domenica 28 ottobre 2012

Cappelle di chiodino impanate con funghi trifolati.

I chiodini o Famigliola buona (Armillaria mellea) cresce in gruppi di numerosi individui ai piedi di alberi sia vivi che morti; le sfumature di colore variano a seconda dell'albero che li ospita e possono andare dal giallo miele sui gelsi al giallo scuro sulle querce e  anche rossastro sulle conifere. Il suo cappello può raggiungere un diametro di 10 centimetri e la sua carne è bianca, leggermente fibrosa e di sapore leggermente acidulo; il gambo presenta un anello biancastro nella parte superiore. I funghi chiodini non vanno confusi con altre specie simili e tossiche del genere Hypholoma che possono avere lo stesso colore e crescere nello stesso habitat.

Chiodini

Esistono comunque delle differenze sostanziali tra le specie tossiche ed i chiodini:

  • le lamelle dei chiodini sono di colore biancastro mentre sono giallo verdastre nella specie velenose di Hypholoma;
  • nei chiodini abbiamo la presenza di un anello biancastro, mentre gli altri hanno una sorta di cortina bianco giallastra.
L'armillaria mellea vive sulle ceppaie di diversi alberi come salici, gelsi, querce, abeti, larici e cresce quasi sempre in numerosi gruppi che sono composti solitamente da 10 a 30 individui. I chiodini sono comunissimi in tutte le zone d' Italia dove fanno la loro comparsa in autunno soprattutto nelle zone particolarmente umide. I chiodini migliori sono quelli che crescono sui salici i pioppi e le querce.
Il nome di Armillaria deriva dal latino armilla che significa braccialetto, Armillaria sta a significare qualcosa attinente al braccialetto, in questo caso a causa dell'anello che caratterizza i chiodini. La parola latina melleus significa invece attinente al miele, proprio in riferimento al tipico color giallo miele dei chiodini.

Chiodini

I chiodini sono funghi mangerecci che vengono raccolti in grandi quantità in quanto molto conosciuti e difficilmente confondibili con specie nocive; da preferire la raccolta dei cappelli in quanto il gambo risulta essere più fibroso e di gusto più acidulo.
Questo tipo di funghi si presta molto bene ad essere consumato in umido, si consiglia però di sottoporlo ad una cottura prolungata per renderlo così più digeribile. E' buono anche conservato.

Crostata con cuore di mele e castagne.

Il Castagno (Castanea sativa) è una pianta antichissima della famiglia delle Fagacee, risalente alla nebbia della preistoria, probabilmente al Cenozoico, quando iniziava la diffusione delle latifoglie e allo stato selvatico questi alberi si diffondevano in tutto il bacino del Mediterraneo, da dove successivamente l’uomo li avrebbe portati anche nell’Europa Centrale e Settentrionale.


Fiori del castagno
Fiori di castagno
Si tratta di un albero longevo, a lento sviluppo che intorno ai 50 anni, favorito da terreno e clima adatti, può raggiungere i 25-35 metri di altezza. E' famoso e riportato anche nella guida turistica siciliana il Castagno dei Cento Cavalli presso Linguaglossa, vecchio di più di  duemila anni: sotto il suo fogliame si dice che trovarono riparo dalla pioggia la regina Giovanna d’Angiò  e il suo seguito di cento cavalieri; la diceria potrebbe anche essere vera, considerando che la circonferenza dei tre tronchi che compongono questa veneranda pianta raggiunge i 60 metri: oggi vi trova riparo un intero gregge di pecore.
Il frutto (castagna) è utilizzato da tempi antichissimi, per la produzione di farine. Questo impiego ha oggi un'importanza marginale e circoscritta alla produzione di dolci tipici, come il castagnaccio e il Panmorone (dolce tipico di Campomorone). Ancora diffusa è invece la destinazione dei frutti di buon pregio al consumo diretto, concentrato nei mesi autunnali, e alla produzione industriale di confetture e marron glacé. Interesse del tutto marginale ha il possibile impiego dei frutti come alimento per gli animali domestici.


Foglie del castagno
Foglie del castagno
Non si conoscono le esatte origini del castagno. Ritrovamenti di reperti fossili attestano che l'albero dovrebbe derivare da un ceppo originatosi nel Terziario, circa 10 milioni di anni fa e che in periodo a clima caldo si era diffuso in Asia, in Europa e nelle Americhe.
Sull'indigenato del castagno in Italia si è molto discusso. Le ricerche attestano, sulla base di analisi di pollini fossili diversi reperiti nei fanghi di laguna della pianura costiera apuana, la presenza di una cenosi di castagno risalente a circa 10.000 anni fa, conservatasi nella parte più protetta delle Alpi Apuane. Questo dimostrerebbe che il castagno ha saputo resistere alle ondate di freddo glaciale che si sono susseguite nel tempo; pertanto, l'ipotesi che l'ultima ondata di freddo di circa 10.000 anni fa lo avrebbe fatto scomparire, per poi ritornare dall'Asia Minore portato dall'uomo, è stata abbandonata.
Il frutto del castagno è il riccio contenente i semi, cioè le castagne; anzi, a voler essere precisi, il prodotto di alberi coltivati e migliorati da successivi innesti è costituito dai marroni, uno per riccio, di caratteristiche e grandezza abbastanza standardizzate, di forma ovale o a cuore, più grossi rispetto alla castagna: la loro polpa è poco aderente alla pellicola e la buccia è solitamente più chiara.
Dalle piante selvatiche nascono invece le castagne, normalmente tre per riccio, aventi forma, dimensioni e sapore molto variabili ancorché prodotte dallo stesso albero: ne consegue una gestione più complessa dello stesso prodotto.


Frutto del castagno
Frutto del castagno (il riccio)
Secondo un vecchio detto di Fontanarossa, delle tre castagne del riccio, una era destinata al padrone, una al contadino ed una ai poveri.
Le castagne sono un frutto atipico, ricche come sono di carboidrati complessi (amido), come i cereali; a differenza degli altri frutti a polpa come le mele, pere ed altri, il contenuto in acqua del prodotto fresco, aggirandosi sul 50%, è relativamente basso.

martedì 16 ottobre 2012

Maccheroni con involtini di cavallo al sugo.


Panera di cavallo

La carne equina possiede tante buone proprietà nutritive; possiede alcune caratteristiche che la differenziano nettamente dalle altre carni rosse:
  • un basso contenuto di grassi e colesterolo, oltre ad essere poco calorica, rendono la carne di cavallo ideale nelle diete dimagranti, alle persone che soffrono di colesterolo alto o pressione bassa.
  • I grassi contenuti nella carne equina sono prevalentemente di copertura, di colore giallo nel cavallo adulto e bianco nel puledro, vengono generalmente eliminati in fase di lavorazione, mentre quello interstiziale è quasi totalmente assente. Il fatto di possedere pochi grassi rende la carne di cavallo facilmente digeribile e adatta a tutti.
  • Un elevato contenuto di ferro - 3,9 mg/100 g, il doppio rispetto ad altre carni, consigliata anche dai medici alle persone anemiche, alle donne in gravidanza, ai bambini in crescita. Il ferro contenuto nella carne di cavallo al contrario di quello presente nei vegetali è facilmente assimilabile dall'organismo. È proprio l'alto tasso di ferro che influisce sulla rapida ossidazione della carne rendendola scura quando viene a contatto con l'aria.
  • Un'alta percentuale di proteine indispensabile per lo sviluppo muscolare dei bambini e degli sportivi inoltre, essendo una delle poche carni che contengono zuccheri (glicogeno) ne rende il consumo adatto proprio agli sportivi che necessitano di alimenti la cui frazione energetica sia rapidamente disponibile. È proprio da questi zuccheri che la carne equina ottiene quel sapore lievemente dolce che la rende così appetitosa.
  • Difesa naturale contro i batteri: a favore dalla carne equina c'è questo fattore da non trascurare, essa si difende dallo sviluppo dei batteri grazie all'acido lattico presente in misura maggiore rispetto alle altre carni (fino al doppio o il triplo).
Il post di oggi descrive un secondo piatto pugliese con una difficoltà media di preparazione, ma è una prelibatezza che tutti dovrebbero prima o poi provare. Parlo della “brasciola alla barese”. La brasciola in Puglia è una “santità”: si tratta di involtini di carne, specialmente rossa e di cavallo (sostituibile comunque con il manzo), che la tradizione vuole che siano cucinate anche per 6 ore nel sugo a fiamma bassa. Quando ancora si usava lo spago per legarle, e non l’ormai sbrigativo stuzzicadenti o la comoda retina, le nonne (vere e proprie matrone) pugliesi si alzavo alle 5 la mattina della domenica per preparare le brasciole al sugo per il pranzo.
Si usa, ancora oggi, preparare questa pietanza nei giorni di festa, cuocendoli in un ragù con il quale condire le altrettanto tradizionali orecchiette; in realtà, con il sugo ottenuto, va bene qualsiasi tipo di pasta e, a parer mio, i maccheroni sono ottimi.

Questa ricetta, per via del fatto che mia madre è di origine pugliese, veniva preparata frequentemente ed io ho continuato in questa direzione; ma poi è anche molto gustosa!
Per la preparazione degli involtini ho utilizzato un taglio di carne che, a parer mio, bene si presta per questa preparazione: la "panera" che non è altro che il diaframma dell'animale.

Maccheroni con involtini di cavallo al sugo.

Ingredienti (per 4 persone).
350 g di maccheroni;
8 fettine di carne di cavallo (circa 800 g);
100 g di pecorino;
8 fette di lardo;
1 bicchiere di vino rosso;
650 g di passata di pomodoro;
1 cipolla,
8 cucchiai di olio EVO;
1 mazzetto di prezzemolo;
2-3 Spicchi di aglio fresco;
2-3 foglie di basilico;
Sale e pepe q.b.

1 – Preparazione.
Tritate il prezzemolo, gli spicchi d’aglio, la cipolla e riducete il pecorino a scaglie.
Schiacciare un po’ le fettine di carne con un batticarne, quindi al centro di ogni fettina metterci una fettina di lardo ripiegata, un po’ di pecorino, prezzemolo, aglio, sale e pepe.
Arrotolare le brasciole e legatele con spago da cucina o, in alternativa, con rete da cucina (consiglio di evitare gli stuzzicadenti).

2 – Cottura.
In una padella fate scaldare 4 cucchiai di olio, rosolate un poco le brasciole e fatele saltare con il vino. Preparate il sugo in un’altra pentola, aggiungendo a 4 cucchiai d’olio la cipolla, la passata di pomodoro e salando a volontà.
Mettete le brasciole nel sugo e fatele cuocere a fuoco molto basso per 2-3 ore o, comunque, sino a che saranno ben cotte, controllando di tanto in tanto che non si attacchino al fondo della padella.
Negli ultimi 5 minuti di cottura aggiungete il basilico.

3 - Presentazione.
Togliere il filo alle brasciole; condire i maccheroni lessati al dente con il sugo e aggiungere, nello stesso piatto, 1 o 2 brasciole (a seconda delle dimensioni delle stesse) e servire.



Ossobuco alla milanese con risotto giallo.

L'ossobuco (oss bus) è un taglio di carne di bovino, da cui deriva un tipico piatto della cucina milanese.
Vi sono vari modi di prepararlo. Può essere servito come seconda portata, ma può anche accompagnare il risotto allo zafferano.


Ossobuco di vitello

Ossobuco con tutte le sue erronee varianti (osobuco, ossobucco, osso bucco, etc.) è una delle parole italiane più conosciute nel mondo. Non per caso, in solo 0,26 secondi Google in inglese può arrivare a dare quasi due milioni di risultati con questo nome. Il significato della parola sarebbe osso cavo e in termini culinari si riferisce generalmente al piatto conosciuto come ossobuco in gremolata alla milanese. Il suo ingrediente principale è lo stinco di vitello e specificamente la parte centrale di quello posteriore che ha abbastanza carne tenera attorno all’osso, cosa che quello anteriore non ha. La sua popolarità fa dell’ossobuco uno dei piatti più taroccati della cucina italiana tradizionale nel mondo: Per questa ragione è stato proclamato piatto ufficiale della quinta edizione della IDIC – International Day of Italian Cuisines 2012, la cui missione è proteggere e promuovere l’autenticità e la qualità della cucina italiana. Il piatto è uscito dall’Italia con gli emigranti, possibilmente ma non necessariamente, con quelli della regione Lombardia. La sua ricetta divenne conosciuta in tutta Italia a partire dalla fine del XIX secolo. Tra le possibili ragioni della sua popolarità c’è sicuramente il suo basso costo e la relativa facilità della sua preparazione.
Il basso costo non significa necessariamente che era un piatto per i poveri: era semplicemente un piatto ideale per le famiglie. Servito con risotto o polenta, l’ossobuco era ed è un delizioso e soddisfacente pasto.
Era originariamente un piatto stagionale, da cucinare in inverno, sulle cucine a legna o a carbone, che nel passato avevano anche la funzione di riscaldare le case. Il profilo familiare dell’ossobuco fu la ragione del suo successo nei ristoranti italiani aperti dagli emigrati in giro per il mondo, tutti basati su una generosa cucina casalinga.
In ogni caso, un contributo notevole alla popolarità dell’ossobuco nel mondo venne dalla sua inclusione in famosi ricettari pubblicati al di fuori dell’Italia. 

Ossobuco di vitello

Milano reclama di essere la città dove l’ossobuco è nato. Il suo Consiglio Comunale, nel 2007, dichiarò solennemente l’ oss (o òs) buss, ossobuco in vernacolo milanese, parte delle De.Co., Denominazioni Comunali, che sono un riconoscimento pubblico dell’origine di un prodotto e della sua appartenenza a un territorio. Non c’è dubbio che l’Ossobuco è originario della Regione Lombardia. Nessuno però può dire a quando risale la sua nascita. L’uso delle ossa con midollo e degli stinchi di vitello era comune nella cucina del Medio Evo, ma non ci sono prove della esistenza del piatto a quei tempi.
Se si prende in considerazione la Gremolata a base di buccia di limone che accompagna il piatto si può presumere che il piatto era già fatto nel XVIII secolo. Secondo gli storici della cucina fu nel periodo della rivoluzione Illuminista che il limone – in questo caso la buccia – sostituì più costose spezie, quali i chiodi di garofano, la cannella e la noce moscata.
In quel periodo e in precedenza, inoltre, il piatto non includeva pomodori, che iniziarono a essere usati alla fine del XVIII secolo. Alcuni autori credono che l’ossobuco ha una storia molto recente, anche perché non appare in libri popolari del XIX secolo, come “La vera cucina lombarda” pubblicata da un anonimo nel 1890. Siccome questo libro era diretto principalmente alle donne di casa, l’autore Americano Clifford Wright ritiene che l’ossobuco sia un piatto nato in un contesto di HoReCa, ovvero in qualche osteria.

domenica 14 ottobre 2012

Peperoncini piccanti ripieni sott'olio.

Capsicum L. è un genere di piante della famiglia delle Solanaceae, originario delle Americhe ma attualmente coltivato in tutto il mondo. Oltre al noto peperone, il genere comprende varie specie di peperoncini piccanti, ornamentali e dolci.

Peperoncini piccanti

Secondo alcuni, il nome latino "Capsicum" deriva da "capsa", che significa scatola, e deve il nome alla particolare forma del frutto (una bacca) che ricorda proprio una scatola con dentro i semi. Altri invece lo fanno derivare dal greco kapto che significa mordere, con evidente riferimento al piccante che "morde" la lingua quando si mangia.
Il peperoncino piccante era usato come alimento fin da tempi antichissimi. Dalla testimonianza di reperti archeologici sappiamo che già nel 5500 a.C. era conosciuto in Messico, presente in quelle zone come pianta coltivata, ed era la sola spezia usata dagli indiani del Perù e del Messico. In Europa il peperoncino giunse grazie a Cristoforo Colombo che lo portò dalle Americhe col suo secondo viaggio, nel 1493. Poiché Colombo sbarcò in un'isola caraibica, molto probabilmente la specie da lui incontrata fu il Capsicum chinense delle varietà Scotch Bonnet o Habanero, le più diffuse nelle isole.

Peperoncini piccanti

Introdotto quindi in Europa dagli spagnoli, ebbe un immediato successo, ma i guadagni che la Spagna si aspettava dal commercio di tale frutto (come accadeva con altre spezie orientali) furono deludenti, poiché il peperoncino si acclimatò benissimo nel vecchio continente, diffondendosi in tutte le regioni meridionali, in Africa ed in Asia, e venne così adottato come spezia anche da quella parte della popolazione che non poteva permettersi l'acquisto di cannella, noce moscata, ecc.

Una cheesecake allo yogurt..... greco.

La cheesecake, o torta al formaggio, è una torta fredda composta da un base di pasta su cui poggia un alto strato di crema di formaggio fresco zuccherato e trattato con altri ingredienti. La base può essere costituita da biscotti inumiditi di caffè, sciroppo o liquore, oppure da biscotti sbriciolati e poi reimpostati con l'aggiunta di tuorlo d'uovo o burro, oppure ancora la base può essere fatta di pan di Spagna o pasta frolla. I formaggi che si utilizzano per preparare la crema sono formaggi freschi e molto morbidi come la ricotta, il mascarpone o altro formaggio da spalmare. La ricetta è spesso arricchita con frutta fresca, frutta candita, frutta secca o cioccolato.

Cheesecake.

Il primo riferimento letterario, secondo Callimaco, è da attribuirsi a Aegimius, autore di un testo sull'arte di fare torte di formaggio.  Catone il censore nel “De Agri Cultura” cita la placenta, un dolce realizzato con due dischi di pasta condita con formaggio e miele e aromatizzata con foglie di alloro.
La torta di formaggio può essere generalmente classificata in due tipi principali: cotta e cruda. Ne esistono diverse varianti, realizzate nelle differenti nazioni in cui la torta è diffusa. E' un dolce tipico della Gran Bretagna. 
In Irlanda, Australia e Nuova Zelanda, la torta al formaggio è tipicamente preparata con una base di biscotti sbriciolati e burro, sormontata da un composto di frutta. Il ripieno comune è una miscela di crema di formaggio, zucchero e panna, non cotto. Si può anche trovare caffè, tè, cioccolato, Irish Cream, cioccolata bianca e anche marshmallow. La cheesecake irlandese può anche contenere un mix di panna e Baileys tra gli strati. In Nuova Zelanda i Māori chiamano questa torta "Purini keke o te tīhi" (letteralmente "dessert alla torta di formaggio") e la base è ottenuta con i biscotti neozelandesi "afghan cookies" sbriciolati.

Cheesecake.

Gli Stati Uniti e il Canada possiedono molte varianti locali della cheesecake.
La New York cheesecake è un tipo di torta che si basa su creme ottenute dalla crema di latte, uova e tuorli che conferiscono alla stessa una speciale consistenza liscia. Questa si cuoce in una speciale tortiera alta 13-15 cm.
Alcune ricette consigliano di usare ricotta e limone per una consistenza e un sapore diverso, oppure di aggiungere un filo di cioccolato e fragole che costituiscono una variante della salsa alla ricetta di base.
La cheseecake alla panna acida è una variante della ricetta tradizionale che utilizza la panna acida invece della panna. Questa variante rende la cheesecake più resistente al gelo ed è il metodo con cui sono fatte anche le torte gelato.
Cheesecake Pennsylvania Dutch è uno stile che comporta l'utilizzo di un tipo di formaggio leggermente piccante, formato dalla ricotta e dall'acqua, e chiamato anche formaggio contadino.
La philadelphia cheesecake è notevolmente più saporita della torta al formaggio allo stile New York. La Farmer's cheesecake è l'applicazione contemporanea dell'uso tradizionale di cottura per conservare il formaggio fresco, spesso viene cotto al forno con frutta fresca come una normale torta.

Cheesecake.

Cheesecake Paese è una variante che comporta l'uso del latticello per ottenere una consistenza compatta, limitando il pH (acidità in aumento) per aumentare la durata di conservazione.
Le torte di formaggio senza lattosio sono una tipologia di varuianti che possono essere preparate sia con crema di formaggio senza lattosio o come imitazione usando ricette vegane che uniscono creme non casearie con altri ingredienti privi di lattosio.
La torta di burro Gui è una variante di St. Louis, che ha uno strato di pan di Spagna regolare con la cheesecake.
La Californian Cheesecake è un tortino tipico della California. Viene aromatizzato con la "vanilla bean paste" che è un prodotto fatto infondendo baccelli di vaniglia in un denso, dolce sciroppo fatto con zucchero, acqua. 
Nella cucina dell'antica Roma si preparava una torta ripiena di miele e ricotta. Alcune ricette richiedono anche foglie di alloro, che potrebbe essere stato usato come conservante.

Cheesecake.

Le cheesecake italiane sono solitamente guarnite con ricotta o mascarpone, zucchero, vaniglia e, talvolta, orzo in fiocchi e frutta candita.
Un'altra cheesecake italiana è la torta alla robiola (chiamata anche robiolina), torta tipica della provincia di Pavia.
Il cheesecake italianizzato (chiamato "classico" dai romagnoli) tipica della provincia di Bologna e della provincia di Ravenna. Questa torta viene chiamata con nome maschile anziché quello femminile (e quindi con 'articolo maschile), perché viene tradotto come "dolce al formaggio".
La torta laurina di ricotta è una crostata chiusa con un ripieno al cioccolato fondente, ricotta, panna da cucina e rum, tipica del Lazio.
La pastiera napoletana preparata con la ricotta si può considerare una cheesecake classica della regione Campania. Un'altra cheesecake molto famosa in Campania è la cheesecake alla bufala d'orzo, fatta con il formaggio di bufala e aromatizzata all'orzo.
La mozzarellacake è una cheesecake dolce fatta con mozzarella di bufala presentata dalla chef Rosanna Marziale nel suo libro "Evviva la mozzarella - Proposte gourmand con la Bufala campana".
Lo sfogghiu, o sfoglio, è una specialità di Polizzi Generosa, in provincia di Palermo e viene realizzato con pasta frolla ripiena di tuma, zucchero, cioccolata e cannella.
Anche la cassata siciliana si può considerare una sorta di cheesecake italiana essendo ripiena prevalentemente di ricotta di pecora.

La cheesecake è un dolce che ho scoperto recentemente grazie alla fidanzata di mio nipote; Lei infatti “ama” questo tipo di preparazione di origine anglosassone.
Mi piace questa ricetta poiché è veloce, si usa lo yogurt al posto del formaggio e, cosa da non trascurare, non c’è nulla da cuocere, si prepara a freddo e si lascia riposare per qualche ora in frigorifero.

Cheesecake allo yogurt greco.

Ingredienti (per 1 teglia da 20 cm.)
Per la base: 
130 g biscotti secchi;
70 g di burro fuso; 
Per la farcia: 
170 g yogurt greco Total (un vasetto);
125 g yogurt bianco dolce; 
15 g di zucchero;
125 g di latte freddo; 
50 gr di Dolceneve Paneangeli; 
40 g di granella di nocciole;
20 g di cioccolato fondente tritato.

1 – Preparazione. 
Tritare i biscotti secchi e amalgamare bene con il burro fuso
Con della carta forno bagnata e strizzata rivestire una teglia di diametro 20 cm. apribile. 
Versare il composto di biscotti e burro nella teglia e compattare usando il fondo di un bicchiere e mettere in frigorifero per almeno un paio d’ore. 
Montare il latte con la Dolceneve.
Montare yogurt e zucchero e unirli al composto di Dolceneve. 
Versare il tutto nel guscio di biscotti, livellare uniformemente la crema, cospargere di granella di nocciole e cioccolato fondente tritato, porre in freezer per un’ora. 

2 - Presentazione. 
Servire accompagnando il dolce con un buon passito.

Nota: 
Se non si ha la Dolceneve, si può montare 125 g di panna fresca con mezza bustina di pannafix della Paneangeli, o in alternativa se si mette solo la panna mettere anche 8 g di gelatina in fogli.