la vitamina
E.
Discreta la lista degli aminoacidi: acido
glutammico, acido aspartico, alanina, arginina, glicina, leucina, prolina,
serina, triptofano, valina e tirosina.
L'orzo, come molti altri cereali contiene glutine
e non è pertanto un alimento indicato per chi soffre di celiachia.
L'orzo è un alimento forse troppo poco utilizzato
nella nostra dieta anche se è in possesso di proprietà in grado di apportare
benefici al nostro organismo. Essendo l'orzo ricco di proteine, sali minerali e
fibre è molto utile a chi soffre di problemi legati allo stomaco; l'acido
silicico rafforza invece capelli ed unghie.
Alcune ricerche mirate hanno
evidenziato la presenza nell'orzo di alcuni estrogeni di origine vegetali che
sembrano aver proprietà benevole nei confronti del tumore al seno, non solo.
Una ricerca condotta in America dal
ministero dell'agricoltura ha isolato una molecola chiamata
"tocotrienolo" che sembra aver la proprietà di inibire la formazione
del colesterolo "cattivo" nel fegato.
Essendo l'orzo un
alimento molto nutriente, è particolarmente indicato nell'alimentazione di
anziani e bambini in quanto è un ottimo rimineralizzanti delle ossa e, grazie
al suo buon contenuto di fosforo, ha proprietà in grado di apportare benefici
alla capacità di concentrazione ed alla memoria.
In ultimo l'orzo è un
buon antinfiammatorio; fare gargarismi con il suo decotto aiuta in casi di
infiammazione della cavità orale.
In commercio si trovano prevalentemente tre tipi di orzo: l'orzo mondato o orzo decorticato che va posto in ammollo per una notte e poi va cotto per circa 40/45 minuti.
In commercio si trovano prevalentemente tre tipi di orzo: l'orzo mondato o orzo decorticato che va posto in ammollo per una notte e poi va cotto per circa 40/45 minuti.
L'orzo
integrale che va invece messo in ammollo per un giorno intero e va cotto
utilizzando l'acqua dell'ammollo per un'ora e mezza.
L'orzo
perlato che non necessita di ammollo e va cotto per una mezz'ora abbondante
circa.
In Europa, e soprattutto in Italia troviamo quasi
esclusivamente l'orzo perlato, ossia quello privato della pellicina che ricopre
il chicco. Purtroppo, pur mantenendo un buon gusto, l'orzo perlato, a causa
della lavorazione a cui viene sottoposto, perde per strada molte sostanze
importanti e le loro proprietà; cosa invece che non succede per l'orzo
integrale.
L'Italia è uno dei maggiori produttori di questo
cereale.
A conferma del suo alto
potere nutritivo, l'orzo rende 350 calorie ogni 100 grammi di parte edibile.
L'unica controindicazione che si riscontra nel
caso di un discreto consumo di orzo è quella della probabilità di incappare in
un fastidioso meteorismo intestinale.
I tempi di cottura dell'orzo sono mediamente alti;
nel caso di cottura in pentola a pressione questi si riducono notevolmente.
Negli uomini adulti il consumo regolare di orzo
ridurrebbe il rischio di infarto al miocardio.
Molti sono i derivati dell'orzo, eccone alcuni: in
primis citiamo la birra che è una vera e propria bevanda in cui l'orzo è
l'ingrediente principale, il caffè d'orzo, la farina, il pane, i vari decotti e
zuppe, i fiocchi d'orzo, la polenta e le caramelle.
Nell'antichità l'orzo fu molto impiegato ed
apprezzato da molte popolazioni per le sue proprietà e per la facilità con cui
si adattava ai vari tipi di clima e di terreno.
Questo cereale era molto utilizzato dalla
popolazione egizia che lo impiegava per la preparazione del pane azzimo e della birra.
Plinio il Vecchio raccontava come gli stessi
gladiatori venivano appellati col nome di "hordeani" (dal nome latino
dell'orzo che era appunto "hordeum") proprio per il fatto che questi
erano soliti cibarsi di orzo sottoforma di zuppa, in quanto particolarmente
energetica.
L’idea mi è venuta qualche sera fa quando in
televisione passava uno spot pubblicitario (di un famosa marca di fette
biscottate) nel corso del quale, il protagonista, sosteneva che le “sue” fette
biscottate dovrebbero essere fatte più spesse; mi sono chiesto se fare in casa
le fette biscottate, per la colazione, fosse difficile: assolutamente NO!
Le ho fatte e devo dire che, per essere la prima volta, sono venute proprio bene; inoltre, facendole regolarmente, riuscirò a consumare i molti vasetti di confettura e/o marmellata che, nel corso dell’anno, ho preparato e preparerò in futuro.
Ingredienti (per 20-30 fette)
350 g di farina tipo “Manitoba”;
150 g di farina tipo “00”;
150 g di burro morbido a dadini;
125 ml di latte intero;
50 ml di acqua;
40 g di zucchero semolato;
7 g di malto d’orzo (o zucchero semolato);
2 uova intere + 1 tuorlo per spennellare;
15 g di lievito di birra fresco (o 4 g di quello secco);
3 cucchiai di orzo solubile;
6 g di sale.
1 – Preparazione.
Per la preparazione di queste fette biscottate ho utilizzato la planetaria che permette di ottenere un impasto molto liscio e omogeneo; nel caso non possediate una planetaria, la preparazione dell’impasto potrà essere fatta a mano, in un tempo decisamente più lungo, avendo l’accortezza di tenere le mani leggermente unte e continuando a lavorare sino a ottenere un impasto liscio e omogeneo.
Sciogliete, nell’acqua tiepida, il lievito e il malto d’orzo.
In una ciottola sbattete le 2 uva intere con lo zucchero e il latte intiepidito.
Nella planetaria, munita di foglia, mettete le farine setacciate, l’acqua con il lievito e malto, la miscela di uova e latte, azionate la planetaria e fate impastare bene per 10-15 minuti, a velocità media, sino ad ottenere un composto omogeneo. Nel corso di questo periodo, fermate la planetaria e rigirate l’impasto più volte.
A questo punto sostituite la foglia con il gancio, aggiungete il sale e il burro morbido, un pezzetto alla volta, aspettando che il pezzetto sia stato assorbito prima di aggiungere quello successivo. Quando l’impasto sarà liscio ed elastico (ci vorranno circa 20-25 minuti), togliete circa 1/3 dell’impasto al quale aggiungerete l’orzo solubile che dovrà essere assorbito completamente dall’impasto.
Formate due palle che andrete a porre in 2 ciotole (1), coprite con la pellicola e mettetele nel forno con la luce accesa, sino a quando il volume sarà raddoppiato (2); potrebbero volerci 2-3 ore.
Dopo di ché sgonfiare gli impasti, utilizzando le dita, in modo da ottenere un rettangolo e procedere con una serie (almeno 3-4) di pieghe di rinforzo, dette anche “piegatura a tre”, lasciando a riposo l’impasto almeno 15-20 min. tra una serie e l’altra (*).
Lasciare riposare per un'ora, quindi prendere l'impasto bianco e stenderlo in un rettangolo di 30x45-50 cm, poi prendere quello all'orzo e stenderlo in un rettangolo di 28x45-50 (3). Sovrapponete l’impasto scuro sopra quello chiaro e premete leggermente con le mani per far aderire i due strati tra loro (4). Arrotolare partendo dal lato lungo (5).
Foderate 2 stampi da plum-cake delle dimensioni 28 x11 (h 7 cm) con la carta da forno avendo l’accortezza di imburrate leggermente gli stampi; fate aderire bene la carta da forno allo stampo in modo da evitare che si formino delle pieghe.
Con la spatola dividere il rotolo in due e adagiateli nei due stampi (6) e lasciateli lievitare in forno spento (con la luce accesa) per 3-4 ore o, comunque, fino a quando l’impasto raggiungerà il bordo dello stampo (7).
2 – Cottura.
Infine spennellate l’impasto con l’uovo sbattuto e infornatelo in forno già caldo a 180 °C per 40 minuti o, comunque, sino a quando avrà preso un bel colore dorato (8).
Lasciatelo intiepidire, sformatelo e lasciatelo raffreddare su una gratella (9).
Una volta freddo, tagliate delle fette spesse circa ½ cm (o 1 cm, a seconda dei gusti) (10), ponetele su una leccarda ricoperta di carta forno (11) e infornate in forno statico già caldo a 150 °C per 1h circa, oppure in forno ventilato a 130 °C per 45 minuti o comunque fino a quando si saranno asciugate e avranno raggiunto un bel colore dorato. Sfornatele, lasciatele raffreddare su una gratella.
Le vostre fette biscottate sono pronte per essere gustate con le confetture o come meglio preferite! (12).
3 - Presentazione.
Se ben conservate le fette biscottate possono durare anche più di una settimana. Lasciatele raffreddare bene e poi ponetele in un luogo fresco e asciutto in una scatola di latta.
Queste fette biscottate sono buonissime; una gustosa variante è rappresentata dal distribuire dei semi di papavero o sesamo, prima di infornarle, dopo aver spennellato con l’uovo sbattuto.
Le ho fatte e devo dire che, per essere la prima volta, sono venute proprio bene; inoltre, facendole regolarmente, riuscirò a consumare i molti vasetti di confettura e/o marmellata che, nel corso dell’anno, ho preparato e preparerò in futuro.
Ingredienti (per 20-30 fette)
350 g di farina tipo “Manitoba”;
150 g di farina tipo “00”;
150 g di burro morbido a dadini;
125 ml di latte intero;
50 ml di acqua;
40 g di zucchero semolato;
7 g di malto d’orzo (o zucchero semolato);
2 uova intere + 1 tuorlo per spennellare;
15 g di lievito di birra fresco (o 4 g di quello secco);
3 cucchiai di orzo solubile;
6 g di sale.
1 – Preparazione.
Per la preparazione di queste fette biscottate ho utilizzato la planetaria che permette di ottenere un impasto molto liscio e omogeneo; nel caso non possediate una planetaria, la preparazione dell’impasto potrà essere fatta a mano, in un tempo decisamente più lungo, avendo l’accortezza di tenere le mani leggermente unte e continuando a lavorare sino a ottenere un impasto liscio e omogeneo.
Sciogliete, nell’acqua tiepida, il lievito e il malto d’orzo.
In una ciottola sbattete le 2 uva intere con lo zucchero e il latte intiepidito.
Nella planetaria, munita di foglia, mettete le farine setacciate, l’acqua con il lievito e malto, la miscela di uova e latte, azionate la planetaria e fate impastare bene per 10-15 minuti, a velocità media, sino ad ottenere un composto omogeneo. Nel corso di questo periodo, fermate la planetaria e rigirate l’impasto più volte.
A questo punto sostituite la foglia con il gancio, aggiungete il sale e il burro morbido, un pezzetto alla volta, aspettando che il pezzetto sia stato assorbito prima di aggiungere quello successivo. Quando l’impasto sarà liscio ed elastico (ci vorranno circa 20-25 minuti), togliete circa 1/3 dell’impasto al quale aggiungerete l’orzo solubile che dovrà essere assorbito completamente dall’impasto.
Formate due palle che andrete a porre in 2 ciotole (1), coprite con la pellicola e mettetele nel forno con la luce accesa, sino a quando il volume sarà raddoppiato (2); potrebbero volerci 2-3 ore.
Dopo di ché sgonfiare gli impasti, utilizzando le dita, in modo da ottenere un rettangolo e procedere con una serie (almeno 3-4) di pieghe di rinforzo, dette anche “piegatura a tre”, lasciando a riposo l’impasto almeno 15-20 min. tra una serie e l’altra (*).
Lasciare riposare per un'ora, quindi prendere l'impasto bianco e stenderlo in un rettangolo di 30x45-50 cm, poi prendere quello all'orzo e stenderlo in un rettangolo di 28x45-50 (3). Sovrapponete l’impasto scuro sopra quello chiaro e premete leggermente con le mani per far aderire i due strati tra loro (4). Arrotolare partendo dal lato lungo (5).
Foderate 2 stampi da plum-cake delle dimensioni 28 x11 (h 7 cm) con la carta da forno avendo l’accortezza di imburrate leggermente gli stampi; fate aderire bene la carta da forno allo stampo in modo da evitare che si formino delle pieghe.
Con la spatola dividere il rotolo in due e adagiateli nei due stampi (6) e lasciateli lievitare in forno spento (con la luce accesa) per 3-4 ore o, comunque, fino a quando l’impasto raggiungerà il bordo dello stampo (7).
2 – Cottura.
Infine spennellate l’impasto con l’uovo sbattuto e infornatelo in forno già caldo a 180 °C per 40 minuti o, comunque, sino a quando avrà preso un bel colore dorato (8).
Lasciatelo intiepidire, sformatelo e lasciatelo raffreddare su una gratella (9).
Una volta freddo, tagliate delle fette spesse circa ½ cm (o 1 cm, a seconda dei gusti) (10), ponetele su una leccarda ricoperta di carta forno (11) e infornate in forno statico già caldo a 150 °C per 1h circa, oppure in forno ventilato a 130 °C per 45 minuti o comunque fino a quando si saranno asciugate e avranno raggiunto un bel colore dorato. Sfornatele, lasciatele raffreddare su una gratella.
Le vostre fette biscottate sono pronte per essere gustate con le confetture o come meglio preferite! (12).
3 - Presentazione.
Se ben conservate le fette biscottate possono durare anche più di una settimana. Lasciatele raffreddare bene e poi ponetele in un luogo fresco e asciutto in una scatola di latta.
Queste fette biscottate sono buonissime; una gustosa variante è rappresentata dal distribuire dei semi di papavero o sesamo, prima di infornarle, dopo aver spennellato con l’uovo sbattuto.
(*) Nel caso non conosciate
questa procedura, niente paura, è estremamente semplice: questo link vi
porterà alla pagina di un blog dove troverete una chiara descrizione della
procedura; come anche il video sopra riportato.
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